di Rosalba Cannavò

FOTOGRAFIA "Per me quest’isola è casa, paura, silenzio, sospensione del tempo… e ogni mio scatto è il suo racconto”. Così il fotografo di origine ionica, isolano al seguito della famiglia sin dall'infanzia, scrive nella brochure di presentazione della mostra "Stromboli stati d'animo" che è stata esposta, durante l'estate, in vari luoghi dell'isola-vulcano delle Eolie: «La fotografia è espressione della mia anima, quello che ho dentro lo esprimo così. E mi emoziono pure a dirlo, ma è così»

“Quando il talento si unisce alla bellezza della natura viene fuori un capolavoro. Ad maiora”. Così ho lasciato scritto nel diario dei commenti nella personale fotografica di Sebastiano Cannavò a Stromboli,  la magica isola vulcanica dell’arcipelago delle Eolie, dal titolo “Stromboli stati d’animo”. “Per me quest’isola è casa, paura, silenzio, sospensione del tempo… e ogni mio scatto è il suo racconto”. Così scrive Sebastiano nella brochure di presentazione della mostra che è stata esposta fino al 6 luglio nel Giardino di via Vittorio Emanuele in contrada Piscità, per poi spostarsi in altre luoghi dell’isola che vede ancora netti i segni dell’alluvione che l’ha colpita il 12 agosto: «Certo è stato detto e ridetto che questo disastro si poteva evitare – ha scritto Cannavò con sofferenza sulla sua pagina facebook “Stromboli stati d’animo” -. Partendo dal 25 maggio quando in una riserva naturale orientata, patrimonio dell’Unesco dell’umanità e di tutti voi è stato appiccato un fuoco autorizzato da non si sa chi. Chiediamo di avere risposte, rapide ed efficaci affinché Stromboli possa essere un’isola sicura per il bene di tutti coloro che la visitano e ci vivono».

Oggi trentaseienne, Cannavò vive a Stromboli da quando ne aveva due. «La mia famiglia proviene da Giarre, in provincia di Catania – racconta -. Mio padre è originario di Graniti, nel Messinese, mia madre è di Acireale. Il signor Russo, proprietario della Sirenetta, un bellissimo hotel di Stromboli, conobbe mio padre, che fa il pasticcere, in una fiera a Giarre chiedendogli di andare a fare una stagione a Stromboli nel suo hotel. All’epoca, siamo negli anni Ottanta, mio padre aveva una sua pasticceria a Giarre. Decise di chiudere tutto e di andare a fare questa esperienza nell’Isola. Era il 1987, andò intanto solo e ci lasciò in Sicilia. La stagione successiva ci siamo trasferiti tutta la famiglia. Mio padre si era innamorato di quest’isola».

Qual è stato il tuo primo impatto con l’Isola?
«Tra i primi ricordi che ho da bambino legati a quest’isola c’è la prima volta che ho visto questo mare  e rimasi incantato. Aveva un colore diverso da quello di Giarre, un blu  così intenso non l’avevo mai visto».

E del Vulcano che impressione hai avuto?
«Come ho scritto anche in una mia piccola biografia, prima dell’età di sei anni non l’avevo mai “calcolato” il Vulcano o meglio “Iddu”, così come lo chiamiamo sull’Isola. Un giorno ho visto un’esplosione enorme, gigantesca, ed io ero in spiaggia, da solo, giravo con la bici, come facevano tanti bambini. Io abito a Piscità, vicino la Chiesa di San Bartolo, vedendo l’esplosione non mi sono spaventato ma mi sono meravigliato. Era bellissimo, ho visto il fuoco per la prima volta, è stata un’emozione fortissima. E credo che quel momento mi ha insegnato a non aver paura del vulcano».

Forse pochi a Stromboli sentono il peso del Vulcano, cioè ne percepiscono la pericolosità.
«Ogni tanto arrivano dei lapilli, chiunque si avventura senza prudenza può incorrere in pericoli. Ad oggi non ha mai fatto danni enormi, non ha mai ucciso nessuno. O per meglio dire, tranne qualche imprudente…».

Come si vive in questa isola così speciale?
«Sono cresciuto a Stromboli, qui ho fatto le scuole medie. Poi sono tornato a Giarre, dove ho frequentato  l’alberghiero, ma la mancanza dell’isola era forte. Sono stato bocciato e mi sono ritirato. Rientrato a Stromboli in inverno ho iniziato a lavorare, facevo il muratore. Lo faccio tuttora, poiché è uno dei pochi lavori che si può fare d’inverno, perché le case vicine al mare hanno bisogno di una ristrutturazione costante. Poi ho scelto di fare il deejay da quando avevo 13 anni, oggi  lavoro qui al Tartana, l’unica discoteca dell’isola, che prende il nome da una vecchia imbarcazione, che permetteva attraverso un rollo, di far attraccare e scendere sulla terraferma i passeggeri senza la presenza di un porticciolo».

Com’è nata la passione per la fotografia?
«Nasce tutto da una delusione d’amore. Mi è sempre piaciuto fare foto col telefono,  una passione che però non avevo mai approfondito. Era ottobre, d’inverno non sapevo cosa fare, d’inverno l’isola non ha vita mondana. Una persona che mi voleva bene mi consigliò di comprare una macchina fotografica ed iniziare a fare foto, così da allontanare la mia malinconia e il mio “mal d’amore” attraverso l’obiettivo di una macchina fotografica, per indirizzarlo verso le bellezze naturali e i panorami dell’isola. Così feci e da lì è iniziato tutto. Attraverso le foto ho iniziato tirare fuori tutto ciò che avevo dentro, un talento che non sapevo di avere, ho vissuto due anni scattando foto. Lavoravo tutti i giorni in muratura, finivo alle cinque e poi andavo in giro per l’isola dove conosco i posti,  ne verificavo la luce, mi immedesimavo  nei colori».

Tu sei autodidatta.
«Si, negli anni ho imparato le tecniche per essere più padrone della macchina, in particolare durante l’incendio che ha colpito l’isola il 25 maggio di quest’anno, che è arrivato a lambire le case del paese, mi sono trovato una sera a scattare una foto che è stata scelta dal National Geografic. Il giorno dopo l’incendio ho anche fatto un video col drone che ho pubblicato ed è stato tra i più visualizzati. Chiunque cliccava o cercava Stromboli visualizzava il mio video e le mie foto. Lì c’è stato il salto di qualità che ha permesso di farmi conoscere da un vasto pubblico».

Sei conosciuto anche fuori dall’Isola, ti hanno proposto di portare la tua mostra fotografica altrove.
«Si, mi hanno proposto di esporre a Capo d’Orlando e anche a Roma. Mi ha telefonato il gestore di un locale di Milano per invitarmi ad esporre le mie foto. La mia prima mostra è stata qui a Stromboli e la location è stato il giardino dove giocavo da bambino. Poi l’ho riproposta all’interno dei  ristorante “Terra nera” di via Roma, dove resta fino a fine mese». 

Per finire, che cos’è per te la fotografia?
«E’ espressione della mia anima, quello che ho dentro lo esprimo così. E mi emoziono pure a dirlo, ma è così».

C’è una foto a cui sei particolarmente legato?
«Sì, quella di Strombolicchio con la luna quasi piena, è tra le più ricercate. Lì c’è tutta la mia tecnica, la costanza. Ho seguito l’andamento degli astri, ho una applicazione che mi permette di sapere l’andamento della luna, da due anni cercavo quell’ immagine e l’ho fermata nella foto».

Quali sono i tuoi progetti futuri?
«I miei progetti sono quelli di continuare ad imparare. Quest’inverno vorrei fare dei corsi di specializzazione che migliorino le mie tecniche fotografiche. Andrò a Palermo per prendere parte ad un corso di post-produzione fotografica che mi manca».

Stromboli che cosa è per te…
«Tutti i giorni pubblico su Istantgram, su facebook col nome “Stromboli stati d’animo” e poi oggi riesco a fotografare con una passione nuova, ma soprattutto con amore. Ho trovato l’amore, ho una compagna di Palermo che condivide con me tutte le emozioni di questa passione per le immagini».(sicilymag.it)

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