di Ennio Fiocco
Dalle mie recenti ricerche mi hanno colpito gli scritti di Jeanne Villepreux-Power (1794 + 1871), rimasta in oblio per oltre 150 anni e da poco tempo rivalutata. Donna eclettica, partita da autodidatta fino ad arrivare nelle alte sfere della biologa marina. La sua storia personale è stata travagliata e merita di essere rivissuta. Nata in Francia a Juillac, il 25 settembre 1794 durante il periodo del terrore, primogenita di Pierre, un calzolaio del paese, e di Jeanne Nicot, una donna colta la quale poteva istruire i bambini del comune dopo che gli istitutori erano quasi del tutto scomparsi a causa della Rivoluzione.
All’età di 18 anni, nel 1812 - dopo che la madre morì e il padre si risposò - Jeannette partì a piedi per Parigi accompagnata nel viaggio da un cugino incaricato di trasportare una mandria ai macelli della capitale. Viaggiano a piedi per di 400 km, ma all’altezza di Orléans il parente si rivela indegno di fiducia in quando tenta di impossessarsi di lei. La giovane si ribella, corre alla polizia e lo denuncia. In attesa di ricevere da casa la lettera che l’autorizzi a continuare il viaggio da sola, è costretta a vivere in convento. Raggiunge la capitale dove il posto di lavoro che l'aspettava non era però più disponibile, ma la fortuna la toccò in quanto, aggirandosi in un quartiere elegante della capitale e fermandosi casualmente di fronte alla vetrina del negozio di moda Germon et Huchez - che vestiva tutta la Parigi bene dell’epoca -, venne notata dalla proprietaria che iniziò a chiacchierare con lei.
Colpita dall’entusiasmo della giovane, la assunse e presto Jeannette divenne la sua pupilla e la sua sarta migliore, tanto che le venne affidata la lavorazione dei merletti dell’abito nuziale di Maria Carolina di Borbone che, nel 1816, sposò il duca di Berry, nipote del re di Francia. Si pensa che in tale contesto, probabilmente, incontrò James Power, d’origine irlandese e devoto cattolico che la condusse a Messina dove aveva il proprio interessi come uomo d'affari. Il 4 marzo 1818, nella chiesa di S. Giovanni Evangelista della città peloritana, Jeannette sposò James, diventando Lady Power. Nell’anglofila città dello Stretto del primo ottocento i Power frequentavano la migliore società e l’attiva colonia inglese presente. Jeannette preferiva sopratutto dedicarsi alla ricerca naturalistica, in particolar modo quella dell’ambiente siciliano, senza essere mai osteggiata dal marito.
Affermava di aver “percorso a piedi e in tutte le direzioni più volte tutta la Sicilia, provincia per provincia, per fare collezioni di storia naturale e di antichità”. Furono proprio gli esiti di queste ultime, che contribuirono all’origine delle sue collezioni rare e insolite destinate a trasformare la sua villa in un punto di ritrovo per studiosi italiani e stranieri. Sapeva disegnare e dipingere in modo eccellente, oltre che praticare la tassidermia: la sua casa, ormai ritrovo dell'elite scientifica siciliana, era diventata un piccolo museo. Jannette deve la sua fama, però, alle ricerche oceanografiche; in particolare abitando nella zona del porto di Messina - in una villetta messa a disposizione, sembrerebbe, da Anastasio e Luigi Cocco, naturalisti ben noti nell'isola - dal 1832 iniziò ad analizzare tutte le creature marine, inaugurando la sperimentazione della vita nell’ambiente marino, costruendo delle gabbie, che vennero denominate “gabbioline Power” o “cages à la Power”.
Fra le creature marine analizzate figurano, oltre all’Argonauta, la Stella di mare, la Piovra, la Bulla lignaria ecc. Nel 1839 pubblica un libro sulle sue osservazioni naturalistiche e così diventa un’autorità nel campo scientifico. Ciò che propongo ai lettori con questa mia ricerca è un'altra opera pubblicata nel 1842 in italiano ed esattamente la “Guida per la Sicilia” presso un editore Partenopeo. In particolare, la specialità scientifica della “Guida” era data dal fatto che Jeannette vi aveva inserito una vera e propria “rubrica di storia naturale”, integrata in appendice da “alcuni cataloghi appartenenti alla Conchiologia , alla Tetologia, alla Ornitologia, alla Botanica, ecc.”. Di lei dicono nel 1844 “Dolce cosa è annunziare al pubblico la nuova Guida per la Sicilia della chiarissima Power, nome pur troppo noto agli scienziati nazionali e forestieri, nome che segna una scoperta nella Storia Naturale. L’opera che viene ora in luce è la più compiuta ed esatta fra quante in simil genere se ne conoscono”.
La “Guida” rappresenta un'opera speciale ed è stata il primo lavoro specifico di settore pubblicato per l'epoca, dove l'autrice parla e descrive i paesi siciliani e vengono descritti i monumenti l'arte, le biblioteche, i musei ecc. e ciò iniziando proprio da Messina, evidenziando che il tutto le è costato “fatica, e che dispendio ha dovuto costare a me tale impresa... “ e che la pubblicazione può essere “utile agli stranieri non meno che ai nazionali”. Si pensi che al tempo era pericoloso viaggiare in Sicilia, soprattutto per una donna quale Jannette, la quale ha dovuto pure cimentarsi con il dialetto siciliano! La ricercatrice, nell'introduzione afferma: “Chi si fa a visitare la Sicilia, classica isola, superiore ad ogni altra in ricchezze naturali ed artistiche, dee avvertirvi pur troppo la mancanza di una Guida esatta e completa.
Questa mancanza appunto fu da me riconosciuta quando, tratta principalmente da investigazioni di storia naturale trascorsi per ogni banda l'avventurosa contrada. Volsi l'animo sin d'allora a provvedere i viaggiatori di quell'ajuto che io non aveva trovato; e però più volte e per ogni verso ricalcai quella terra, notai quanto v'era di più importante sotto qualunque aspetto, e così formai il libro che ora presento al pubblico...”. Adesso mi soffermerò, in particolare sulle “Isole Eolie” trattate nella“Guida”. “L'isole anticamente Eolie meritano l'attenzione dei Naturalisti per le sostanze vulcaniche e per le produzioni marittime. Gli antichi non ne conoscevano più di sette...e convien dire che o posteriormente ne siano sorte altre tre...”.
Parla dell'Isola di Vulcano “Nel tentare di rompere a forza di martello qualche pietra di quelle che circondano questa valle, si sente un interno fragoroso rimbombo, che mentre ci assicura di esservi gran vuoto, fa pur temere per l'osservatore, che camminando per l'erta su quella sabbia biancastra piena di scorie e di pomici, sprofondar si vede sino alle ginocchia...si scende a cavare il zolfo, l'allume, il sale ammoniaco, ed altre sostanze vulcaniche, che si trasportano alla fabbrica della famiglia Nunziante...”. Nel descrivere geologicamente l'isola di Lipari afferma che “a piè del monte S. Calogero vi sono dei bagni minerali, ma non solfurei, con delle stufe. Da una crepaccia di questo monte ad un quarto di miglio al di sotto delle stufe vi è una sorgente di acqua quasi bollente, che serve per molini, abbondantissima, e che raffreddata serve pur bevanda agli abitanti...Il bagno, di cui fa parola Polibio, esistente in Lipari vicino il Tempio di Diana, fu rinvenuto dal benemerito Monsignor Reggio nei primi anni del corrente secolo. Egli ansioso di trovare qualche avanzo dell'antica città, fece fare degli scavi fra il palazzo vescovile e il Seminario...scoprì tre stanze; la seconda e la terza hanno pavimento a mosaico, nella prima delle due il mosaico costa di un tondo, entro cui è espressa una Sirena in atto di guidare un cavallo marino.
Nella terza il mosaico è formato a foggia di cornice consistenti in quadrettini rappresentanti varie figure, e nel centro un bove ed un cavallo marino, e tre delfini (emblema di Lipari). Sotto queste stanze vi era il passaggio delle acque termali sostenuto da ottanta colonnette formate da mattoni...Contigua alla prima stanza vi è una vasca, in cui si trovano utensili di terra cotta, come lucerne, tazze e vasi, alcuni dei quali conservati nella Libreria Vescovile. Dal fu Vescovo Monsignor Todararo, annojato dalle visite dei viaggiatori, che venivano ad ammirare questo nobilo monumento, fu nuovamente sotterrato: ciò mostra quanta stima avesse per l'Archeologia!...Le produzioni dell'isola più abbondevoli e squisite sono fra i vegetali i fichi, e l'uve dalle quali si estrae dolcissimo vino detto malvasia.
Dell'uva passa grossa e piccola, come ho detto, se ne fa gran commercio all'estero...”. Descrive l'isola di Salina e poi l'isola di Stromboli con le sue eruzioni. Parla anche dell'isola di “Panaria” e che le “isolette e scogli sono Basiluzzo, Dattilo, alla cui radice sgorga dell'acqua bollente, Lisca bianca, e Bottaro. Nello scoglio Basiluzzo si osservano vestigia di antico fabbricato, e vi si son rinvenute anticaglie; come medaglie ec...”. Infine la Villepreux- Power nel parlare delle diverse varietà dei prodotti vulcani rinvenuti alle Eolie, precisa che “ne raccolsi per mio gabinetto più di trecento esemplari diversi, e questi furono osservati da molti Geologi, frà quali l'egregio Barone Sartorius di Francoforte sul Meno.
Nel mare di queste isole si rinvengono quantità di molluschi...che sono i più grandi dè mari di Sicilia, e vi si pescano più varietà di coralli”. Per ironia della sorte durante il viaggio del rientro definitivo in Inghilterra, compiuto dai coniugi Power/Villepreux nel primo quarantennio del 1800, in nave che li conduce da Messina a bordo del brigantino Bramley, tutte le carte, le collezioni e gli appunti di Jeanne andranno perduti nel naufragio al largo delle coste bretoni, tornando in fondo al mare che le aveva generate.
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