di Ennio Fiocco
Strabone il geografo e le isole Eolie.
Nel I secolo a.C., l'impero romano viveva un'età dell'oro della conoscenza e della tecnologia con uno sviluppo sociale che raggiungeva altezze che non avrebbe più rivisto per mille anni. In tale contesto, un greco di Amaseia in Anatolia, di nome Strabo, detto Strabone (63 o 64 a.C. + 24 d.C) avrebbe creato una delle opere più importanti a livello di geografia. I grandi regni ellenistici sorti dalle ceneri dell'impero di Alessandro erano quasi crollati e l'intero bacino del Mediterraneo era caduto per la prima e unica volta sotto il dominio della potenza di Roma. Nella formazione intellettuale di Strabone l’interesse geografico si è certamente sviluppato grazie anche all’insegnamento di illustri omeristi del suo tempo, come Aristodemo. Da giovane studia retorica, grammatica, filosofia e matematica, prima in Anatolia e poi a Roma. E poi compie lunghi viaggi come nessun altro geografo dell’epoca.
Strabone e i suoi contemporanei pensavano alla Terra come a un globo diviso in cinque fasce: due fredde a nord e a sud, due temperate, e una al centro, torrida. La parte abitata, immaginata come una grande isola, era posta in un quarto settentrionale del globo, circondata da oceani. Lo presumevano, perché nessuno aveva circumnavigato la Terra. Prendendo il Mediterraneo come punto di riferimento, a sud c’era un continente che veniva chiamato dai Greci Libia, ad est c’era l’Asia, a nord l’Europa. L'opera importantissima, composta di più parti, dal titolo La Geografia rappresenta uno sguardo greco sul mondo allora conosciuto. Ho rinvenuto una traduzione francese di Amédée Tardieu (1822 - 1893), bibliotecario e geografo e nella parte che tratta le isole Eolie la presento ai lettori. Si tratta del Libro VI Italia, capitolo secondo da titolo “La Sicilia e le Isole Lipari”. Il poliedrico geografo afferma che: “La Sicilia è di forma triangolare: da qui il primo nome di Trinacria che le fu dato e che successivamente mutò in quello di Trinakia, più facile da pronunciare...Così da Pelorias a Mylae, il Chorographe conta 25 miglia; ne conta altrettanti da Mylae a Tyndaris, più 30 miglia fino ad Agathyrnus; Altre 30 miglia ad Alaesa e altre 30 a Cephalaedium, che oltretutto è, come le località precedenti, solo un piccolissimo luogo; Miglia 18 poi al fiore di Imera, il cui corso divide la Sicilia all'incirca a metà, miglia 35 a Panorme...”.
Nel descrivere anche i monti Nebrodi “situati proprio di fronte all'Etna”, Strabone ci parla dei fenomeni vulcanici delle isole Eolie. In particolare, “Fatti della stessa natura di questi, della stessa natura anche dei fenomeni vulcanici della Sicilia, si osservano nelle isole chiamate Liparee, in particolare nell'isola di Lipara. Il gruppo comprende sette isole. Lipara, colonia cnidica, è la più grande; è anche la più vicina alla Sicilia, almeno dopo Thermesse. Il suo nome originario era Meligunis. C'era un tempo in cui, padrona delle isole che la delimitano e che oggi sono designate col nome di isole Liparee, o talvolta anche col nome di isole Eole, quest'isola poteva allestire vere e proprie flotte, le quali, percorrendo la mari, respinsero a lungo le discese o le incursioni dei Tirreni. Più di una volta inviò persino a Delfi i resti di navi nemiche per adornare il tempio di Apollo. Oltre al terreno fertile, quest'isola ha una preziosa miniera di allume e sorgenti termali. Aggiungiamo che lì c'è un vulcano attivo. [Thermesse], o, come ora si chiama, Hiera, l'isola sacra di Vulcano, è situata circa a metà strada tra Lipara e la Sicilia; il suolo è ovunque roccioso, spoglio e vulcanico.
Vediamo il fuoco scaturire attraverso tre orifizi, in altre parole attraverso tre crateri. Il più grande non vomita solo fiamme, ma anche masse o blocchi ignei che hanno già riempito buona parte dello stretto. Secondo tutti i fatti osservati, si crede generalmente che siano i venti che causano e causano le eruzioni del vulcano di Thermesse, così come causano quelle dell'Etna, e che, quando i venti cessano, anche le sue eruzioni cessano. Questa opinione, a nostro avviso, non è affatto irragionevole. Qual è infatti il principio, l'elemento che fa nascere i venti e che li alimenta? L'evaporazione del mare Non c'è quindi nulla di stupefacente, per chi ha assistito una volta a questo tipo di spettacolo, che sia un principio, un elemento congenere che accende il fuoco dei vulcani. Polibio trovò uno di questi tre crateri già in parte crollato su se stesso, ma gli altri due ancora intatti. Il più grande aveva una circonferenza di cinque stadi al suo margine esterno, poi si restrinse gradualmente fino a raggiungere un diametro di soli cinquanta piedi a uno stadio sopra il livello del mare, che era ben visibile dai resti dall'alto finché il tempo era calmo. Ecco ora ciò che Polibio aggiunge relativamente ai venti: se è il Notus che deve soffiare, un vapore nero, così denso da nascondere anche la vista della Sicilia, si diffonde intorno all'isoletta; Boreas invece è annunciata da fiamme molto nette, che si vedono scaturire dal centro del suddetto cratere e da detonazioni più forti del solito; quanto ai segni che annunciano lo Zefiro, essi tengono in qualche modo il mezzo tra i precursori del Notus ei segni che precedono Borea.
Gli altri due crateri hanno la stessa forma, lo stesso aspetto di questo, ma una forza eruttiva molto minore, e si può, secondo la differenza di intensità delle detonazioni e secondo il punto di partenza delle eruzioni fiamme o fumo, prevedere con certezza il tempo per tre giorni dopo. Fu così che gli abitanti di Lipara annunciarono a Polibio, allora trattenuto a terra dal maltempo che gli impediva di salpare, che presto si sarebbe levato un altro vento, e la cosa in effetti avvenne come avevano annunciato. Da tutto quanto sopra Polibio conclude che Omero, facendo di Eolo il donatore dei venti (il che può sembrare a prima vista una favola nel pieno senso della parola), non ci ha dato una pura finzione, ma la verità anche sotto un ingegnoso travestimento. Abbiamo visto all'inizio di questo lavoro cosa pensavamo al riguardo; riprendiamo dunque la continuazione della nostra descrizione del punto in cui questa digressione l'ha interrotta, poi trattenuti a terra da un brutto tempo che impediva di salpare, che presto sarebbe sorto un altro vento, e la cosa accadde davvero come avevano annunciato. Da tutto quanto sopra Polibio conclude che Omero, facendo di Eolo il donatore dei venti (il che può sembrare a prima vista una favola nel pieno senso della parola), non ci ha dato una pura finzione, ma la verità anche sotto un ingegnoso travestimento i Eole la donatrice dei venti (che a prima vista può sembrare una favola nel pieno senso della parola), non ci ha dato una pura finzione, ma anzi la verità anche sotto un ingegnoso travestimento...
E, come abbiamo già descritto Lipara e Thermesse, passiamo a Strongyle. Quest'isola prende il nome dalla sua forma arrotondata; è anch'essa di natura vulcanica, ma le sue eruzioni, molto minori per intensità di quelle delle altre due isole, la superano di gran lunga per splendore e splendore dei fuochi. Così i mitografi ne avevano fatto la dimora stessa di Eole. Didyma, la quarta isola del gruppo, deriva, come Strongyle, il nome che porta dalla sua configurazione”. Il geografo scrittore ci accenna anche alla due isole situate ai margini dell'arcipelago e cioè le attuali Filicudi ed Alidudi che erano adibite all'allevamento e al pascolo del bestiame. Infatti nei suoi scritti afferma espressamente che: Quanto ad Ericussa e Feniciussa, che vengono dopo, è dalla natura delle loro piantagioni che hanno tratto le loro; sono inoltre adibiti l'uno e l'altro esclusivamente all'allevamento e al pascolo del bestiame. Infine, se la settima, che si trova più al largo delle altre e che risulta essere completamente deserta, si chiamava Evonymos, è perché ce l'hai appena alla tua sinistra quando vai da Lipara in Sicilia. Non è raro, inoltre, da queste parti vedere delle fiamme scorrere sulla superficie del mare, apparentemente in conseguenza dell'apertura di qualche cratere sottomarino dovuto agli sforzi che il fuoco interno compie incessantemente per creare nuove uscite all'esterno.
Posidonio descrive un altro fenomeno osservato del suo tempo.“Un giorno, dice, all'ora del solstizio d'estate, si vide, appena sorse l'alba, il mare tra Iera ed Evonimo gonfiarsi in modo prodigioso, continuare per un certo tempo a gonfiarsi ancora, poi arrestarsi improvvisamente; le barche si diressero subito da quella parte, ma la vista di una quantità di pesci morti portata dal diluvio, uniti all'eccesso di caldo e all'odore rivoltante che esalava dal mare, spaventavano coloro che li montavano e li costringevano alla fuga; una sola barca, per essersi avvicinata, perse parte della sua gente e riportò il resto con grande difficoltà a Lipara e ancora in uno stato pietoso, in preda a crisi di delirio (un delirio analogo a quello degli epilettici), seguì, è vero, per improvvisi risvegli della ragione.
Pochi giorni dopo si formarono sulla superficie del mare delle efflorescenze fangose, accompagnate in certi punti da un rilascio di fiamme, vapori e fumo, poi questo fango si indurì e formò un'isola avente la consistenza e l'aspetto della macina. Il pretore di Sicilia, Tito Flaminino, si affrettò a portare il fatto a conoscenza del senato, il quale a sua volta inviò una deputazione a celebrare sul nuovo isolotto, oltre che a Lipara, un duplice sacrificio in onore degli dei infernali e delle divinità del mare”. Interessantissima l'opera del grande Strabone che ci appassiona anche oggi a distanza di oltre duemila anni e che ci fa rivivere il tempo in un'epoca fantastica che ci arricchisce di emozioni.
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