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di Ennio Fiocco

Ibn Jubayr, il viaggiatore arabo-andaluso e la meraviglia dei vulcani.

Ibn Jubayr è stato un viaggiatore e poeta arabo-andaluso. Ha studiato scienze religiose e letteratura e diventò presto un funzionario nell’amministrazione di Granada in Spagna. Per una improvvisa crisi religiosa intraprese a 38 anni il viaggio di pellegrinaggio (che durò due anni) alla volta della città santa di la Mecca, al fine di adempiervi il precetto. Il pellegrinaggio è il quinto pilastro dell’Islam ed è un atto obbligatorio che può essere compiuto soltanto a determinate condizioni. In particolare, ciascun musulmano ha l’obbligo di recarsi alla Mecca almeno una volta nella vita se i suoi mezzi lo consentono. Ciò costituisce un evento alquanto importante e rappresenta un mezzo di purificazione. Nel viaggio verso e attorno la casa di Dio l’uomo chiede perdono per i suoi peccati e viene purificato attraverso il suo pentimento e la celebrazione dei riti. Il musulmano, dopo il pellegrinaggio, porta il titolo meritorio di Hajji, e dovrebbe tendere verso una vita devota.

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Il pellegrinaggio rappresenta anche un valido sistema d’integrazione sociale e il luogo del pellegrinaggio è proprio la grande moschea che comprende la Ka’bah e la fonte di Zamzam. Il tutto, però, è oggetto di venerazione, ma non di adorazione. Quello che all’inizio doveva essere un breve lasso di tempo si rivela per Ibn un lungo e difficile viaggio di ritorno, contrastato da plurime difficoltà. Sull'imbarcazione che lo condurrà a casa incontra non solo musulmani, ma molti cristiani che come lui vogliono ritornare nella loro terra. Le peripezie della natura avversa che deve superare lo porteranno nella magnifica terra di Sicilia dove troverà un mondo diverso da quello immaginato. Unitosi al gruppo di musulmani che viaggia con lui, lo studioso incontrerà molti dei suoi connazionali e resterà sbalordito da quello che gli diranno. I cristiani non sono come egli immaginava, hanno assorbito moltissimo della loro civiltà e anche se la fede è diversa, il loro fervore e la loro umanità e condiscendenza non sono da meno di quelle musulmane.

Ha scritto un resoconto dettagliato pubblicato in diverse lingue e che a tutt'oggi ci appassiona a distanza di oltre 840 anni. “Sabato 28 del mese di jumada II, corrispondente al 6 di ottobre [1184], col favore di Dio verso i musulmani, ci imbarcammo su una grossa nave provvista d’acqua e di viveri, dove i musulmani presero posto separati dai Franchi. Vi salirono anche dei cristiani detti b.l. ghriyyun, i pellegrini di Gerusalemme, una folla da non potersi contare, da oltrepassare le duemila persone - Dio per sua grazia e bontà ci liberi al più presto della loro compagnia”. Così inizia questo viaggio, dove il letterato Ibn, tra invocazioni ad Allah, indugia sui caratteri avventurosi del vento e dei marosi, sulla separazione tra cristiani e musulamani, sul grande mercato dove tutto si può comprare a bordo della nave e anche sulla prassi dei corpi dei defunti gettati in mare e i loro beni presi dal capitano.

Poi, la Sicilia, in quel periodo sotto il dominio del franco Guglielmo II ma ancora abitata da musulmani, tanto che l’arabo era davvero lingua franca del Mediterraneo, anche tra i cristiani colti. Resta colpito dal sovrano che sembrerebbe saper leggere e scrivere in arabo, che dà soldi ai musulmani affinché possano permettersi di sbarcare; ma anche dai costumi delle donna di Sicilia. Toccò nelle sue tappe Ceuta e da qui si diresse, passando per la Sardegna, la Sicilia e Creta, verso l’Egitto, al fine di dirigersi poi verso la Penisola Araba navigando lungo il Mar Rosso. In Sicilia fece ritorno nel 1184, al ritorno dal suo lungo viaggio che lo aveva portato a soggiornare per nove mesi alla Mecca e, quindi, a Baghdad, Mosul e Aleppo e nell’isola soggiornò fino al febbraio 1185. Nel suo resoconto descrisse l’isola all’epoca dei Normanni. Quando parla di Palermo, ad esempio, riferisce che “In questa città i Musulmani conservano traccie di lor credenza, essi tengono in buono stato la maggior parte delle loro moschee e vi fanno la preghiera alla chiamata del muezzin. Vi hanno dei sobborghi dove dimorano appartati dai Cristiani; i mercati sono tenuti da loro e son essi che vi fanno il traffico...

Guglielmo II dedica la Cattedrale__ di Monreale alla Vergine, mosaico del Duomo di Monreale.JPG

Le donne cristiane di questa città all’aspetto sembrano musulmane, parlano [arabo] correttamente, si ammantano e si velano [come quelle]. In detta solennità uscirono fuori vestite di abiti serici, ricamati in oro, avvolte in drappi splendidi, velate con veli a colori, calzando scarpe dorate. Il viaggio di Ibn si conclude anche con un naufragio sulle coste di Messina. Va detto che la Sicilia, per circa duecento anni, era stata precedentemente sotto il dominio Arabo ed ha conservato le preziose innovazioni apportate in molteplici campi. L’occhio di Ibn diffida però presto dei nuovi regnanti, fino a farsi astioso. Nei giorni d’attesa, col mare in burrasca, giunge alla conclusione che la pacificazione tra cristiani e musulmani nasconda una vera forma di oppressione, o il subdolo tentativo di imporre conversioni, da parte del re normanno Guglielmo II. Nella sua opera dettagliata riferisce che “Questo Re ha in Messina un arsenale con flotte le cui navi sono innumerevoli. Un altro simile ne tiene ad Madinah (Palermo). Noi scendemmo (a Messina) in un fondaco dove restammo nove giorni”.

La partenza da Messina per Palermo avviene il 18 dicembre dell'anno 1184.

Le isole Eolie sono di passaggio e vengono descritte nel resoconto dal viaggiatore arabo-andaluso in questo modo: “ montammo in una barca diretti ad al-Madinah anzidetta, e costeggiammo da vicino la spiaggia sì da non perderla di vista. Dio ci mandò un venticello di levante, leggero, piacevole che spingeva dolcemente la barca a seconda. Facevamo spaziare lo sguardo su colti e villaggi continui, e fortezze e rocche piantate sulle vette dei monti, e scorgevamo sul mare, a mano destra, nove isole (Le Eolie) che si innalzavano come monti elevato, poco distanti dalla costa di Sicilia. Due di questi eruttavano fuoco di continuo; vedevamo alzarsi il fumo che di notte appariva come fuoco rosso, con delle lingue (di fiamma) che salivano al cielo.

Questo è il vulcano famoso. Ci fu detto che il fuoco viene da fuori da spiragli nei due monti anzidetto, che (cioè) da essi si sprigiona con violenza un soffio infuocato che si converte in fiamma. Spesso avviene che da questi spiragli è vomitato un sasso grande, ed il (fuoco) per forza di detto soffio, lo lancia in aria e gli impedisce di fermarsi e di ricadere al fondo. Questa è una delle cose vere fra le più meravigliose che si sentono raccontare”. Concludo questo mio lavoro immaginando le isole in quel tempo, abitate solo in parte e fortificate dai re succeduti alla dominazione araba. Penso ai monaci di Lipari che intorno al 1131 hanno edificato il chiostro normanno che è stato riscoperto casualmente soltanto pochi decenni fa.

Tutto ciò ci emoziona come anche il resoconto di Ibn Jubayr.

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