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di Alessio Pracanica

Il Giappone appare, a noi occidentali, come una strana alternanza di buffe costumanze e rigide serietà, sia in ambito lavorativo che in quello più largamente sociale. Com’è ovvio che sia, giudizi del genere sono sempre inficiati da una sostanziale ignoranza, che riduce civiltà plurimillenarie a un mix di sushi e duelli di samurai. Un po’ come se un orientale, per comprendere l’impero romano, prendesse a metro er cucchiaio di Totti e la porchetta di Ariccia.

Partiamo dalle origini

La pubblicità in Giappone, intesa in senso moderno, nasce intorno al 17esimo secolo. Nelle grandi città i commercianti si fanno aggressiva concorrenza distribuendo volantini o addirittura pagando, per inserire il nome della propria attività nei testi del teatro Kabuki.
Con l’inizio dell’era Meiji, che apre il paese al mondo dopo secoli di isolamento e determina l’enorme espansione dell’informazione giornalistica, nascono le prime agenzie pubblicitarie, alcune delle quali attive ancora oggi.

Durante la II Guerra Mondiale il fenomeno pubblicitario interseca, per forza di cose, la propaganda nazionalistica. Con alcuni aspetti che differenziano quest’ultima da quella americana e occidentale in genere. La propaganda giapponese ignora volutamente, o mantiene nel vago, l’avversario. Si fa riferimento agli americani come karera (essi) o tekihei (i soldati del nemico). Nullo o debole il tentativo, così forte invece in ambito alleato, di demonizzazione del nemico stesso, preferendo piuttosto esaltare la purezza dei valori e dello spirito giapponese. Una comunicazione autoreferenziale che si sviluppa intorno al concetto di kokutai: termine complesso che racchiude l’idea di un leader spirituale o semidivino (l’Imperatore) quale incarnazione della nazione intera.

Una dinamica sociale differente

Questo modo di concepire la società come un tutt’uno sopravvive ancora oggi, innescando una differenza fondamentale rispetto al modello occidentale. Nelle pubblicità a cui siamo abituati, si fa spesso leva sull’individualismo. Acquistare questo o quel prodotto significa distinguersi dalla massa dei comuni mortali. Essere diverso in senso positivo.

Nella società giapponese il gruppo (inteso come insieme di persone con opinioni, aspettative e abitudini similari) ha una funzione rilevante nelle dinamiche sociali. Inutile aggiungere che la società stessa rappresenta il gruppo dei gruppi. L’ideale alveare in cui ogni tendenza deve confluire e armonizzarsi. Il prodotto reclamizzato quindi, deve dar l’impressione di favorire/facilitare l’ingresso in un determinato gruppo sociale, senza infrangere i comuni schemi sociali. Per rafforzare questo concetto, si ricorre spesso all’identificazione orizzontale. Con il testimonial famoso che interpreta la parte di un collega di lavoro, un compagno di banco o un vicino di casa.

Così, utilizzando quel particolare detersivo, la casa della signora Miku non sarà la più pulita e splendente del quartiere, ma esattamente quanto le altre.
Questo non è il solo aspetto divergente nella comunicazione pubblicitaria del Sol di Levante. Per usare le parole del capo di una delle più influenti agenzie pubblicitarie nipponiche: la pubblicità è cultura e la pubblicità giapponese è cultura giapponese.

La pubblicità come  fenomeno inclusivo

La cultura occidentale è profondamente influenzata dal parlato, dal messaggio verbale diretto, come conseguenza di una filosofia che ha fatto del linguaggio, per secoli, lo strumento principe di ogni speculazione. Le filosofie orientali, al contrario, tendono a forme più indirette, lasciando allo stile, al contesto e ai linguaggi satelliti (come la mimica e la gestualità) gran parte del messaggio. Ne deriva una forma pubblicitaria basata sulla spettacolarizzazione, con utilizzo di musiche inedite, allegre e ad alto volume. A questo proposito, il più delle volte all’interno del messaggio pubblicitario sono contenuti il titolo della canzone e il nome dell’autore. Il risultato è che la fortuna dello spot trascina quella del pezzo musicale. L’opposto dell’occidente, dove è abitudine utilizzare canzoni o musiche giù famose per valorizzare gli spot.

Al centro della pubblicità giapponese non vi è il marchio reclamizzato, quanto piuttosto un’atmosfera di benessere o allegria, che sarà poi compito dello spettatore associare al prodotto. Una forma di comunicazione di tipo emozionale, nota come soft-sell, in cui, al massimo, viene esaltata l’immagine dell’azienda produttrice, descritta come affidabile, seria, storicamente presente nella società, ect.
La scelta del meccanismo indiretto è l’unica scelta possibile in una società indiretta, che ripudia i rifiuti netti e le formule tranchant.

All’inizio dell’era Edo (quel 17° secolo già citato) era consuetudine dei negozianti appendere una tenda su cui erano rappresentati i prodotti in vendita in forma simbolica. Le tende delle macellerie equine, all’epoca molto diffuse, esibivano la parola sakura (fior di ciliegio) per evocare il colore roseo della carne. Quando il consiglio dei ministri propose all’imperatore Hiro Hito di attaccare Pearl Harbour, lui, invece di dire no, tirò fuori la poesia di un antenato che esaltava la bellezza della primavera. Così, per lo spot di un nuovo gelato si ricorre alle immacolate nevi del monte Fuji e per quello di uno shampoo alle cascate Kegon.
In identico modo, esaltare troppo un determinato prodotto implica, nel comune sentire giapponese, un’inaccettabile dequalificazione di tutti gli altri. Senza contare che, nel mercato pubblicitario giapponese è normale che la stessa agenzia curi il marketing di aziende tra loro concorrenti. Un’altra ottima ragione per adottare il soft-sell, senza porre in cattiva luce nessuno dei potenziali clienti.

Pubblicità in Giappone: facciamola soft

Ulteriore caratteristica, l’idea che la pubblicità tenda a violare uno spazio individuale squisitamente privato. Violazione scusabile solo creando un’atmosfera positiva, offrendo un breve intrattenimento e non urtando la sensibilità dello spettatore. A cui, in definitiva, si sta rubando del tempo.
Infatti, uno dei metodi pubblicitari più diffusi in Giappone, in voga dagli anni ’60, è la distribuzione gratuita di fazzoletti di carta. Simile al nostro volantinaggio, effettuato spesso da ragazzi e studenti in cambio di una modica retribuzione. Ma, a differenza del volantino, che di solito viene gettato, il pacchetto di fazzolettini viene conservato e utilizzato più volte, reiterando il messaggio pubblicitario. In alcuni casi nel pacchetto è incluso un coupon per sconti o offerte free. Negli ultimi anni è invalso l’uso di distribuire, al posto o insieme ai fazzolettini, dei ventagli di carta nella stagione estiva e dei sacchettini scaldamani in quella invernale.

Un modo pratico ed economico di scusarsi per il disturbo, fornendo al potenziale cliente un oggetto di uso quotidiano. È probabile che per noi occidentali, assuefatti a forme pubblicitarie estremamente hard, il modello comunicativo giapponese possa sembrare troppo rarefatto o quasi incomprensibile. Ma dopo un pomeriggio passato a rispondere alle assillanti chiamate di un call center, che cerca di convincerci a cambiare gestore, l’idea di sorbire una cucchiaiata di neve fresca o di sciacquarsi i neuroni sotto una gelida cascata comincia a sembrare più che accettabile.(cnbcomunicazione.com)

NOTIZIARIOEOLIE.IT

20 AGOSTO 2020

LE INTERVISTE DE "IL NOTIZIARIO". Lipari, al residence "La Giara" la presentazione del volume "Svisature" di Salvo Vitale

26 NOVEMBRE 2020

L’intervista del Notiziario allo scrittore Alessio Pracanica, la cultura col bisturi

 

L'ELEZIONE
Rallentano in fretta, predicando urgenza, che la situazione è grave,
e non consente, dicono o si dice, p-e-r-d-i-t-e d-i t-e-m-p-o.

Nessuna pregiudiziale, sia chiaro, nessun veto.
Nessuno è impresentabile, vige il punto di vista, che sul pregiudicato, incolla lo statista.

Se pregiudizio ci fosse, verso uno o più avversari, non è un fatto personale (dite a Michael che) si tratta solo di affari.

 

Continuità assistenziale, intesa assessorato-sindacati per potenziare Usca e guardie mediche. Razza: «Misura innovativa grazie ai medici di famiglia»
Un maggiore coinvolgimento dei medici di medicina generale per migliorare la continuità assistenziale nei territori e facilitare i percorsi di uscita dei pazienti affetti da Covid19. È il risultato del protocollo sottoscritto dall’assessorato regionale alla Salute con le organizzazioni di categoria Fimmg, Snami e Smi che consente, su base volontaria, l’adesione da parte dei medici di famiglia a coprire turni straordinari di continuità assistenziale tra Usca e Assistenza primaria in guardia medica.
Pur rientrando nell’ambito delle azioni previste dall’assessorato per fronteggiare il Coronavirus, il documento di fatto va oltre l'emergenza pandemica poiché punta anche a far fronte alla carenza di professionisti in alcune aree del territorio regionale migliorando l’operatività delle guardie mediche attraverso l’impiego diretto di medici di famiglia o specializzandi di medicina generale ai quali verranno riconosciuti degli extra (35 euro lordi) per ogni ora di prestazione aggiuntiva fino ad un massimo di 24 ore.
Saranno le Asp a conferire gli incarichi ai professionisti che aderiranno in base alle esigenze determinate dalla carenza di continuità assistenziale di uno specifico territorio. Il protocollo di intesa ha un carattere sperimentale e sarà valido fino al prossimo 31 marzo, tuttavia potrà essere prorogabile da parte dell’assessorato in seguito alla valutazione dell’efficacia.
«Si tratta di una misura innovativa che ha pochi precedenti in Italia, al pari di altre avviate in Sicilia in questi anni di pandemia e che poi hanno trovato applicazione anche altrove. Desidero manifestare tutto il mio apprezzamento nei confronti dei dirigenti dell’assessorato e ringraziare le organizzazioni di categoria che hanno collaborato alla stesura e alla programmazione del protocollo, mostrandosi da subito determinate e sensibili ad un tema, quello della continuità assistenziale, che tocca le necessità di ogni cittadino», ha commentato l’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza.

La mia proposta per il corso Lute del 2022. Dovremmo partire ai primi di Febbraio
Corso Lute 2022
Breve storia della Fantascienza,
da Luciano di Samosata ai giorni nostri
Nell’accezione comune, la fantascienza è quel settore culturale proiettato verso il futuro. Vedremo insieme, come nel corso dei secoli la fantasia abbia incontrato la scienza, per creare non soltanto nuovi futuri, ma passati alternativi, presenti distopici e impreviste scorciatoie.
Esplorando tempo e spazio grazie agli straordinari mezzi dell’immaginazione. Indispensabile strumento, grazie al quale Jonathan Swift ci racconta anzitempo i satelliti di Marte, Arthur Clarke i satelliti per le telecomunicazioni e migliaia di altri autori l’infinito che esiste fuori e dentro di noi. Leggendo e discutendo insieme, scopriremo che la fantascienza è molto più di un genere letterario e che i generi, in definitiva, esistono solo se hanno delle suocere.

1° incontro: molta fanta e poca scienza.
I fantastici: Luciano di Samosata, John Mandeville, Cyrano de Bergerac, Johathan Swift.
Gli allegorici: Tommaso Moro, Tommaso Campanella, Francesco Bacone, Giovanni Keplero.
2° incontro: rane italiane e cannoni americani.
L’arrivo della ragione: Mary Shelley, Edgar Allan Poe, Ambrose Bierce, Ruyard Kipling.
Qualche rigurgito di fantasy: Edgar Rice Burroughs.
Il francese indispensabile: Jules Verne e le sue mille invenzioni.
Il padre (se ce n’è uno): H. G. Wells. I canali di Marte e l’invasione.

Gli insospettabili, ovvero la fantascienza italiana: Luigi Capuana, Yambo, Massimo Bontempelli, Guido Gozzano e molti altri.
3° incontro: l’età dell’oro.
John Campbell e le riviste.
I maestri: Asimov, Simak, Bradbury, Brown, Dick, Clarke, Heinlein.
Un grandissimo esempio: Sentry (F. Brown)
L’alieno sovietico.
Al di là del Muro: i miracoli crudeli di Stanislaw Lem
4° incontro: Imperi galattici, computer nevrotici e foreste oscure
Millemila modi di estinguersi: James Ballard e altri possibili incidenti.
Il cinema: dalla paranoia alla parodia.
Nuovi problemi: Hal diventa Matrix, il dramma dell’integrazione (District 9) dall’inverno nucleare all’inverno ambientale (Il quinto giorno – Frank Schatzing).
Ottimismo e diffidenza: Liu Cixin.

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L'11 dicembre, a Milazzo, l'Associazione Città Invisibili organizza la I edizione del premio Cittadino Semplice.
- Ma ora sarò degradato. Mi faranno per lo meno colonnello. -
- Beh, colonnello è più che capitano. -
- Da voi, perché avete i gradi alla rovescia. Da noi il grado più alto è cittadino semplice. -
(Il pulcino cosmico – Gianni Rodari)

Perché un premio intitolato Cittadino Semplice? Perché, come giustamente argomentava Gianni Rodari, maestro di penna e di civiltà, è il grado più alto che si possa raggiungere in una compiuta democrazia. Non c’è commenda, presidenza o grand’ufficio che possa rivaleggiare. Non contano i like, le percentuali di consenso o le copie vendute.
Chi può definirsi Cittadino Semplice? Chiunque abbia vissuto entro lo spazioso recinto della Costituzione, senza per questo sentirsi costretto. Chi è stato lievito della propria comunità, senza per questo volerne essere padrone. Chi ha illuminato gli altri, senza oscurare nessuno. Chi ha dato senza pretendere e facendo ciò, ci ha resi tutti più liberi, più ricchi di consapevolezza e conoscenza.

Chi è stato d’esempio, senza squilli né tamburi, ricevendo come unica ricompensa la stima di coloro che gli erano grati.
Sembra una cosa semplice, ma non lo è. Pare materia ovvia, ma è merce rara. Terminato il percorso di vita che a ognuno di noi tocca affrontare, è facile constatare come siano pochissimi quelli che potrebbero fregiarsi di quest’appellativo.
Per questo abbiamo indetto un simile premio.
Perché non siano dimenticati. Perché attraverso il loro ricordo ne nascano molti altri. Nell’attesa del felice giorno in cui saranno così tanti, da rendere superflua questa premiazione.

 

 

La paglia e il fuoco

Un anno già triste di suo, è stato ulteriormente funestato dalla notizia della morte di una ragazza di 22 anni.
Una tragedia, che in una piccola comunità viene amplificata dai fitti intrecci di relazioni esistenti. Al punto che nessuno può essere davvero considerato estraneo, foss’anche solo perché ci si incontra venti volte al giorno.

Inutile, a mio parere, perdersi in accuse e ipotesi, come ho sentito fare a qualche improvvisato esperto di strada o scienziato da social.
Bisognerà attendere i risultati dell’inchiesta, con l’unica, amara certezza che niente potrà mai restituire Lorenza ai suoi affetti.

In tutto questo, desta un certo stupore il comunicato firmato dal dott. La Paglia, Direttore dell’Asp di Messina, in cui si promette di accertare con il massimo rigore i fatti, per verificare le dinamiche interne ed il pieno rispetto delle procedure e delle linee guida.
Dinamiche interne, dunque.

Come se non esistesse un altrove che decide, taglia, depotenzia.
In casi del genere più che cercare colpevoli, ha senso individuare responsabilità, al solo scopo utile di evitare il ripetersi di tali vicende.
E nei paesi civili, la responsabilità non è mai dell’ultima ruota del carro, che spesso si trova a dover lavorare tra mille difficoltà, in condizioni di stanchezza e demotivazione, ma di chi un’azienda la dirige.

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