di Ennio Fiocco
Pellegro, il pittore genovese del primo seicento barocco e la tavola della Conversione di San Paolo.
Con questa piccola ricerca cercherò di far conoscere un giovane e validissimo pittore genovese poco conosciuto, Pellegro Piola, la cui giovante vita fu stroncata a soli 23 anni nel 1640 a seguito di un evento tragico che più avanti tratterò.
L'artista nasce a Genova il 5 giugno del 1617 e viene avviato alla pittura all’età di dodici anni per l'apprensiatato presso la “stanza” del maestro Gio. Domenico Cappellino, artista “molto considerato” al tempo e vi restò fino all'età di 17 anni, terminando l'alunnato nel 1634. Deve però fare i conti con qualche difficoltà iniziale, nella composizione e nella coloritura. Ma la sua volontà di migliorare è grande, e tale è la serietà con cui si applica all’arte, studiando “principalmente sopra le tavole degli antichi, e buoni maestri”, che in poco tempo arriva a “un sì perfetto stile, che allettando i più curiosi, dava loro occasione d’esercitarlo continuamente in qualche gentil lavoro”.
La tradizione vuole Caternina (sua moglie di due anni più grande), come modella di molte Vergini pellegresche. Il triennio conclusivo della vita di Pellegro, il più artisticamente fecondo, registra ben poche notizie. La cerchia dei probabili committenti del pittore s’allarga considerevolmente, fino a comprendere personaggi della più eletta nobiltà della Repubblica di Genova ed anche in Francia.
Il catalogo dell’artista è attualmente composto da un nucleo esiguo di opere certe, da scalare in soli sei anni, dal 1634, quando “cominciò con l’assistenza del proprio Padre ad esercitar liberamente in sua casa la profession di pittura” (Soprani, 1674, p. 147), fino alla morte: la Madonna degli Orefici su ardesia (Genova, Museo dell’Accademia Ligustica), il gonfalone con la Madonna del rosario (ibid.), la Sant’Orsola (Genova, Musei di strada Nuova, Palazzo Bianco), la Sacra Famiglia con i santi Elisabetta e Giovannino (Genova, Musei di strada Nuova, Palazzo Rosso), la Sacra Famiglia con san Giovannino, già assegnata a Stefano Magnasco (Genova, Galleria nazionale di Palazzo Spinola), una tela di identico soggetto (collezione privata), Labano promette Rachele a Giacobbe, commissionata dall’impresario milanese Pietro Giovanni Facchinetti (collezione privata), una Sacra Famiglia già nel palazzo Pallavicini a Genova (collezione privata), un Cupido, già a Camogli (noto attraverso una fotografia) e un disegno (Stoccarda, Staatsgalerie) con la Sacra Famiglia e san Giovannino. Il 25 luglio 1637 ottenne l’emancipazione dal padre e, quello stesso anno, sposò Giovanna Caterina Desiderati.
Della sua vita e su alcune opere sappiano anche dal libro di Raffello Soprani nelle “Vite” dei pittori, scultori e architetti genovesi scultori del 1674 pubblicato a Genova. Il Soprani era nato nel 1612, quindi coetaneo e suo amico e lo descrive “ancor giovanetto cominciava a dipingere con rara finezza e maestria” tanto che fu invidiato da tanti. Il Parmigianino era uno dei suoi pittori preferiti e gli invidiosi dicevano “che di tutto questo novello Parmigianino tutta la gloria consisteva in rubare dalle stampe, e da disegni dell'antico, e appropriarseli: che è un bel comparire a forza d'inganno, vestendosi delle altrui spoglie. Con sì fatti motteggi tentavano di trafiggerlo e screditarlo. Ma Pellegro, senza punto turbarsi, rispondeva: se essere imitatore dello stile di quest'insigne Maestro, e non rubatore delle idee, e delle composizioni di lui: che le derisioni non hanno forza di disaminare un vero studioso...si rimetteva al giudizio degli uomini spassionati...”. Proseguiva il Soprani che “benché ancor giovane fosse, ed uscito di poco dalla linea di discepolo: ciò non ostante ebbe molte commissioni di compor quadri, tutte onorevoli, e degne” elencandone molteplici e i confini. Precisa poi a pag. 319 del libro che “Di poi lavorò Pellegro due tavole, l'una esprimente la miracolosa conversione di S. Paolo; tavola, che fu comprata a gran prezzo, e trasmessa in Lipari: l'altra dimostrante Lucrezia, che cade...tavola venduta...a Parigi...”. Precisa ancora che la notte del 26 novembre del 1640 il Pellegro fu ucciso a seguito di una pugnalata a Genova. Il Soprani dalle pagina 316 a 323 dell'opera parla del Pellegro.
Anche il Filippo Baldinucci, accademico della crusca, nella sua opera del 1812 ci parla di Pellegrino Piola (pagg. 454 e 456), descrivendo alcune opere, menziona anche “una tavola della Conversione di San Paolo, che fu mandata all'isola di Lipari”.
Vi è da dire che sugli “Studi su Raffaele Soprani” in memoria di Jan H. Ostrowski, basato su una ricerca effettuata nel 1986 dall'Institute for Advanced Study di Princeton, viene riaffermata la veridicità del lavoro del Soprani e, quindi, anche quanto scritto nei confronti del pittore Pellegrino Piola, fra l'altro suo amico e coetaneo. Con l'opera Le Vite, riporta lo studio di cui sopra,le stesse furono concepite, come una voce importante che riguardava la posizione della pittura nel sistema socio-politico di Genova. “Quindi, i doveri dello storiografo furono affrontati dal Soprani in modo molto serio, e la sua base documentaria merita un grande rispetto...egli stesso menziona o addirittura riporta firme ed iscrizioni di pitture, lettere e perfino documenti legali. Una grande parte delle notizie proveniva dai contatti personali del Soprani con ambienti artistici, il che da spesso al suo testo il valore della relazione di un testimone oculare. Così il libro del Soprani acquistò un alto grado di credibilità...”, non notando però il Soprani “la svolta radicale verso il barocco che era intervenuta nella pittura genovese verso il 1630”, di cui anche il Pellegro era partecipe con le sue opere artistiche di pittura.
Sulla morte del Pellegro si è scritto tanto e vi sono state diverse versioni, sempre da ricerche eseguite. Viene descritta dal Soprani nel libro di cui sopra del 1674, poi da Filippo Balducci in un opera del 1812 ed anche nel “Giornale Ligustico” pubblicato a Genova nel 1877 di L.T. Belgrano ed A. Neri. In particolare risulterebbe che l'uccisione del Piola sia stata ad opera di Giovan Battista Bianco “che univa la doppia qualità di chierico e prete e di pittore; il quale, commesso il delitto, sfuggiva alla punizione della giustizia umana...Si fece processo, anzi due processi, l'uno dalla Rota criminale e l'altro dalla Curia arcivescovile. Al domani mattina, prima di mezzodì, in tercii, l'avvocato fiscale fu a visitare il povero Pellegro; ma questi o per gravezza del male, o per altro motivo, non nominò il suo feritore. Più tardi, in nonis, vi andarono i ministri della Curia arcivescovile, e non trovarono più che un cadavere. Il Piola dovette spirare verso mezzogiorno...”.
Risulta dagli atti processuali celebratosi in quel tempo una domanda dell'uccisore “onde essere cancellato dal libro dei banditi” e che a corredo dell'istanza vi era un “atto rogato da pubblico notaio, con cui il padre e i fratelli dell'ucciso Pellegro accordavano la pace all'uccisore”.
Vi è da dire che il fratello maggiore del Piola, Giacomo, all'epoca non doveva essere ancora ordinato “Presbiter” o “Reverendus”, mentre altri due fratelli sono stati anche pittori, tra cui il famoso Domenico Piola (Genova 1627 - Genova 8 aprile 1703). Dalla ricostruzione dei fatti dell'uccisione di Pellegro Piola, la notte del 26 novembre del 1640, sembrerebbe che l'uccisore si trovasse proprio in compagnia del Pellegro e di altri amici per una cena durata tardi, cui è seguita una nottata al suono di una chitarra e che, successivamente al rientro, vi sia stata una rissa con altre persone di passaggio nella strada dove per errore il Giovan Battista Bianco ha inferto la ferita con un pugnale all'addome del povero artista. Dagli atti del processo emerge che potrebbe essere anche stato anche il motivo, e cioè che l'uccisione sia stata premeditata e dovuta ad “invidia”, tenuto conto che “è pubblica opinione per non dir voce e fama per tutta la città, che alcuni Pittori di Genova habbino fatto estinguere detto povero Giovane dal detto Bianco per danari, poiché riuscendo lui raro in quella professione, come si vede dalle opere che cominciava a fare, l'invidiavano a morte...”.
Da quanto sopra disquisito, appare certo, che il giovane Pellegro Piola ha iniziato per conto proprio l'attività di pittore in Genova a 17 anni nel 1634 e ciò ha proseguito fino alla morte prematura, ed esattamente per sei anni, fino al 1640, producendo opere di rara bellezza e pregio, come sopra menzionate all'inizio del barocco genovese.
Tra le stesse risulterebbe un dipinto della “Conversione di San Paolo S. Paolo, tavola, che fu comprata a gran prezzo, e trasmessa in Lipari” e di cui si conosce l'allocazione.
Sarebbe molto interessante scoprire se oggi esiste ancora a Lipari presso qualche chiesa, ad esempio e se sia stata menzionata in qualche atto di acquisto e/o in altro luogo, o se lo l'opera sia andata dispersa. Sicuramente il dipinto pregevole del Pellegro fu trasportato a mezzo di nave da Genova per le Eolie, ma nessun riferimento emerge dagli atti che ho esaminato.
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