di Ennio Fiocco
Sapori Arabi nella tradizione siciliana.
Se guardiamo bene la cartina geografica appare incontrastato che la Sicilia è più vicina al Nord Africa che a Roma. Molteplici sono state le grandi civiltà che si sono succedute, tra cui gli antichi Cartaginesi, con cui ci siamo rapportati, come anche da oriente. In sostanza la Sicilia è stata influenzata per mentalità e cultura. In particolare, gli Arabi arrivarono nell'isola del IX secolo e la loro influenza vi permase fino al 1492, anno triste per la storia siciliana a seguito dell'editto con cui Ferdinando il cattolico, re di Spagna a cui l'isola era subordinata, decise la diaspora per chiunque non fosse di religione Cattolica. Arabi e soprattutto Ebrei dovevano o convertirsi o abbandonare la Sicilia con tutti i loro beni. Si pensi che nel 1492 gli abitanti della Sicilia erano tra i settecentomila e gli ottocentomila e gli Ebrei presenti si avvicinavano sui quarantamila (mentre altri circa trentamila si trovavano sparsi sul restante territorio italico).
Molteplici ed in tutti i campi sono le influenze arabe sulla nostra isola (che è stata la sola regione ad essere occupata fino all'avvento dei Normanni), sia a livello architettonico, politico, agricolo e filosofico. Ancora oggi abbiamo cognomi che derivano dall'arabo e zone specifiche di territorio con noni derivanti. Con questa breve ricerca mi permetto esaminare l'influenza araba evidente nella cultura culinaria della Sicilia. Basti pensare ad esempio al cous cous, impiegato ed amato soprattutto nella zona di Trapani e Marsala; poi la cubbaita, oppure la granita, che è stata proprio importata dagli Arabi.
La Sicilia, poi, è il regno degli arancini o arancine. Vi sono poi le crespelle ripiene che assomigliano un pò al turco “falatel”. Medesimo discorso, poi, anche per il pane e panelle, realizzate con farina di ceci, che è un ingrediente molto impiegato nella cucina orientale. Anche i famosi cannoli e la cassata sembrerebbero di origine araba, tanto che gli islamici li chiamano “qas”. Inoltre, simili alle cassatelle o panzerotti dolci, sono i katayef. Comunque, nel panorama arabo si usa cucinare una insalata di peperoni e melanzane che assomiglia alla caponata o alla peperonata. Il sesamo poi, viene impiegato nei dolci da forno (in genere). Molteplici sono state in Sicilia le coltivazioni degli Arabi, come ad esempio lo zucchero e le banane e poi anche lo zibibbo. Indubbiamente l'influenza araba si dispiegò per oltre duecento anni sulla Sicilia (e si tramandò poi nei successivi secoli) e fu di grande prosperità ed ignota al altre regioni italiane. Nell'isola, all'inizio dell'invasione araba, vivevano indigeni di lingua latina e greca, immigrati da tempo da zone dell'impero romano-mediterraneo, immigrati da diversi “themi” dell'impero bizantino, presenti in Sicilia da molto tempo e non mancavano “barbari” di diversa provenienza, assoldati come mercenari.
Va detto che il grosso della colonizzazione araba proveniva sopratutto dall'attuale Tunisia. I dominatori tolsero l'imposta sugli animali da tiro che aveva ostacolato l'agricoltura ed introdussero al suo posto l'imposta sulla terra che rendeva svantaggioso lasciarla improduttiva. I siciliani, in prevalenza, professavano la fede cristiana, mentre il Paradiso promesso da Maometto viene rappresentato come “un giardino di delizie sotto il quale scorrono continuamente fiumi che sprigionano frescura...Coloro che lo abitano avranno in quantità frutti di ogni specie e si rallegreranno della presenza del loro Signore...”. Un Paradiso, cioè ricolmo di ogni frutto: aranci, limoni, banane, datteri, melograni, albicocche ed uva. In Sicilia gli abili coloni provenienti dall' “ ifriqiya” impiantarono alberi di limoni ed aranci amari, il gelso moro (necessario alla produzione della seta) e il sommacco, per conciare e tingere. Non si dimentichi poi la cannella, il muschio, lo zafferano (zafran), la canfora e tantissimi altri. Va detto che la vera cucina siciliana, come quella araba, non ammette gli antipasti, succeduti nel tempo. La gastronomia siciliana è più aperta alle suggestioni arabe e l'uso dei dolci alla fine del pranzo deriva dall'Oriente. Il pistacchio, la mandorla, la cannella, i canditi, la zuccata e poi il miele e la ricotta, ingegnate nelle giuste dosi.
La stessa cassata (dall'etimo “quas'at”, scodella tonda), il dolce più celebre, poi la cubbaita (“qubbayta”), torrone e miele, con semi di sesano e mandorle. Vi è poi un altro dolce di tradizione messinese, ma di derivazione araba, i nucatoli (dall'etimo “naqual”), ripieni di frutta secca. Poi le “sfinci”, dall'etimo “sfang” e la pasta reale o marzapane, composta da zucchero o miele, mandorle e chiara d'uovo. Anche il c.d biancomangiare, e poi l'uso del sorbetto preparato quasi come oggi e tantissimi altri presenti in alcune zone della Sicilia. Anche la “Pasta chi sardi”, la cui paternità è attribuita al cuoco del generale arabo Eufemio che sbarcando sull'isola si trovò a dovere sfamare le sue truppe in condizioni disagiate e, aguzzando l'ingegno offrì pesce e finocchietti, suffragato da pinoli, passolina e zafferano. La cucina siciliana è una delle migliori al mondo per la presenza di culture diverse e possiede una amalgama di esperienze che la contraddistingue. Va detto che il cibo è un marcatore culturale del territorio: lo caratterizza e lo rende unico e riconoscibile e i diversi popoli che sono giunti in Sicilia hanno aggiunto sempre qualcosa ad un già ricco patrimonio di saperi e sapori mediterranei.
Va detto che il grosso della colonizzazione araba proveniva sopratutto dall'attuale Tunisia. I dominatori tolsero l'imposta sugli animali da tiro che aveva ostacolato l'agricoltura ed introdussero al suo posto l'imposta sulla terra che rendeva svantaggioso lasciarla improduttiva. I siciliani, in prevalenza, professavano la fede cristiana, mentre il Paradiso promesso da Maometto viene rappresentato come “un giardino di delizie sotto il quale scorrono continuamente fiumi che sprigionano frescura...Coloro che lo abitano avranno in quantità frutti di ogni specie e si rallegreranno della presenza del loro Signore...”. Un Paradiso, cioè ricolmo di ogni frutto: aranci, limoni, banane, datteri, melograni, albicocche ed uva. In Sicilia gli abili coloni provenienti dall' “ ifriqiya” impiantarono alberi di limoni ed aranci amari, il gelso moro (necessario alla produzione della seta) e il sommacco, per conciare e tingere. Non si dimentichi poi la cannella, il muschio, lo zafferano (zafran), la canfora e tantissimi altri. Va detto che la vera cucina siciliana, come quella araba, non ammette gli antipasti, succeduti nel tempo. La gastronomia siciliana è più aperta alle suggestioni arabe e l'uso dei dolci alla fine del pranzo deriva dall'Oriente. Il pistacchio, la mandorla, la cannella, i canditi, la zuccata e poi il miele e la ricotta, ingegnate nelle giuste dosi.
La stessa cassata (dall'etimo “quas'at”, scodella tonda), il dolce più celebre, poi la cubbaita (“qubbayta”), torrone e miele, con semi di sesano e mandorle. Vi è poi un altro dolce di tradizione messinese, ma di derivazione araba, i nucatoli (dall'etimo “naqual”), ripieni di frutta secca. Poi le “sfinci”, dall'etimo “sfang” e la pasta reale o marzapane, composta da zucchero o miele, mandorle e chiara d'uovo. Anche il c.d biancomangiare, e poi l'uso del sorbetto preparato quasi come oggi e tantissimi altri presenti in alcune zone della Sicilia. Anche la “Pasta chi sardi”, la cui paternità è attribuita al cuoco del generale arabo Eufemio che sbarcando sull'isola si trovò a dovere sfamare le sue truppe in condizioni disagiate e, aguzzando l'ingegno offrì pesce e finocchietti, suffragato da pinoli, passolina e zafferano.
La cucina siciliana è una delle migliori al mondo per la presenza di culture diverse e possiede una amalgama di esperienze che la contraddistingue. Va detto che il cibo è un marcatore culturale del territorio: lo caratterizza e lo rende unico e riconoscibile e i diversi popoli che sono giunti in Sicilia hanno aggiunto sempre qualcosa ad un già ricco patrimonio di saperi e sapori medi
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