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di Ennio Fiocco

Coralli ed onde nel mare eoliano dall'antichità fino al viaggio dello Spallanzani.

Durante la visita nei musei ammiriamo gli straordinari dipinti rinascimentali a sfondo sacro caratterizzati anche dalla presenza di un curioso particolare. Mi riferisco ad un amuleto in corallo. Una delle più famose opere, che si trova nel Palazzo Ducale di Urbino, è un olio realizzato nel Rinascimento da Piero della Francesca tra il 1470 e il 1485, noto con il nome “Madonna di Senigallia”. Il Maestro, che rappresenta sicuramente una figura emblematica dell'epoca, ci trasmette emozioni e l'opera nasconde dei misteri, soprattutto per la presenza nel Bambino che indossa una collana.

Al centro del dipinto troviamo la Vergine Maria in piedi con in braccio il bambino, mentre in secondo piano, alle spalle della coppia troviamo due angeli. La Vergine tocca i piedi del Bambino in modo amorevole, mentre il suo sguardo sembra essere pensieroso, quasi come se già sapesse della tragica morte che Gesù avrà in futuro. Il Bambino viene rappresentato con un braccio alzato, ovvero nell’atto di benedire, mentre nell’altra mano trattiene una piccola rosa bianca, un simbolo tipicamente utilizzato per rappresentare la purezza della Vergine. Facendo bene attenzione alla figura del Bambino, è possibile notare che indossa al collo una collana con un corallo. Questo accessorio veniva, infatti, utilizzato in passato per proteggere simbolicamente i bambini, ma facendo bene attenzione al colore rosso, è possibile ricollegarlo anche alla Passione di Cristo.

La luce ha un ruolo dominante all’interno della “Madonna di Senigallia”, “abbracciando” tutta la scena, e riflettendosi anche sui personaggi ed in particolare sulle vesti ed i gioielli di quest’ultimi. La luce solare, penetrando dalla finestra, allude simbolicamente anche al mistero dell’Incarnazione, legato alla gravidanza di Maria, la quale non ha perso la sua purezza, né nella concezione, né nel parto. In particolare, i colori tenui utilizzati tradiscono un forte influsso della pittura fiamminga in questa composizione, e a rendere ancor più certa questa ipotesi è la rappresentazione delicata del velo della Vergine e dei panneggi delle vesti di tutti i protagonisti.

Questa mia breve ricerca parte, appunto dal corallo dall'antichità fino al tempo in cui lo scienziato modenese Lazzaro Spallanzani visitò, nel sui viaggio di 35 giorni del 1788, le isole eolie.

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Va detto che il corallo detto anche “albero del mare”, non è una pietra vera e propria, ma il magico prodotto della natura che sembra avervi voluto riunire le forme e le caratteristiche dei tre regni: minerale, vegetale e animale. Ovidio, nelle sue Metamorfosi (libro IV) ci racconta che Perseo, dopo aver ucciso Medusa, si sedette, stanco per il lungo viaggio, su una spiaggia e poggiò la testa sanguinante del mostro su una riva piena di giuncastri nati sott'acqua. Quei giunchi, appena nati, assorbono subito, nel loro midollo ancora vivo, la potenza del mostro, si induriscono al suo contatto e acquistano nei rami e nelle foglie una rigidità sconosciuta.

Proprio in questo modo, nella tradizione mitica, nasceva il corallo. Successivamente Plinio, in un passo della Naturalis Historia, riporta i nomi dei maggiori luoghi di approviggionamento del corallo e ne distingue le varie qualità: “il più prezioso si trova nel Golfo Gallico intorno alle isole Stoechadae, nel Golfo Siculo, attorno alle Eolie e attorno a Drepana (Trapani). Nasce anche intorno a Gravisca e davanti a Napoli in Campania”. Quindi, appare acclarato che nelle isole Eolie vi era la pesca del prezioso corallo!

Il corallo non solo pero, come oggetto ornamentale, ma anche talismano dalle virtù magico-terapeutiche, apotropaiche (amuleto per proteggere dai pericoli delle tempeste, dai fantasmi notturni), simboliche (associato all'esercizio del potere). In epoca medioevale, fu assimilato al sangue di Cristo e quindi alla Passione in senso lato. Va detto che le arti, ormai solo convenzionalmente definite “minori”, che preferibilmente oggi si indicano con l’appellativo “decorative”, hanno costituito nei secoli passati la più significativa caratteristica e caratterizzante produzione artistica, soprattutto siciliana.

La storia delle arti decorative, nelle diverse articolazioni dei suoi più vari settori, ha nell’isola origini remote che si evidenziano nel mondo medievale e moderno a partire dal favoloso opificio del Palazzo Reale di Palermo di età normanna. All’abile governo dei Normanni si deve quella politica che, pur mirando all’acculturazione occidentale delle varie popolazioni presenti nell’isola, riesce in un’opera di positivo sincretismo di tutte le forme culturali, non ultime di quelle artistiche in cui riesce a definire in sintesi uno stile proprio. In seguito il repertorio decorativo gotico e tardo-gotico, intriso di elementi di derivazione iberico-catalana e variamente circolante in Sicilia, s’innesta su influssi culturali italiani, con privilegio per quelli senesi e pisani. Si riscontra, quindi, in Sicilia la presenza anche di artisti ora provenienti dalla penisola iberica ora da quella italiana. Successivamente, al capriccio del Manierismo fa seguito nella produzione artistica degli orafi e argentieri l’articolata e complessa vivacità del Barocco che connota l’isola di una ricchezza raffinata pur nella sovrabbondanza dell’ornato, tuttavia mai eccessivo. Le maestranze che fioriscono in Sicilia nel tempo sono diverse, quelle degli orafi e argentieri sono attive a Messina, Catania, Siracusa, le più antiche, che impiegano pure il corallo.

Tra le maestranze che si distinguono poi per l’alta qualità della produzione artistica quella dei corallari trapanesi, l’Ars corallariorum et sculptorum coralli, le cui opere sono conosciute e circolano in tutto il mondo dal XVI al XVIII secolo, ma soprattutto nel XVII, quando si connotano di particolari caratteristiche tecnico-artistiche. Il grande Plinio ci parla della pesca del corallo dove si utilizzava un attrezzo di ferro. Ma anche la salabre, sorta di retino con raschietto, per anfratti e grotte, potrebbe aver giocato un ruolo nell’Antichità e ciò induce a guardare in modo diverso le barre di ferro nelle quali accade talvolta d’imbattersi sott’acqua. Se in età moderna tali questioni portarono allo sfociare di conflitti come la rivolta trapanese del 1672/3 o l’emanazione del Codice corallino nel 1790 da parte di Ferdinando IV, per tutelare la pesca e la lavorazione del corallo, è evidente che sussistendo un’accertata e cospicua raccolta di esso già almeno in età romana, tale attività non poteva che essere regolata.

Sulla pesca del corallo interessante un tempo era quella dell'ordegno. In particolare, i pescatori corallini impiegavano una croce di legno, alla cui quattro punte “accommodano le reti, con certe stellette di ferro e nel mezzo un gran sasso. Cala questa macchina per via d’argani e di corde in fondo al mare e mentre il gran sasso ingastato nella croce va’ strappando pian piano la pianta del corallo attaccata alle rupi della secca, ove nasce, le reti se lo inviluppano e così ne fanno preda... e ciò serve per il loro quotidiano sostentamento”.

Visitando nel Palazzo dei Musei di Reggio Emilia la Collezione naturalistica di Lazzaro Spallanzani ci colpisce la grande abbondanza di forme di vita marine e dove si nota il “gran libro della natura”, dello Spallanzani. Quest'ultimo, nel suo viaggio scientifico alle Eolie del 1788 durato ben 35 giorni, accennò pure alla pesca del prezioso corallo. Come già evidenziato nel mio precedente scritto del primo novembre del 2019, apparso sul notiziario delle eolie, tra gli scopi della ricerca del grande “filosofo naturale” vi era la raccolta di campioni per le collezioni del Museo pavese e per la propria collezione privata di Scandiano, dove tutt'oggi il visitatore può ammirarne i preziosi reperti custoditi e i coralli esposti.

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