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di Ennio Fiocco

La regina Eleonora D'Arborea e il suo falco

Eleonora D’Arborea nacque intorno al 1340 in Catalogna, regno d’Aragona e visse i primi anni della giovinezza ad Oristano. Quando nel 1347 morì il giudice Pietro III di Arborea senza discendenti, la Corona de Logu del giudicato (un’assemblea dei notabili, prelati, funzionari delle città e dei villaggi) elesse il padre di Eleonora, Mariano IV, fratello dello scomparso, che resse il giudicato dal 1347 al 1376. Eleonora nel 1376 sposò Brancaleone Doria, dell'influente casato genovese. Il suo matrimonio rientrava nel più generale disegno di un'alleanza tra gli Arborea e i Doria, che già controllavano vasti territori della Sardegna in funzione antiaragonese. Era esile nella corporatura quanto energica e vigorosa nel carattere, portò con la storia di cui lei stessa si volle rendere protagonista, un vero e proprio cono di luce sulla capacità delle donne di essere strateghe.

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Nel 1382 Eleonora prestò 4000 fiorini d’oro a Nicolò Guarco, doge della Repubblica di Genova, il quale si impegnò a restituirli entro dieci anni; in caso contrario il doge avrebbe dovuto non solo pagare il doppio della somma che gli era stata prestata ma anche concedere sua figlia Bianchina al figlio di Eleonora, Federico. Il prestito di una tale ed ingente somma di denaro ad una delle più potenti famiglie di Genova e le clausole del contratto, erano già segni del disegno dinastico che la futura giudichessa aveva in mente. In particolare, accordando quel credito, Eleonora intendeva mantenere alto il prestigio della sua famiglia, riconoscere l'importanza degli interessi liguri e assicurarsi un collegamento con la rete delle loro navi, con tutti i porti del mediterraneo. In sostanza Eleonora D’Arborea con questa scelta entrò alla pari nel gioco della politica europea. Quando il fratello Ugone III, che era a capo del giudicato, si ammalò si profilò il problema della successione ed Eleonora si rivolse al re d’Aragona perché sostenesse suo figlio piuttosto che il visconte di Barbona, vedovo di sua sorella Beatrice.

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A trattare con il re inviò il marito Brancaleone, il quale però venne trattenuto dal re che ne fece un ostaggio e uno strumento di pressione contro Eleonora. Il disegno di Eleonora, che gli spagnoli avevano intuito, era quello di riunire nelle mani del figlio due terzi della Sardegna che Ugone aveva occupato. Così il re non ritenendo opportuno avere una famiglia tanto potente nel suo regno, tanto più che non essendoci erede diretto maschio di Ugone quei possedimenti, secondo la “iuxta morem italicum”, avrebbero dovuto essere incamerati dal fisco, trattenne Brancaleone col pretesto di farlo rientrare in Sardegna non appena una flotta fosse stata pronta. Ma la risposta della forte Eleonora non si fece attendere. La donna punì i congiurati e si proclamò giudichessa di Arborea secondo l'antico diritto regio sardo, per cui le donne possono succedere sul trono al loro padre o al loro fratello. La Carta de Logu fu il fiore all’occhiello della politica di Eleonora d’Arborea e fu definita come un distillato di modernità e saggezza. Nel reagire ai tentativi di infeudazione aragonese, Eleonora emanò una nuova disciplina giuridica nei propri territori, i quali erano in uno stato di perenne agitazione politica.

Tale legislazione non era episodica o sporadica, ma era la componente di una più vasta politica intesa allo sviluppo dello stato degli Arborea. Tra le norme più importanti sono da citare quelle che salvavano dalla confisca “i beni della moglie e dei figli, incolpevoli, del traditore”, i quali secondo quanto disposto dal parlamento aragonese del 1355, diventavano servi del signore della terra. Non va poi sottaciuto che la giudichessa inserì anche una norma che permetteva il matrimonio riparatore alla violenza carnale subita da una nubile solo se la giovane fosse stata consenziente. Altri esempi della portata innovativa della Carta sono la contemplazione del reato di omissione di atti d'ufficio, la parità del trattamento dello straniero a condizione di reciprocità, ed il controllo, attraverso “boni homines” delle successioni “ab intestatio” in presenza di minori. Eleonora dimostrò con la sua reggenza, di voler uscire dal medioevo, liberando i servi “lieros” e inserendo nella lotta, con le truppe i tradizionali i suoi concittadini ed ebbe la legittimazione del popolo. Ma non riuscirà a completare il progetto del padre di riunire tutta la Sardegna a causa della pestilenza, che consegnò, senza combattere, la Sardegna agli Aragonesi.

Ma cosa potrebbe emergere da questo scritto che oggi ho redatto da ricerche storiche su una donna tanto straordinaria che ha saputo imporsi in un'epoca medioevale così difficile? Ciò lo possiamo rinveniamo nel falco della regina. Cosa ha mai rappresentato e rappresenta? Rapace fiero ed elegantissimo, viaggiatore instancabile, guardiano delle scogliere del Mediterraneo. Il suo nome leggendario lo lega indissolubilmente alla Sardegna e non solo ad essa, ma anche alle Eolie. Il piumaggio è marrone chiaro generalmente, con il petto e il ventre color crema e striature brunite e la sua apertura alare può raggiungere anche i 105 centimetri. L'appellativo non viene dal suo comportamento, ma è anche un omaggio a Eleonora d'Arborea. La regina fece, infatti, vietare la caccia agli esemplari adulti e il prelievo dei nidiacei.

Fu Alberto La Marmora - generale, naturalista, cartografo e politico - che nell’Ottocento propose il nome scientifico in chiara riconoscenza alla lungimirante sovrana sarda. In quanto specie migratrice è un grande viaggiatore e i suoi luoghi prediletti sono le isole del mediterraneo, tra cui anche le Eolie, Lampedusa e in Sardegna. E' una specie protetta dal bracconaggio e dai collezionisti alla ricerca di piccoli e uova. Dopo l'autunno la specie va a svernare in Madagascar e sulle isole Mascarene dell'oceano indiano. Va detto che nella riserva dell'isola di Salina sono state censite in passato dalla 90 alle 100 coppie che nidificano nelle falesie di Pollara, come anche notiziato in un articolo di Elio Benenati. La specie è inserita nell’allegato II del Protocollo SPA/BIO della Convenzione di Barcellona, nell’allegato II della Convenzione di Berna, nell’allegato II della Convenzione di Bonn, nell’allegato II della CITES, nell’allegato I della Direttiva. Vi è da dire che nel nostro ordinamento esiste dal 2011 l'art. 727 bis del codice penale, ma ciò non è affatto sufficiente perché è necessario una maggiore sensibilizzazione per la salvaguardia delle specie protette, ponendo in essere azioni idonee di salvaguardia più incisive.

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