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di Paolo Caruso*

NON FACCIAMO GUERRE TRA POVERI
Altro Pensiero sulla protesta degli autotrasportatori siciliani che penalizza quasi esclusivamente gli agricoltori.

Con Giuseppe Li Rosi e Luca Serafini
"Ma ancora più disastrosa è la richiesta di prodotti da paesi come la Spagna, che realizza il capolavoro di arrecare oltre al danno la beffa."

I venti di guerra non riguardano soltanto la disputa tra Russia e Ucraina, focolai di tensione si registrano anche in terra sicula tra autotrasportatori e produttori agricoli.

Uno sciopero iniziato alla mezzanotte di domenica scorsa vede protagonisti i trasportatori dell’Isola, che protestano contro il caro carburanti, che sta penalizzando il loro settore, ma non solo.

Lo sciopero ha già avuto l’effetto di rallentare le merci e l’ortofrutta isolani, che registrano incertezze sui tempi di consegna ed anche le prime disdette.

A essere fuori discussione sono le legittime ragioni degli autotrasportatori, gravati da costi decisamente esorbitanti e per certi versi ingiustificati, che si aggiungono al pessimo stato della viabilità siciliana che registra standard da quarto mondo.

Ma il caro carburanti non riguarda soltanto il settore dei trasporti, anche l’agricoltura è fortemente condizionata dall’utilizzo del gasolio per quanto riguarda l’utilizzo dei mezzi meccanici.

Ma il rincaro dell’energia coinvolge anche il costo di concimi, agrofarmaci, packaging, etc. a causa della loro stretta dipendenza tra la loro industria e le forniture di gas.

L’assoluta dipendenza del trasporto su gomma delle merci isolane è amplificata dalla miopia politico-strategica che non ha considerato la necessità di incrementare le infrastrutture siciliane a favore del trasporto intermodale, una tipologia di di unità di carico (es: container) che combina diversi mezzi (navi, camion e treni) per raggiungere la destinazione programmata.

La protesta dei trasportatori, ripetiamo legittima nella sostanza, è molto meno giustificabile nella forma, che rischia di generare una guerra tra poveri di cui non si sente affatto il bisogno.

Manifestare non deve rappresentare un danno per altre categorie, specie per quella agricola.

Bloccare il trasporto su gomma equivale a impedire la vendita dei prodotti agricoli siciliani e di conseguenza l’unica fonte di guadagno del settore agricolo.

E l’ortofrutta non può giacere indefinitamente sui bancali di un deposito o sulle piante; le consegne sono indifferibili.

I primi effetti della protesta si stanno rivelando devastanti.

Il Consorzio di tutela Arancia di Ribera Dop con una nota riporta che “Centinaia di bancali di arance di Ribera Dop pronti per la destinazione delle piattaforme della Gdo e dei mercati ortofrutticoli sono rimasti nei magazzini di lavorazione con notevoli danni all’intero settore agricolo del territorio”

Ma il danno non si limita soltanto a un mancato reddito.

Molti distributori stanno aumentando gli ordinativi da chi riesce a garantire la consegna della fornitura, soprattutto da regioni non ancora coinvolte in maniera così pesante dalle proteste per il caro carburante: Basilicata, Calabria, Campania e Lazio.

Ma ancora più disastrosa è la richiesta di prodotti da paesi come la Spagna, che realizza il capolavoro di arrecare oltre al danno la beffa.

Ci chiediamo se sia necessario colpire proprio l’agricoltura per far rivalere i propri, legittimi e giustificati diritti.

Sapevate, ad esempio, che i prodotti più esportati dell’economia siciliana sono quelli petroliferi?

Nel terzo trimestre del 2021 dalla Sicilia sono stati esportati 3 miliardi 931 milioni 352mila euro di prodotti petroliferi raffinati, pari al 53,89% del totale delle esportazioni dell’Isola (dati Unioncamere).

Il settore agricolo pesa sull’export siciliano per il 6.14% (circa 448milioni di euro).

Chiunque capirebbe che non è l’agricoltura il settore da penalizzare per far sentire le proprie ragioni.

Oggi i siciliani si trovano nella situazione, pirandelliana, di essere trasformatori di petrolio e derivati, di non trarre alcun beneficio economico da questa situazione, ma in compenso gravati da deturpazioni e disastri ambientali causati dai tre poli petrolchimici presenti nell’Isola (Gela, Augusta e Milazzo).

Ripetiamo: protesta legittima, quella dei camionisti, ma con obiettivo e danni collaterali assolutamente errati.

D’altronde il fallimento registrato una decina di anni fa dal movimento dei “Forconi” avrebbe potuto insegnare qualcosa, ma così non è stato.

Ha ragione Corrado Guzzanti: “Solo ripetendo sempre gli stessi errori si impara a eseguirli alla perfezione”.(altropensiero.net)

*Agronomo

NOTIZIARIOEOLIE.IT

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Oscar Farinetti, presidente di Eataly, durante il suo intervento all’evento “The future of the Italian food system between innovation, safety and sustainability”, organizzato al Padiglione Italia di Expo 2020 Dubai, ha dichiarato: «Nel futuro, vorrei che il 100% dei prodotti italiani fossero biologici. Se dipendesse da me, dichiarerei obbligatoria l’agricoltura biologica da tre a cinque anni. È possibile”.

E ancora: “Immaginate una conferenza dove il premier Draghi dice che tutta l’Italia è biologica, sarebbe marketing”, “Raddoppieremmo le esportazioni e il turismo. Dobbiamo essere forti su questo concetto. Io propongo che tutta l’Italia diventi biologica. Credo che sia il nostro futuro: biologico e sostenibilità”.

92 minuti di applausi, altro che Fantozzi.

Oscar Farinetti che, per i più sprovveduti, è una sorta di guru dell’agroalimentare italiano, in realtà è un imprenditore che ha iniziato la sua attività contribuendo a sviluppare il supermercato Unieuro, fondato dal padre, fino a farlo diventare una catena di grande distribuzione specializzata nella vendita di elettrodomestici.

Il suo primo approccio con il settore agroalimentare viene segnalato nel 2003 con l’acquisto – e successiva ristrutturazione – del Premiato Pastificio Afeltra di Gragnano (fonte: Wikipedia).

Dopo aver raggiunto un discreto successo internazionale, decide di vendere Unieuro a Dixons Retail, una compagnia di vendita al dettaglio di elettronica di consumo con sede nel Regno Unito.

Con i soldi ottenuti dalla vendita fonda la catena di distribuzione di alimentari di eccellenza Eataly, che lo porta agli onori del settore agroalimentare italiano.

Dall’alto di questa posizione di ambasciatore (?) del made in Italy, e forte di entrature politiche e campagne mediatiche di certo non ostili, ha iniziato a pontificare e scrivere su tutto l’universo del mondo nostrano del cibo. Dichiarazioni, purtroppo, sempre improntate al “pro domo sua”.

Una delle più famose e memorabili uscite che si ricordano di Farinetti si ebbe in occasione di una puntata dell’agosto 2016 di “In Onda Estate”, trasmissione televisiva di La7, al tempo condotta da David Parenzo e Tommaso Labate. Rispondendo a una domanda dei conduttori sul grano prodotto in Italia, Farinetti spiegò che il grano duro italiano non è una materia prima di alta qualità e che per fare una pasta di alta qualità e per ottenere una semola di alto livello servono caratteristiche di proteine, di glutine, di cenere nel grano duro che purtroppo in Italia è molto difficile ottenere.

Farinetti continuò asserendo che il grano di alta qualità è quello di provenienza americana e canadese. Il Nostro purtroppo confuse la facilità di lavorazione di quest’ultimo, soprattutto per il ciclo industriale della pasta, con la presunta superiorità delle caratteristiche qualitative in generale e del contenuto proteico in particolare.

Farinetti purtroppo dimenticò di segnalare che il grano in Canada matura grazie all’utilizzo indiscriminato di Glifosate, un prodotto agrochimico che diversi tribunali californiani hanno riconosciuto come fattore determinante per l’insorgere del cancro. Che biologico non è…

Lo stesso Farinetti, tempo dopo, ospite di “Deejay chiama Italia”, presentando uno dei suoi innumerevoli libri (è più scrittore o imprenditore..?), parlando di grano e suoi derivati dichiarò: «…per poi arrivare nei secoli a questa meraviglia, la farina bianca», in spregio a tutte le evidenze scientifiche che segnalano la superiorità del consumo di cereali integrali rispetto a quelli raffinati.

Una delle sue ultime intemerate è stata segnalata, condotta insieme al suo sodale Flavio Briatore, in occasione di una visita (con Jet privato) in Sardegna, per manifestare la propria solidarietà e vicinanza ai pastori sardi, che all’epoca riversavano il latte dei loro animali in strada, come estremo gesto di protesta verso una politica che di fatto impediva la prosecuzione delle loro attività.

I nostri paladini presero il solenne impegno di aiutare la diffusione del Pecorino sardo nei vari “Billionaire” dispersi qua e là per il mondo. Purtroppo non si segnalano comande di champagne con annesse candele e pecorino sui tavoli di questi locali.

La recente uscita di Farinetti sul biologico for ever è pienamente condivisibile dal punto di vista della sostenibilità ambientale e sociale, più difficilmente praticabile, in così breve tempo a livello agronomico e industriale.

Ed è confortante, comunque. Il nostro eroe ha sempre mostrato una spiccata predilezione a farsi gli affari propri, le sue dichiarazioni sono sempre state ispirate dal vento del business, più che da quello delle motivazioni sociali o ambientali. Proprio per questo siamo certi che la strada dell’agricoltura biologica sia quella più promettente in termini di appeal commerciale. Se lo dice persino lui.( altropensiero.net)

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