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di Ennio Fiocco

Giacomo Carduini, il Vescolo di Lipari dal 1489 al 1506, e il sangue di San Gennaro.

L'esistenza della diocesi a Lipari viene già attestata nel III° secolo d.c. con l'arrivo delle sacre spoglie dell'Apostolo S. Bartolomeo. Inizia così una nuova fase storica, ricca sicuramente di eventi, ma a noi scarna dai pochi documenti in possesso. A Lipari arrivarono i monaci di rito latino, probabilmente nel V secolo e, successivamente, greci nei primi anni del IX secolo. Con l'occupazione araba questi ultimi avevano interesse soltando a garantire il primato sul mare e i Vescovi a Lipari non continuarono nella loro tradizione. Con l'avvento normanno si ebbe una ripresa ed uno sviluppo notevole.

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Non si dimentichi l'edificazione del chiostro normanno a noi pervenuto nella sua magnificenza solo nel secolo scorso. Successivamente, al tempo dei Vespri Siciliani (1282) il vescovo Varelli presentò a Roma, a Carlo d’Angiò e a Martino IV, le lamentele per i soprusi dei Francesi. Lipari rimase fedele alla corte di Napoli con Carlo D’Angiò mentre in Sicilia governava Pietro III d’Aragona. Nel 1302, con la Pace di Caltabellotta, fra Angioini e Aragonesi, Lipari fu riannessa al Regno di Sicilia. Infine, nel 1445 Lipari venne nuovamente aggregata al Regno di Napoli con Ferdinando I. Come premio per i servizi prestati, re Alfonso d’Aragona le diede il titolo di Fedelissima e passò al Regno di Sicilia. Mi è sembrato necessario ripercorrere il periodo storico e ciò per presentare ai lettori il Vescovo Giacono Arduini, nominato nel 1489 e morto il 16 giugno 1506. Ho rinvenuto casualmente una breve ricerca, a firma di Franco Pezzella, che mi

permetto riportare per intero: "Tra i numerosi vescovi che ebbero natali aversani riportati da Giovan Battista Pacichelli nel Regno di Napoli in prospettiva … edito a Napoli nel 1703, troviamo menzionato anche Giacomo Carduini che fu vescovo di Lipari, nell’arcipelago delle Eolie, dal 9 ottobre del 1489 al 16 giugno del 1506, giorno in cui morì. Le fonti ci hanno tramandato ben poco sia della vita sia dell’azione pastorale di questo vescovo fatto salvo: che, nel 1479-80, fu lettore (professore) di Istituzioni di Diritto pubblico presso l’Università di Napoli, con lo stipendio di 20 ducati; che il 25 gennaio del 1494 fu presente all’incoronazione di Alfonso II d’Aragona, succeduto al padre Ferdinando I, più noto come Ferrante, sul trono del Regno di

Napoli; e, ancora, che, nella primavera del 1503, officiò nella cattedrale di Napoli, quale vicario dell’arcivescovo, la cerimonia religiosa tenutasi in occasione del giuramento della città ai nuovi sovrani spagnoli e dell’insediamento del già designato viceré Gonzalo Fernández de Córdoba. Era accaduto, infatti, che il 15 maggio di quell’anno, i delegati nobili avevano consegnato a quest’ultimo, al termine di una lunga contesa tra Francia e Spagna per accaparrarsi il Regno di Napoli, le chiavi e il Libro dei Privilegi della città (ovvero il codice dove si esplicavano i diritti di cui si poteva godere durante il dominio sul capoluogo partenopeo), riconoscendolo così, sostanzialmente come primo viceré del Regno. La figura del presule aversano è, però, legata, soprattutto, seppure in un ruolo complementare, alle burrascose vicende che, nel 1497, portarono alla traslazione delle reliquie di san Gennaro dall’abbazia di Montevergine a Napoli. Come narrano le antiche cronache, queste, verso l’anno 831, erano state trafugate dal principe longobardo Sicone dalle catacombe extra-moenia di Napoli e trasferite nella chiesa di Santa

Maria di Gerusalemme di Benevento. In epoca non meglio precisabile, tra il XII e il XIII, le reliquie erano state poi portate a Montevergine, verosimilmente per sottrarle alla furia devastatrice degli eserciti che si contendevano le terre campane in quella contingenza, e poste sotto l’altare della basilica abbaziale, dove furono ritrovate, dopo che se ne era persa la memoria, nel 1480, in occasione di un restauro. Qualche anno dopo, il 12 novembre del 1489, re Ferrante, fortemente impressionato dalla liquefazione del sangue del santo martire che si ripeteva e si ripete tuttora più volte all’anno, convinto, viepiù, che il ritorno delle ossa del santo a Napoli sarebbe stato avvertito dal popolo come un favorevole presagio di buon governo, chiese al commendatario di Montevergine, il cardinale Oliviero Carafa, di intercedere presso il pontefice Innocenzo VIII - con il quale non si era mai completamento rappacificato dopo la

guerra del 1485-86 scoppiata per reciproche interferenze nelle vicende interne dei due potentati - affinché le sacre reliquie tornassero a Napoli. Dopo lunghe trattative intercorse tra le parti, durate diversi anni, e ancorché i monaci virginiani vi si siano opposti con tutte le loro forze, il figlio di Ferrante, Federico I, che era nel frattempo succeduto al padre e al fratello Alfonso, nel 1496, ottenne da Alessandro VI - che era succeduto, a sua volta, a Innocenzo VIII - un breve pontificio, grazie al quale, il 13 gennaio dell’anno successivo, alla testa di un corteo di devoti, nobili e uomini di chiesa, l’arcivescovo di Napoli, Alessandro Carafa, affiancato dal fratello Ettore e dal nostro Giacomo Carduini, dopo aver prelevato nei giorni precedenti le spoglie di san Gennaro, poté finalmente fare l’ingresso in cattedrale per depositarle nel sottostante succorpo, dove ancora si conservano. Più tardi l’avvenimento fu immortalato nell’argento del paliotto - cesellato nel 1697, con grande perizia dall’argentiere di Massalubrense Gian Domenico

Vinaccia - che si ammira sotto la mensa d’altare della Cappella del Tesoro di San Gennaro in cattedrale”. Giacomo Carduini, il Vescolo di Lipari che non conoscevo prima d'ora, ci appassiona a distanza di oltre cinquecento anni e cioè quanto nel 1503 officiò nella cattedrale di Napoli, quale vicario dell’arcivescovo, la cerimonia religiosa in occasione del giuramento della città ai nuovi sovrani spagnoli, nonché prendendo parte al corteo delle reliquie di S. Gennario per la traslazione delle stesse al duomo di Napoli.

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