di Ennio Fiocco
L'invidiabile beatitudine degli Alicudari negli scritti di Lazzaro Spallanzani
Per Lazzaro Spallanzani viaggiare significava avvicinarsi al mondo naturale che tanto lo affascinava. Infatti, per documentare il vulcanismo organizzò un viaggio nel Regno delle Due Sicilie ed in particolare alle isole Eolie, dove si soffermò per oltre 35 giorni con scopo prettamente scientifico. In questa sede esaminerò soltanto alcuni aspetti umani del suo viaggio che possono interessare il lettore, con particolare riferimento all'isola di Alicudi, visitata per alcuni giorni del mese di ottobre del 1788.
Lo Spallanzani, dopo aver salpato da Lipari la mattina del 7 raggiunse Filicudi in 4 ore e soggiornò in località“Valle della Chiesa...dove la casa del parroco e la chiesa sorgono a poca altezza, due meschinissime fabbriche proporzionate alla povertà del paese” e poi “Il giorno 13 di ottobre, spuntato appena il sole, partii per Alicuda, valendomi di una barchetta a quattro remi, il cui timoniere era il Parroco di Filiduca, uomo che nella sua isola era in fama di prode marinaio...
Ma fatta appena la metà del cammino, il vento cominciò a rinforzare e a caricar troppo gagliardo...impetuoso...ci metteva nel maggior rischio di naufragare...il pericolo di perderci divenia sempre più imminente...ecco apparirci cinque uomini che con piè frettoloso discendendo da Alicuda avviansi verso di noi...alla spiaggia...per tentare di trarci...in salvo.
Questi era, come seppi dappoi, il Parroco di Alicuda” il quale era intervenuto con altri quattro isolani in aiuto lanciando una fune per il soccorso “Inoltre col più vivo sentimento di tenerezza e di ospitalità egli ci accolse; e presenata avendogli una lettera circolare del Vescovo di Lipari che caldamente ci raccomandava ad ogni parroco delle altre isole...”.
Lo Spallanzani approdò, quindi, con enorme difficoltà sull'ultima delle isole a metà mattina, ma per la stanchezza ed il trauma sofferto in quella occasione “dormii dentro la barca tirata già sopra il lido” in un materasso fatto allocare dal predetto prelato e coperto da un telone “per guarentirmi dalla notturna umidità”.
Lo scienziato restò sull'isola, per le sue ricerche, anche il giorno successivo. Sulle abitazioni alicudare afferma che le stesse “case, o, a dir meglio, tuguri” si trovano “verso metà della sua grand'erta”, dove si trovano pure “le abitazioni dei due parroci” e ciò in quanto erano “grandemente infestate da Turchi, massimamente Tunisini”.
E ciò in quanto a tale altezza il pericolo era minore. E' notorio, infatti, che nel mare mediterraneo dal 1500 ai primi del 1800 imperavano le scorribande barbaresche con cattura di schiavi bianchi quantificati a livello storico in almeno due milioni, di cui solo però circa il 15-20% riusciva a liberarsi, previo pagamento di un consistente riscatto.
Lo Spallanzani argomenta nei suoi preziosi scritti della presenza sull'isola dei fichi d'india e di qualche pianta di ulivo, nonché del “buon vino” prodotto “senza però esservi la malvasia, la passola e la passolina”.
Rileva, ancora, che “Il grano che si raccoglie è orzo e frumento, i quali assieme all'uva fruttano annualmente in Alicuda la somma di scudi napoletani 3.000, e quasi un terzo di più di Feliduda.
Questo doppio grano basta così pel sostentamento di Alicuda...E' incredibile l'industria e la pazienza degli Alicudesi nel non perdere una zolla che non la coltivino...non lasciandone in palmo salvatico senza domesticarlo. E questa minuta diligenza fa dire a' Liparesi per ischerzo, che gli Alidudesi lavorano i loro poderucci a punta di coltello...
Di pesce se ne prende pochissimo, perché pochissimi in Alicuda e in Felicuda sono i pescatoti, che per giunta non hanno reti, valendosi soltanto dell'amo; e tra battelli e pescherecci e quelli che servono per traghettare da un'isola all'altra, se ne contano...tre o quattro...
Uno o due di questi battelli” appartengono al parroco “che non sono se ne vale per quella meschina pescagione, ma anche per le sue bisogne, comperando o vendendo piccioli generi a Lipari; oppur cedendolo a comodo...ed in caso di urgenza da semplice rematore”.
Lo scienziato descrive le semplici costruzioni che sono all'interno disadorne, alla cui tavola vi era il “nero pan d'orzo e di frutte salvatiche, e per raro caso d'un po' di salume di pesci per saziarne la fame, e d'acqua pura per ispegnerne la sete...
Ma considerando le cose più addentro” afferma nel suo scritto della presenza di una “invidiabile beatitudine, ch'io ignoro se si lasci vedere né più superbi palagi de grandi e fra le più sfoggiate vivande delle mense reali”, osservando nella gente e nei loro volti “una piena tranquillità e contentezza che inondava i loro cuori e che traspariva al di fuora...”.
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