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di Ennio Fiocco

Arpad Kirner tra l'adrenalina e la discesa agli Inferi

Stromboli al tempo del paganesimo greco-romano non era considerato come l'accesso all'Ade e la credenza lo indica non come un generico regno dei morti, ma come la porta dell'Inferno, con tutte le leggende che ne sono scaturite. Indubbiamente, i vulcani hanno da sempre attirato l'attenzione per la violenta potenza che sprigionano e sono stati studiati negli ultimi secoli anche dal punto di vista scientifico, superata la fase legata alle credenze sovrannaturali.

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Uno di questi studiosi è stato Arpad Kirner (1912 + 1990), ingegnere e ricercatore ungherese che nel 1933 a soli 21 anni ha messo in atto una pionieristica e rischiosa discesa all'interno nel cratere accompagnato da un amico (Paul Munster), protetto da un elmetto di amianto ed indossava un set di armature cilindriche d'acciaio. La copertina del numero di aprile 1933 della rivista americana “Popular Science” riporta l'impresa mentre viene calato con una corda ignifuga.

Da una mia ricerca ho rinvenuto un articolo spagnolo che precede quello americano (con diversi disegni e fotografie dell'impresa) pubblicato su “Nuevo Mundo - Madrid 17-3-1933 n. 2036” e ho tradotto dei passi che presento ai lettori “Quando ho iniziato la mia impresa, ho percepito chiaramente la gravità del pericolo che avrei dovuto affrontare. Sapevo che il mio ritorno sulla superficie della terra sarebbe stato problematico; che i miei dispositivi di protezione, nonché i dispositivi di allarme, potrebbero essere insufficienti; che forse il mio organismo non avrebbe potuto resistere all'atmosfera e al calore degli abissi plutonici. Nonostante ciò, ho mantenuto tutta la mia calma, tutto il mio autocontrollo.

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Le sensazioni che ho provato in questa discesa di duecentocinquanta metri non si possono descrivere. Ero come inebriato, affascinato dal pericolo. Sospeso nel vuoto, non sapevo dove stavo andando né se avrei potuto trovare un appiglio da qualche parte....Mentre sprofondavo nell'abisso vidi le orribili pareti del cratere, nere, rosse, gialle, screpolate, piene di fessure che fungevano da valvole di sfogo per i gas del vulcano. Ai miei piedi si aprono cavità minacciose, terrificanti, semivelate dal fumo.

D'istinto, alzando lo sguardo verso l'imboccatura del cratere, mi sono chiesto se sarei salito ancora, se la corda non si fosse rotta, tragica fine della mia avventura. Ma tutto ha una fine. La discesa era finita. Finalmente ho potuto toccare il fondo su un terreno stabile; ma ad una temperatura così alta che mi bruciò le piante dei piedi...Poiché potevo respirare, grazie alla maschera protettiva e ad una buona scorta di ossigeno, ho iniziato la mia passeggiata lungo il fondo del cratere...marciai coraggiosamente verso i camini del vulcano, immensi pozzi verticali di diametro compreso tra tre e dieci metri, e nella loro forma paragonabili a giganteschi cannoni. Queste bocche rilasciavano ad intervalli getti di lava con formidabili detonazioni....

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Così riuscii al momento giusto a guardare in uno di quei piccoli inferni...Ecco cosa videro i miei occhi stupiti. Al di là una fitta cortina di fumo, vapori di diversi colori e un mare incandescente di lava liquida, agitata, ribollente, scossa da continue convulsioni. All’improvviso quel mare di fuoco si sollevò fino a raggiungere il bordo interno del canale. La forza misteriosa che lo spingeva lo avrebbe vomitato violentemente. Era quindi il momento critico di abbandonare il mio posto di osservazione, di fuggire il più lontano possibile...

La bocca scagliò il terribile getto di lava ad un'altezza enorme, forse centinaia di metri, che poi scendeva sotto forma di una fitta grandinata di sassi, alcuni dei quali, veri e propri blocchi roventi, pesavano diversi quintali...Fu questo, senza durata, uno degli spettacoli più travolgenti, ma anche uno dei più sublime offerto dalla natura. La mia esplorazione è durata circa tre ore...durante le quali, vincendo la paura, riuscendo a costo di grandi sforzi a vincere la ribellione dei miei nervi ed evitare i mille pericoli che mi circondavano, ho potuto raccogliere una grande quantità di campioni di minerali e di gas, nonché ottenere fotografie con l'ausilio di una piccola macchina fotografica costruita appositamente...Ma le mie forze stavano finendo. Ho poi dato il segnale luminoso concordato ai miei compagni affinché mi portassero fuori dal cratere. La salita deve essere stata estremamente dolorosa.

Ero arrivato al limite della mia resistenza fisica e morale...Quando ho rivisto la luce del giorno, quando ho potuto finalmente respirare all'aria aperta, non è stato senza provare gli effetti della dura prova...Mi sentivo felice e, perché non dirlo, pieno di orgoglio per essere uscito trionfalmente da un'impresa scientifica dalla quale tutti i miei predecessori si erano tirati indietro e che, nessuno escluso, consideravano una vera follia”. Una straordinaria esperienza vissuta dal giovane Arpard ricca di adrenalina.

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