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di Lidia Ravera

Ci avevano avvisati, qui sull’isola: la sera porterà vento forte, raffiche di pioggia pesante, mare minaccioso. Ci hanno fatto togliere i bidoni della differenziata dal vicolo
Che prima era un torrente. Ho portato in casa tutto quello che poteva volare. Ho infilato un asse di legno spesso in due guide di ferro ai due lati della porta d’ingresso. Ho eseguito tutto, pensando alla notte che il 12 di agosto dell’anno scorso ha distrutto la mia casa.

Finchè mi sono data da fare tenevo l’angoscia sotto controllo. Adesso è notte. Sono sola. La burrasca continua a spalancare la finestra che impatta col vento, è quella piccola, e inquadra-quando è bel tempo- tramonti meravigliosi. Costruisco uno sbarramento con i libri. I tre volumi della Divina Commedia, un tot di Meridiani, due dizionari che conservo e non consulto…LA FINESTRA resta chiusa,ma l’acqua passa sotto le porte. Penso che se la casa verrà di nuovo distrutta dal nubifragio non sarò più in grado di farla rimettere in piedi. Non vivo in un romanzo di Verga. E Casa Colette costa troppo di più della barca dei lupini.

Mi porto l’Ipad sul letto, quasi fosse un bambino da proteggere..non si sa mai. E’ l’una di notte. Penso che sta mattina nuotavo in un mare di cristallo. Fa paura questo tempo imbizzarrito, Quando, quasi 20 anni fa, mi sono rifugiata sull’isola l’ho fatto perchè avevo paura del tempo TIME, quello degli orologi, quello che ogni giorno di invecchia di un giorno. Volevo sostituirlo con il tempo WEATHER , il tempo atmosferico, quello che è ciclico e che ogni anno ti fa rivivere la primavera.

Adesso mi fa più paura di quell’altro, il tempo atmosferico.
Quanti “allerta meteo” ci sono stati quest’anno?
Quanta gente senza casa, quante macchine sventrate, quanti alberi stroncati. Quanti raccolti marciti. Quanta paura. Quanti bambini spaventati. Quanti morti?
(Se spengo la luce l’urlo del vento è più forte e le onde si spaccano sugli scogli con un ritmo più scomposto, quasi volessero esondare, quasi il mare fosse un fiume…dormire con la luce accesa? 

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Sono qui, sono sull’isola, sono tornata. Il senso del ritorno è dolce, la gioia della ripetizione di un rituale: sveglia alle cinque del mattino, mentre la nave Laurana, lenta come un pachiderma del mare, supera Strombolicchio e si dirige verso l’abbraccio delle piccole case bianche, del pontile, delle spiagge di sassi e sabbia nera, tonde. Saluto Enrico, che ho visto bambino e adesso è padre e guida la macchinetta elettrica che mi porta a casa. Mi racconta della lunga notte passata e lavorare di pala e di pompa, la terra mossa ad arginatre lingue di fuoco sempre più alte.

Tutti insieme, donne e uomini, vecchi, ragazzini. Una comunità che si delinea nel pericolo. Forte, coesa. La mia casa, poggiata sugli scogli come una grossa conchiglia rugosa, con le finestre piccolissime dettate dalla sapienza dei pescatori che l’hanno abitata per secoli, è intatta, la protegge il mare, che di acqua ne riversa un abbondanza, nel respiro regolare delle onde. Subito dietro , la quinta verde, il fianco fertile del monte è nero e secco come per un inverno improvviso, piombato come una punizione su chi fa mercato della bellezza, e non sta al posto suo, non rispetta. Sparite le canne, i fiori. I piccoli animali .

Chissà che fine hanno fatto le caprette che scendevano selvatiche fino alla spiagga lunga, belando sui sassi scivolosi. C’è una tensione nell’aria, un senso di day after, un dopo l’uragano, un hang over, quasi, come se la forza il coraggio e l’armonia con cui gli strombolani hanno salvato case e cose, fosse una sbronza selvaggia e la stanchezza inclinasse, ormai, alla nausea, alla depressione

Ci si chiede: chi pagherà per tutto questo? E non è la domanda gridata di chi vuole i colpevoli inchiodati a punizioni esemplari, è la domanda malinconica di chi sa come vanno queste cose:un po’ di strepito, qualche giorno di indignazione e poi si gira pagina, si parla d’altro.
Invece no: Stromboli ha bisogno di cure. Di attenzione. E di soldi. Parte della vegetazione morta va ripiantata. Vanno create barriere. Bonificati sentieri. Messe in sicurezza aree verdi. Stromboli è Patrimonio dell’umanità. Cioè nostro.
Facciamo in modo che non sia dimenticata di nuovo.

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CORRIERE DELLA SERA

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