di Ennio Fiocco
L'inferno degli Sterrati dell'isola di Vulcano (I figli di nessuno).
Questa mia ricerca intende esaminare l'ultima disastrosa eruzione del 1888 dell'isola di Vulcano e sui coatti presenti. Il sistema penitenziale borbonico in Sicilia sembrerebbe sia stato fra i meno disumani d'Europa e che è stato riformato concedendo ai carcerati delle esigenze elementari al fine di educarli e di permettere loro di iniziare una nuova vita, una volta espiata la pena, sebbene tale riforma non diede luogo agli effetti desiderati per effetto dell'ostruzionismo della burocrazia isolana, alle continue rivoluzioni che il Regno dovette subire dal 1820 al 1860 e all'arretratezza della mentalità locale. Il sintesi, riformismo borbonico venne influenzato dalla presenza inglese in Sicilia tra il 1799 e il 1814, dove l'isola divenne il baluardo inglese contro l'avanzata delle forze francesi.
La Sicilia rappresentò, in quell'occasione, l'unico lembo d'Europa che fosse rimasto esente dalla conquista napoleonica e gli inglesi contagiarono la corte borbonica in esilio con il loro riformismo che, in parte venne imposto, come nel caso della Costituzione Siciliana del 1812 con i principi innovatori della rivoluzione francese. La destinazione al lavoro dei condannati alla reclusione, fino ad allora abbandonati nel più terribile ozio, presso manifatture da costituirsi all'interno degli stessi penitenziari; l'istruzione religiosa e morale ai carcerati ecc. Con l’emanazione della Carta Fondamentale del 1812 si ebbe la conferma che gli impulsi post illuministici avevano reso i tempi maturi per poter assistere anche nell’Isola ai primi pallidi interventi giuridici volti alla codificazione.
Pur tuttavia conosciamo l'intervento successivo dei Garibaldini con la spedizione dei Mille e l'unificazione dell'Italia sotto il Regno sabaudo. Il 15 agosto 1863 fu varata la legge 1409, nota come Legge Pica, con lo scopo di reprimere il brigantaggio e qualsiasi forma di resistenza armata nelle province meridionali e puniva con la fucilazione o i lavori forzati a vita chiunque avesse opposto resistenza armata alla forza pubblica, senza fare alcuna distinzione tra criminalità comune e brigantaggio politico antiunitario. Introduceva nel diritto pubblico italiano la pena del domicilio coatto per gli oziosi, i vagabondi, i camorristi e i sospetti manutengoli e prevedeva l’istituzione di milizie volontarie per la caccia ai briganti, stabilendo anche premi in danaro per ogni persona catturata o uccisa. Nelle successive modificazioni, essa fu estesa anche alla Sicilia con lo scopo di combattere la renitenza alla leva militare, che aveva raggiunto nell'isola dimensioni enormi. La coscrizione obbligatoria era sconosciuta in Sicilia, ma il governo, senza tener conto della diversa legislazione nei vari territori annessi, proprio nei mesi in cui nel Mezzogiorno esplodeva la protesta contadina, aveva bandito una leva di 36.000 uomini, provocando la fuga sulle montagne di migliaia di giovani.
Con la legge Pica, si intese colpire duramente i renitenti e le loro famiglie. Passando all'isola di Vulcano, è notorio che il prodotti dei minerari furono sfruttati sin dall'antichità e costituirono una delle maggiori risorse economiche. Nel 1813, il Re delle due Sicilie, Ferdinando I, diede questa attività in concessione al Generale Nunziante. Nel 1870, passò in proprietà alla Ditta Stevenson di Glasgow fino al 1888. Si raccoglieva lo zolfo (e anche altro minerale) raschiando il suolo fumarolico che ne era impregnato. Esistevano poi estese croste di zolfo fuso che si ricavava con grande facilità. Maggiori quantità di allume venivano ricavate dai Faraglioni di Levante dove il terreno originariamente trachitico, era fortemente decomposto dall'azione delle fumarole. Qui erano state scavate ampie grotte. In particolare, a ridosso dei Fraglioni si trovavano allocate le tettoie delle fabbriche, nelle quali lavoravano intorno al 1848 circa 400 coatti nelle grotte dei Faraglioni in spaventose condizioni di miseria e insalubrità. Lo stesso scienziato Spallanzani su finire del secolo precedente parlò nei sui scritti delle rovine dei forni nei quali un tempo lo si fondeva. Anche Alexandre Dumas nel 1835 visitò l'isola e il suo diario ne rappresenta le immagini vive e dure, insieme all’amico, il pittore Jadin, al cane Milord e al capitano Arena.
Si ha la perfetta descrizione dei condannati ai lavori forzati che estraggono lo zolfo dal cratere di Vulcano, come in un girone dell'inferno di Dante. Lo scrittore incontrò i figli del Nunziante e con loro si recò sul vulcano per vedere le condizioni dei forzati che lavoravano nelle miniere poste dentro il cratere descrivendo così: “costeggiammo una montagna piena di gallerie; talune erano chiuse da una porta e anche da una finestra, altre sembravano più semplicemente delle tane di animali selvaggi”; “circa quattrocento uomini abitavano in questa montagna e secondo l’indole più o meno industriosa lasciavano abbruttire la loro dimora oppure cercavano di renderla un pochino più confortevole”. Riferisce negli scritti che i coatti presentavano un aspetto davvero curioso per le colorazioni subite sul corpo e “Vedendo questo bizzarro spettacolo ci pareva difficile pensare che ciascuno di essi fosse un ladro o addirittura un assassino. “Ci colpì soprattutto un ragazzino che poteva avere sì e no quindici anni e aveva un viso dolce e quasi femmineo. Chiedemmo quale fosse stato il suo crimine e ci fu risposto che a soli dodici anni, aveva accoltellato a morte un cameriere della principessa della Cattolica...”.
Il sistema dei coatti restò immutato per altri 60 anni ed esattamente fino al 1915.
Sembrava tutto tranquillo nell'isola di Vulcano nel mese di agosto del 1888, ma la notte tra il 3 il 4 agosto il cratere sussultò violentemente. Scene apocalittiche si susseguirono per ben 18 mesi.
La notte del 3 agosto 1888 il grande risveglio del Vulcano con una violenza mai registrata a memoria d’uomo, sia nell’isola di Vulcano che nelle altre restanti isole dell'arcipelago.
L’eruzione fu preceduta, nella notte tra il 2 e 3 agosto verso la mezzanotte, da un leggero terremoto che fu avvertito dal fanalista che si trovava di guardia sulla Torre del Faro di Gelso (una torre alta 33 metri). Il sindaco del tempo Giuseppe La Rosa, davanti ad una situazione altamente drammatica, nella stessa notte inviò alle Autorità subito un telegramma:“Verificatesi tre eruzioni di ceneri e lapilli. Per ora nessun allarme”. L’eruzione iniziò con l’emissione di una grande fumo nero, rischiarato da frequenti lampi di scariche elettriche, dovuti ai contrasti in quota fra temperature diverse, e da forti detonazioni che piano piano si fecero incalzanti. L'intensità della eruzione aumentava tanto che iniziarono a verificarsi forti esplosioni, che a brevi intervalli, davano fortissime proiezioni di vapori, ceneri e massi infuocati. Massi che ricadendo per un raggio di due chilometri dal centro del cratere, determinavano dei danni specialmente sul lato Nord, oggi l’abitato di Porto di Levante, che aveva vaste aree coltivate, “un caseggiato costituito dalle officine sparse della fabbrica, dall’abitazione del signor A.E. Narlian (amministratore e comproprietario di Stevenson), del reclusorio dei coatti, addetti pure ai lavori.
I massi che piombavano come grandine, di cui alcuni voluminosi fino a mezzo metro cubico e più, sfondarono i tetti, incendiarono i depositi di zolfo accumulato nei magazzini, divamparono qua e là parzialmente delle vigne, dei boschi di ginestre e di piante arboree”. I residenti del comprensorio di Vulcano Porto e Vulcanello, fortemente allarmanti, vennero evacuati nella vicina Lipari, mentre quelli del Piano e di Gelso, sia pure intimoriti non subirono danni particolari con la pioggia di cenere. Dopo le prime esplosioni forti, altre più deboli ne succedettero fino alle 10 del mattino, quando avvenne una ulteriore violenta eruzione, che eguagliò per intensità la prima.
Dopo una tregua di circa 12 giorni, all’alba del 19 agosto del 1888 ricominciarono le eruzioni con esplosioni violente, sempre accompagnate da forti detonazioni e con cenere carica di elettricità e mista ad altro materiale e la colonna di vapore, spinta a due e più chilometri di altezza, si diffuse nell’aria acquistando un aspetto alquanto maestoso che faceva intimorire. In tale contesto tutto era stato distrutto dai vigneti, all’industria mineraria, alle case e, altresì, il famoso “Palazzo dell’Inglese”. Anche la moglie dello Stevenson, obbligò il marito al ritorno in Scozia con il suo battello di a vapore “Fire Fay”. Tra i prodotti lanciati durante le fasi esplosive del vulcano impazzito si rilevavano i blocchi di materiale magmatico ancora fuso che si raffredda durante le traiettorie balistiche dando le caratteristiche bombe a crosta di pane, assai insidiose a cose e a persone. Non si dimentichi poi uno dei molteplici effetti negativi e cioè l'interno di una stanza del Reclusorio dei Coatti, situato alla base del cratere, con la volta sfondata da uno dei massi espulsi dal vulcano.
Vi era prima la vita adesso la morte! Con la sua tragicità e con i coatti, che definirei i figli di nessuno, di cui non si ha più traccia o almeno di tanti e che hanno pagato un costo immenso le loro pene. Vulcano può essere paragonata all'isola senza vita, almeno nel periodo passato. E ciò in quanto studi archeologici e antropologici portano a identificare il sito come “l'Isola dei Morti. E ciò in quanto vi confluivano numerosi defunti provenienti dalle altre isole e, considerata la presenza di “ushabti”, cioè i servi dell'aldilà costituiti da statuette che avevano la funzione di servire il defunto e di rendere la sua vita più confortevole nell'aldilà.
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