di Cinzia Santoro

A Ginevra le hanno tolto sua figlia Arianna strappandola al suo amore. La denuncia:“…sono tutte donne quelle che hanno contribuito a una tale ingiustizia”.

Il cielo turchese di Lipari e il profumo dell’isola. Adam, il gallo, strizza l’occhio a Bianchina che razzola libera, il gatto Cipolla sonnecchia, la fedele cagnetta Nikita è sempre accanto a Ginevra che prepara le sue marmellate d’arancia che poi inevitabilmente regala. Ginevra e
il giardino di Arianna, un paradiso per qualsiasi bambino, un eden fiorito immerso in così tanta naturale bellezza e dove crescere sereni.
Ginevra è una mamma. Arianna è sua figlia. Da nove lunghissimi anni Ginevra e la sua amata Arianna non possono incontrarsi, né sentirsi. Lo ha deciso un giudice.
Ginevra è una donna gentile con un sorriso appena accennato e una forza d’animo che solo una madre può possedere Non ci incontriamo personalmente a causa della pandemia, ma seguo da sempre la sua vicenda giudiziaria. La storia di Ginevra è un crimine abominevole perpetrato dalle istituzioni, un racconto horror in cui ogni donna vittima di violenza potrebbe ritrovarsi. Per questo motivo è importante che sia unanime la voce di protesta per la rivittimizzazione secondaria subita nei tribunali italiani dalle donne che denunciano i loro maltrattanti. L’intervista ci offre l’opportunità di riflettere sui vuoti e su alcune drammatiche distorsioni del nostro sistema giudiziario.
Le storie di violenza di genere nascono sempre con un grande amore, con passione e con intesa.

L’intervista.

Come è nata la storia che ha cambiato la tua esistenza?
 
La mia esistenza è stata rovinata da mille bugie raccontate con una dolcezza estrema e disarmante e da tanta fiducia e amore donati ad una maschera dietro la quale si nascondeva l’inganno, l’opportunismo, ma soprattutto l’invidia. Un uomo che non sa provare tenerezza ed è in contrasto con ogni forma di bellezza, che detesta chi con il mondo è in profonda empatia ed armonia.
 
La gravidanza solitamente segna un incipit all’escalation della violenza di genere. È successo
anche a te?
 
La forma di violenza più devastante che io abbia provato è stata quella psicologica. Per violenza psicologica intendo un piede di porco che cerca continuamente, in ogni momento del giorno e della notte, di buttarti a terra facendo leva sulle fondamenta, sulla struttura base della tua personalità, portandoti a mettere in discussione il tuo “io” più profondo e tentando di destabilizzarti per avere un controllo completo a partire proprio dalla tua identità. Quando cominci a traballare arriva il momento in cui sei più vulnerabile e sensibile, soprattutto durante la gravidanza; in questo contesto è poi cominciata la violenza fisica. La violenza psicologica è una sorta di preparazione del terreno: ti fanno prima sentire inadeguata, sbagliata, inutile, esageratamente emotiva e sensibile, per poi darti addosso con le mani. Ogni tua reazione a quel punto diventa la conferma di tutta la drammatizzazione di cui eri accusata.
 
Quando hai capito che l’uomo che amavi era un maltrattante e che la vostra era una relazione
tossica?
 
mare- terra
LIPARl- Il posto paradisiaco dove Arianna avrebbe potuto vivere con la sua mamma

Ho capito che stavo con un essere senza anima quando ho avvertito un pericolo per la bambina che portavo in grembo. Se non fosse stato per lei, probabilmente avrei lasciato che lui mi distruggesse, non sarei scappata in tempo. Invece, ad un certo punto, ha prevalso la necessità di salvare la bimba e ho reagito cercando di liberarmi, di riconquistare la mia dignità e di amare me stessa e, prima di me, la mia creatura. Inoltre, aver saputo che le due mogli precedenti l’avevano denunciato per le stesse identiche modalità di violenza, mi ha dato conferma che il problema non fossi io, donandomi così maggiore forza, liberandomi da ogni dubbio e ponendo fine al mio mettermi sempre in discussione.

 
Hai chiesto aiuto? A chi?
 
Prima ho chiamato i centri antiviolenza. Ricordo che mi diedero appuntamento a due mesi di distanza dall’ultima pesante aggressione subita. Allora ho cercato aiuto in ospedale dove mi hanno consigliato di parlare con gli psicologi per trovare in me la forza e la determinazione per presentare denuncia. La proposta dei medici dell’ospedale di recarmi al consultorio è stata poi utilizzata contro di me dal Tribunale per i minorenni di Roma che ha interpretato questo consiglio medico come una esortazione a “farmi curare” dagli psichiatri.
 
Il tuo calvario giuridico è l’incubo che ogni donna maltrattata teme: la sottrazione dei figli.
Cosa è successo e chi ha contribuito a una tale ingiustizia?
 
Quando ho trovato la forza ed il coraggio di denunciare il padre di mia figlia, per il quale comunque continuavo a provare dei sentimenti nonostante continuasse a minacciarmi di morte e di togliermi la bambina, mai avrei immaginato le conseguenze. Avevo ingenuamente fiducia nelle istituzioni. Sono stata educata al rispetto delle regole e soprattutto delle persone. Donne, sono tutte donne quelle che hanno contribuito a una tale ingiustizia. Sono tutte madri e nonne. Sono mostri senza anima, senza cuore e senza coscienza. Il 23 marzo del 2011 mia figlia è stata prelevata improvvisamente dalla nostra casa per essere affidata al padre, ricorrendo ad un dispiegamento di forze dell’ordine imponente, come fosse una criminale. Da allora siamo state separate e tenute lontane con la forza e con la violenza.
 
Cosa prova una donna a cui si impedisce di crescere un figlio?
 
Muore. Muore. Muore. Ad un certo punto il dolore è così forte da non trovare più spazio dentro di te. È allora che, subdolo, subentra il desiderio di liberarsene. Un giorno, mentre scendevo le scale di un palazzo, mi sono trovata di fronte ad una finestra aperta. Mi sono affacciata e mi sono sentita abbracciare dal vuoto, risucchiata dal nulla. È stato l’attimo più importante della mia vita.
Arrendersi o combattere. Farsi annientare o diventare più forte di loro, più forte di me stessa. E con me stessa sono scesa a compromessi: ho scelto di aspettare la mia bambina dai capelli d’oro e dallo sguardo dolce; ho scelto di sopravvivere in un limbo per un tempo indeterminato; ho cercato di congelare il più possibile i miei sentimenti, le mie paure, i miei sogni e i miei desideri. Ho deciso di resistere. Ho pagato e sto pagando a caro prezzo questa ostinazione alla vita, ad un futuro in cui forse dovrò difendermi anche da mia figlia: lei sta crescendo con l’idea, inculcatale dal padre, dell’essere stata abbandonata da una madre malata di mente.
 
Quando riabbraccerai tua figlia cose le dirai?
 
Niente. Non le dirò niente. Credo mi verrà un nodo alla gola, lo stesso nodo che ho adesso mentre rispondo a questa domanda. Mi si riempiranno gli occhi di lacrime che, a differenza di adesso, cercherò di trattenere. Se anche lei mi guarderà con gli stessi occhi e non riuscirà a dire una parola, allora credo che ci abbracceremo e respireremo per lunghissimo tempo.(gazzettadaltacco.it)
 
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