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di Ennio Fiocco

Antoine de la Sale e le Eolie nel 1407

Gli angioini e gli aragonesi sono state le dinastie che dominarono i regni dell’Italia meridionale fra il XIII e il XV secolo. In particolare, i primi furono il ramo della dinastia degli Angiò che regnò in Italia (Napoli e Sicilia) dal 1266 al 1435, chiamati in Italia dal papa Clemente IV in quanto preoccupato del predominio svevo in Italia dopo l’imperatore Federico II rischiava di prolungarsi con il figlio Manfredi. Il papa offrì, infatti, la corona del Regno di Sicilia a Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, che sconfisse gli svevi. Successivamente, dal 1412, il Regno entrò in unione personale con i sovrani di Aragona.

Fatta questa breve premessa, con il presente scritto intendo far conoscere uno scrittore francese, Antoine de la Sale che ha visitato le isole Eolie scrivendo su di esse, per come dirò appresso.

Nasce in Provenza nel 1385 e muore nel 1460. E' stato un prosatore di grosso spessore e ha viaggiato soprattutto in Belgio, Portogallo e Italia. Fu al servizio di Renato d’Anjou dal 1434 ed incaricato dell’educazione di Giovanni di Calabria. Per il suo allievo compose “L’insalata” (La salade, 1444), opera che comprende anche “Il paradiso della regina Sibilla” (Le paradis de la reine Sybille), che è un resoconto dell’escursione al monte della Sibilla nel 1420. La sua opera straordinaria, tra storia a romanzo, è “Jehan de Saintré” del 1456. In particolare, lo scrittore visitò le Isole Eolie nel 1407 a soli19 anni (durante il regno di Martino il giovane, re di Sicilia) e dopo trent'anni, integra in “La Salade”, un'opera didattica rapportata alla lontana escursione giovanile, i cui momenti salienti sono stati la movimentata salita del Monte Vulcano e l'incontro di "ung des espriz d'Estangol (Stromboli) o Boulcan (Vulcano)".

Nell' “Excursion aux iles Lipari”, passa a descrivere un viaggio ancora più antico rispetto a quello sopra menzionato dell'altra opera del monte della Sibilla, compiuto nel 1407 alle Eolie, confermando il definirsi e l'approfondirsi della sua esigenza di scavo nella memoria, luogo privilegiato di creazione poetica, realizzando in questo modo una peculiare visione geografica-mentale dove le viscere terrestri celano un Inferno che si traveste da Paradiso, e in cui il fetido odore sprigionandosi sotto forma di fumi e fiamme attraverso il cratere vulcanico, libra nei cieli. Il racconto dello scrittore è originale ed esplicita i caratteri di una breve novella “noire” dove si evince un vissuto sorretto da una evocazione fantastica giovanile nella memoria come testimone oculare del primo quattrocento.

Va detto che il pretesto dell'opera è di natura didascalica con una narrazione veloce che piace ai lettori. L'avventura misteriosa si manifesta presso l’isola di “Boulcam” ed è introdotta da una descrizione del paradiso terrestre dove la materia è diluita con sapienza, tanto che la transizione tra il momento pedagogico e quello romanzesco-onirico si manifesta linearmente. In sostanza, il paradiso terrestre è la testa del corpo formato da tutta la terra e si trova all’estremità orientale dell’Asia, che è una delle tre parti del mondo - essendo, le altre due, l’Europa e l’Africa. E' circondato da montagne scoscese, tranne che al suo ingresso, e nessuno può accedervi per la presenza di strane bestie, “feroci e velenose”, che le infestano. Ed è per questo motivo che gli animali fantastici sono feroci in quanto possiedono un carattere che li assimila all’elemento del fuoco.

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Così, come il paradiso terrestre è la testa, l’inferno è la fine di tutto il corpo formato dalla terra, luogo dove confluiscono i rifiuti dei quattro elementi. In questo luogo dimorano “i nemici di Dio, che tormentano, e tormenteranno per omnia saecula saecitlorum, le anime dei dannati”. In varie parti del mondo, inoltre, vi sono spiragli ed esalazioni del pozzo infernale. In Irlanda, ad esempio, vi è un cratere del purgatorio, mentre in Italia, nei mari del reame di Sicilia e nel ducato di Calabria, si trovano due isole, Stromboli e Vulcano, dai cui abissi scaturiscono fumo e fiamme d’inferno, che salgono al cielo tanto da essere visibili a chiunque. Il de la Sale, dopo aver disquisito con uno stile particolare, passa al racconto della sua avventura del 1407 alle isole Eolie (dette Lipari) precisando che quanto sta per raccontare corrisponde a verità perché lui stesso testimone oculare del tempo.

La tempesta, sicuramente occorsa al mercantile dei due catalani, assume il sapore di un avvenimento fatale. E la nostra mente corre a tanta letteratura gotica in cui si scatenano molteplici elementi che spingono il protagonista verso il cuore della vicenda, dove, appunto il de la Sale si manifesta pienamente come maestro del realismo descrittivo. In particolare, il suo sguardo si dirige sovente ai dettagli esteriori delle cose e dove sussiste una spontanea curiosità. Particolarmente interessante appare la vista dei vulcani. “Stromboli, la cui isola è dotata d’un porticciuolo dove attraccano piccole imbarcazioni a remi”, e che non può essere scalato da alcuno in quanto composto di roccia e ripido come un muro, mentre dall’altro è pianeggiante, ma coperto di pietre nere, grandi e piccole, e pesanti come il ferro, che rotolano sotto i piedi di chi volesse camminarvi. Inoltre, fonte ulteriore di pericolo deriva dalle pietre ardenti che, lanciate dalle fiamme e che cadono in mare.

Vi è una profonda attrazione dello scrittore per la descrizione dei dettagli.

L'altra isola descritta è Vulcano, dove viene introdotto nella narrazione come un primo elemento di mistero costituito dal costume superstizioso dei marinai di fissare agli ormeggi una piccola croce fatta di pezzi di legno uniti insieme. Viene descritta Vulcano e la sua vetta che è altissima “è concava e scavata come fosse un pane e dove dal fondo della fossa si levano, attraverso tre o quattro grandi crepe”. Nell'Excursion il gruppo è costretto ad allontanarsi dalle pendici del vulcano a causa del vento che spinge contro le esalazioni. Nonostante ciò il de la Sale e i suoi compagni, sebbene severamente ammoniti dall’equipaggio della nave, non rinunciano, il giorno successivo, al proposito di tornare a riprendere le spade e i loro foderi cadute durante la fuga, e a godersi la visione del paesaggio arrivati alla vetta.

Il racconto continua precisando che cavalieri e scudieri, tornati la sera a bordo della nave, scorgono, dal ponte di coperta, una barca in cui si trova un uomo che, remando di gran lena, avanza verso di loro. Appena giunto, questi, attracca la barca alle corde che pendono dalla nave e, agilmente, sale a bordo. Grande è lo stupore dell'equipaggio che si manifesta in una forte atmosfera realistica alla vista del personaggio che arriva, accrescendo il mistero. L’uomo vuole parlare con il capitano della nave e lo strano personaggio gli porge i saluti del governatore di Lipari. Lo stesso fa poi col più anziano dei capitani, il quale chiede chi sia, nel tempo presente, il governatore dell’isola. Nicholo de Lussio, è la risposta. Ma questi è morto, stando a quanto sa il vecchio capitano. L’uomo, quindi, gli dice che il governatore non è morto. Il rapido scambio di battute fornisce allo scrittore l'occasione per mettere in bocca al nuovo personaggio una affermazione cui il lettore non sa bene, né saprà sino alla fine, se credere o meno e ciò anima il mistero, ma grande è la gioia del capitano alla notizia che il suo amico Nicholo non è morto. E dopo aver disposto che si prepari da mangiare per l’uomo che ha portato la notizia, si ritira nella sua cabina e ordina di scrivere una lettera diretta al governatore, in cui lo prega di inviare scorte di viveri per tutto l’equipaggio.

La Sale e i suoi compagni non si capacitano delle orribili difformità del corpo e del viso dello strano personaggio da cui si sprigionano interi la suggestione, la paura, il fascino e la ripugnanza che, all’epoca dell’incontro, dovette provare il giovane scudiero de la Sale, all'epoca dei fatti diciannovenne. L’uomo spiega allora l’origine delle credenza delle croci, precisando che qualche anno prima l’isola di Lipari si trovava in guerra contro i Siciliani, i Sardi, i Corsi, i Genovesi e i Provenzali. Il governatore del tempo aveva incaricato l'uomo di eseguire una ricognizione per scoprire la provenienza di alcune navi che solcavano indisturbate le acque del porto. Egli una notte, per svolgere la missione, si gettò in mare e, avvicinatosi alle imbarcazioni, cercò di carpire alcune parole pronunciate dai marinai, perché comprendeva tutte le lingue, ma il rumore del vento glielo impedì. Allora iniziò a staccare i cavi e gli ormeggi delle navi, le quali poco mancò che si sfracellassero contro gli scogli.

Invalse, quindi, la consuetudine alla Eolie di fissare delle croci ai cavi. Quando il vecchio capitano fece ultimare la lettera con la richiesta dei viveri e pregato l'uomo di volerla portare al governatore, suo amico, lo strano personaggio si congedò allontanandosi. Di particolare interesse è la descrizione della scena della tempesta seguita poi anche dalla descrizione delle navi che si dirigono verso il porto di Lipari. Il de la Sale ci offre la descrizione dell’arrivo dei viveri che il capitano ha richiesto al governatore Messire Nicholo de Lussio, e poi la gioia dell’incontro tra i due. In particolare, precisa che “il governatore non ha dubbi: uno degli spiriti di Vulcano o di Stromboli ha tentato di affondare le navi!”. Nel lavoro dello scrittore del quattrocento francese si manifesta una piena modernità che coinvolge i lettori in un'epoca in continua evoluzione e che ci continua a trasmettere emozioni dopo oltre seicento anni dal suo viaggio giovanile alle Eolie.

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