di Ennio Fiocco
Il marchese Marie Joseph de Foresta-Collongue e le Eolie nel 1805
La Sicilia nel settecento e nell’ottocento è stata un isola mitica dei viaggiatori stranieri, tappa obbligata del grand tour europeo, sebbene lontana e difficile da raggiungere anche per gli assalti barbareschi. Nel 1805, a soli 22 anni, Marie Joseph marchese di Foresta, si reca a visitare le città siciliane e le isole Eolie redigendo una opera interessante dal titolo “Lettres sur la Sicile” composta in due tomi e pubblicata soltanto nel 1821. Il giovane apparteneva ai Marchesi de Foresta, nobile famiglia francese che era originaria dell'Italia ed esattamente di Diana Marina in Lugiria, che si era stabila in Francia nel XVI secolo con i favori dei regnanti.
Non va sottaciuto che all'epoca, era nota la dispotica decisione di Napoleone Bonaparte di usurpare il Regno delle Due Sicilie in quanto era funzionale da un lato all’attuazione del progettato blocco continentale e, dall’altra, apriva concrete speranze di conquista dei preziosi giacimenti sulfurei della Sicilia, oltre che della strategica posizione di quest’ultima. Tuttavia i Borboni furono sempre contrari alle mire espansionistiche dei Francesi in quanto aderirono a due delle numerose coalizioni militari contro di essa, tanto che nonostante il Regno del Sud (comprensivo della Calabria) fu aggredito ed incorporato, tuttavia la Sicilia non venne invasa e/o occupata dalle truppe francesi.
Il marchese era nato a Marsiglia il 28 marzo del 1783 e dopo qualche anno dal viaggio al Sud aveva intrapreso la carriera di prefetto con prestigiosi incarichi.
Propongo ai lettori la parte delle lettere inerenti le isole Lipari (che ho tradotto e che sono contenute nel primo tomo, rinvenuto da ricerche on line in una biblioteca statunitense).
Il giovane scrittore inizia a descrivere le Eolie a bordo dell'imbarcazione “Apollon” la mattina del 29 luglio 1805 notando i fumi dello Stromboli all'orizzonte e “verso la sera abbiamo raggiunto la riva occidentale di questa isola...Al tramonto, ci mancava il vento come nei giorni precedenti; Siamo rimasti immobili sotto il cratere stesso del Vulcano, in modo che potessi esaminare i suoi fenomeni per tutto il tempo.
Di intervallo in intervallo fiamme brillanti illuminavano le tenebre...e disturbavano il riposo. A sua volta la voragine vomitava turbini neri di fumo e piogge di scorie infuocate, alcune delle cui lance cadevano verticalmente nell'abisso ardente, le altre delle quali descrivevano una leggera curva rotolata sui fianchi della montagna, e veniva ad affondare nelle onde....La parte nord-orientale offre una superficie più appiattita, meno battuta dal vento, meno esposto alle espulsioni del cratere, e di conseguenza meno se ne impadroniva. Qui l'uomo ha riconosciuto il suo dominio, se ne è impadronito; E questa terra, conquistata sugli elementi più distruttivi, rende il suo tributo generosamente alle mani che la coltivano.
Non produce grano, legno o foraggio; ma vini prelibati, ottimi ortaggi, frutta saporita, cotone di qualità superiore a quelli della provincia di Salerno, per vedere, per mezzo di scambi, la sussistenza di circa trecento famiglie che, unite in un piccolo borgo, compongono l'intera popolazione dell'isola...assapora una pace profonda, mentre le nazioni si tagliano la gola per ottenere, forse, uno sguardo dei posteri. I fulmini del vulcano scoppiarono sulla sua testa, le onde irritate si infrangono ai suoi piedi; Il mio Dio che getta fulmini, il Dio che solca le onde, si lascia appassire, risparmia i suoi figli: gli dei della terra, meno pietosi, non sempre risparmiano i loro.
Ho visto, sulle pendici della montagna, diversi viticoltori che” legavano le viti a piccoli tralicci orizzontali (pergolette), e sulla riva alcuni pescatori che risistemavano le loro imbarcazioni frantumate. Sebbene il lavoro sia un'indicazione abbastanza certa della moralità, e l'apparenza di una società di uomini industriosi sia sempre di buon auspicio del loro carattere, non imiterò quel navigatore che scrisse nel suo diario che sapeva di aver superato cinque leghe da Tenerife, i cui abitanti gli sembravano molto affabili. Ma se non oso dire lo stesso di quelli di Stromboli, è giusto almeno notare, sulla fede di due osservatori veritieri, che non lo fanno.
Non mi associo al giudizio di M. Bridone, senza averli esaminati più attentamente di quanto non abbia fatto io” e che impaurito non osò scendere a terra tenuto conto che la popolazione selvaggia. Il Marchese de la Foresta, dopo aver parlato a lungo di mitologia, osserva che “ gli abitanti di Stromboli avevano un modo sicuro di prevedere le tempeste, consultando lo stato del loro vulcano, i cui parossismi, più o meno vicini, indicano, con due o tre giorni di anticipo, tutte le vicissitudini dell'elemento infido....”.
Parla poi dell'isola di Lipari. “Due terzi della sua superficie, coltivata con cura, produce olive, mais, un po' di grano, ottimi fichi e un certo vino Malvasia, di cui, a ragione, i buongustai italiani tengono grande considerazione. Il resto dell'isola, intervallato da anfratti e colline, offre solo terreni incolti...Nella parte occidentale dell'isola, e ad una notevole altitudine sotto il livello del mare, si trovano forni sulfurei il cui calore non è inferiore a quarantacinque-cinquanta gradi del termometro di Réaumur.
È riconosciuto che è l'effetto più benefico nel trattamento della sifilide, delle malattie reumatiche e in generale di tutte le malattie linfatiche; ma, per mancanza di edifici adatti all'accoglienza degli stranieri, l'uso è quasi abbandonato ai locali, potrebbe al massimo” recarsi “qualche calabrese delle coste vicine. Lo stesso vale per le acque termali di San Calogero, un tempo molto frequantate dai voluttuosi di Roma, e dove difficilmente oggi vengono inviati a curare i venerei e i galeotti delle piccole guarnigioni dell'arcipelago eoliano...”.
Il giovane scrittore descrive poi l'isola di Vulcano con l'immenso cratere spento dal 1775.
Evidenzia che “Le isole Eolie producono cotone di buona qualità, vini squisiti, ma molto inebrianti; un po' di olio, un po' di seta e tanta ottima frutta, tra gli altri piccoli acini delle specie di quelli di Corinto, vengono essiccati al sole dopo una breve immersione in un detergente alcalino, il cui scopo è quello di assorbire l'acido, e vengono spediti all'estero circa ventimila barili all'anno. Gli abitanti scambiano questi alimenti con quelli che la natura del loro suolo rifiuta per produrre, esportano anche una notevole quantità di zolfo, allume e pietra pomice, di cui da soli riforniscono tutte le officine d'Europa. Il coraggio dei Liparoti, la loro laboriosa attività, il loro zelante patriottismo: quali sudditi del re di Napoli, e sudditi fedelissimi, conservano quel tipo di indipendenza che caratterizza tutti gli isolani, e che, tra loro, è tanto più marcata quanto meno frequenti sono i loro rapporti con il continente.
Senza essere precisamente costituiti come un corpo di nazione, l'isolamento della loro situazione topografica li rimuove dalla giurisdizione quotidiana della metropoli; e la più perfetta conformità dei bisogni, degli interessi, delle abitudini, li unisce in una specie di piccola confederazione comunale: era preferibile alla completa emancipazione politica, in quanto procura a livello nazionale tutti i vantaggi della libertà civile, pone agli occhi dello straniero i popoli ricchi che ne godono sotto l'egida protettiva di un potere rispettato. Quelli di Lipari, fieri e gelosi dei loro precedenti privilegi, seppero conservare certi franchigie” su concessione del re Ruggero il normanno. Queste lettere, ben redatte dallo scrittore-viaggiatore francese, sono ricche di particolari e rappresentano la reale situazione nel luglio del 1805 e ci fanno meglio conoscere le Eolie del tempo e i suoi abitanti ricchi di storia e dediti al lavoro in una marcata ed invidiabile autonomia.
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