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di Ennio Fiocco

Alicudi vista da Alexandre Dumas nel 1835

Con Alicudi il viaggiatore rinuncia alla comode spiagge e si immette nella natura selvaggia. L'isola ha incuriosito scrittori e cronisti di ogni tempo sia per il suo mare che la circonda che per il suo carattere aspro che la rappresenta. Lo scienziato Lazzaro Spallanzani l'ha visitata per alcuni giorni nel mese di ottobre del 1788 evidenziando nei suoi preziosi scritti della presenza nella popolazione locale di una “invidiabile beatitudine, ch'io ignoro se si lasci vedere né più superbi palagi de grandi e fra le più sfoggiate vivande delle mense reali”, osservando nella gente e nei loro volti “una piena tranquillità e contentezza che inondava i loro cuori e che traspariva al di fuora...”.

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Ciò come ho ampiamente decritto nel mio breve lavoro pubblicato sul “Notiziario delle Eolie” il 7 giugno scorso. Con questo mio intervento mi soffermerò sulla asprezza della vita quotidiana di Alicudi, vista invece dallo scrittore francese Alexandre Dumas che visitò l'isola il 6 ottobre del 1835. Il Dumas, proveniente da Napoli, dove era sfuggito alla polizia borbonica trascorre cinque giorni nell'arcipelago delle Eolie, a bordo di una speronara comandata dal capitano Arena e descrive le disperate condizioni di vita degli abitanti di Alicudi al centro della sua narrazione che verrà successivamente inserita nella raccolta “Impressions de voyage. Le capitaine Arena”, la cui opera è stata pubblicata in italiano solo nel 1988.

Afferma che “E' difficile vedere qualcosa di più triste, di più cupo e di più desolato di questa sfortunata isola che costituisce l'angolo occidentale dell'arcipelago eoliano. E' un angolo della terra scordato al momento della creazione e rimasto tale dal tempo del caos. Nessun sentiero porta alla vetta o costeggia le sue rive: alcune cavità solcate dalle acque piovane sono gli unici passaggi che si offrono ai piedi martoriati dai sassi aguzzi e dalle asperità della lava. Su tutta l'isola nemmeno un albero, né un po' di vegetazione per riposare gli occhi; solo in fondo a qualche fenditura della roccia, negli interstizi delle scorie vulcaniche, si scorge qualche raro stelo di quelle eriche per le quali Strabone chiamò talvolta l'isola Ericusa. E' il solitario e pericoloso cammino di Dante, dove il piede non può procedere, tra le rocce ed i detriti, senza l'aiuto dalla mano.

Eppure, su quest'angolo di lava rossastra vivono in misere capanne centocinquanta o duecento pescatori, che hanno cercato di utilizzare i rari fazzoletti di terra sfuggiti alla distruzione generale. Uno di questi poveretti rientrava con la sua barca e noi gli comprammo per tre carlini - press'a poco ventotto soldi - tutto il pesce che aveva pescato. Risalimmo a bordo della nostra imbarcazione col cuore angustiato da tanta miseria: in verità, quando si vive in un certo mondo ed in un certo modo, ci sono delle esistenze che diventano incomprensibili. Chi ha trattenuto questa gente su quel vulcano spento? Vi sono cresciuti come le eriche dalle quali prende il nome? Quale motivo impedisce loro di abbandonare quest'orribile soggiorno? Non vi è alcun angolo del mondo ove non starebbero meglio di lì.

Ma questa roccia arsa dal fuoco, questa lava indurita dall'aria, queste scorie solcate dall'acqua delle tempeste, possono essere una patria? E' concepibile che vi si nasca; si nasce dove si può. Ma è impossibile comprendere che, pur avendo la facoltà di muoversi, il libero arbitrio di cercare ciò che è meglio, una barca per andare ovunque, si resti là - è questo che è impossibile comprendere, ed è quanto questi stessi sfortunati, ne sono certo, non saprebbero spiegare".

Lo scrittore ha una sua visione personale diversa da quella dello Spallanzani.

Il Dumas scrive che la popolazione di Alicudi si dedica alla pesca, ma non è così, sia per le informazioni dello Spallanzani del 1788, sia in quanto i suoi abitanti che già nel 1825 (dal dizionario delle Comuni del Regno delle Due Sicilie di Raffaele Mastriani) erano circa 370 e si dedicavano all'agricoltura. E ciò anche in base a scritti del curato dell'isola Angelo Virgona del 1822.

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Inoltre, appare indiscutibile che la popolazione si dedicava in modo esclusivo all'agricoltura, come da uno scritto di Giuseppe Arena del 1995 (della Società Messinese di storia patria) e, soprattutto, dai registri pubblici on line dello stato civile c.d. “della restaurazione” che ho visionato direttamente, dai quali si evince la professione indicata in campo agricolo degli abitanti alicudari. Interessante, anche se triste nella sua personale visione, appare il resoconto del viaggio dello scrittore francese che a quasi duecento anni ci affascina.

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