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di Lino Natoli

Vorrei tornare indietro nel tempo, non per rimpianto, non per nostalgia. Se è vero, com’è vero, quello che dice Einstein, ovvero che la velocità della luce è costante, è anche vero che spazio e tempo sono variabili. Si comprimono con l’aumentare della velocità della luce, si dilatano quando questa rallenta. Da qui si apre l’affascinante percorso della meccanica quantistica che ci spiega come sia possibile che particelle comunichino tra di loro quasi telepaticamente, che si trovino, nello stesso tempo, in luoghi diversi, che ci costringe a rivedere le nostre certezze sul prima e sul poi.
Dunque la domanda è: si può tornare indietro nel tempo, magari cavalcando le onde gravitazionali? Si, secondo il Comune di Lipari. Non solo si può, ma si deve. Perché se arriva una bolletta per il servizio idrico che fa riferimento all’anno 2018 e la cui scadenza di pagamento è il 15 Giugno 2016, allora è provato che si può tornare indietro nel tempo. Rivivere antiche emozioni, rimediare a qualche errore commesso, riabbracciare affetti perduti, pagare bollette che vagano nello spazio e nel tempo con l’accortezza di conservare la ricevuta di pagamento con bollo e timbro. Perché così è certificato: il tempo non esiste.

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Lipari, Pensierino...

Strati di cultura subumana che si ammassano esprimendo soltanto istanze fisiologiche, umanità sparsa, disorientata, seminuda. Errante tra proposte di cibo, spiagge immaginarie, souvenir di mondi lontani ed estranei. Quel luogo antico e fragile che ospitò il sorgere della civiltà oggi ne osserva il suo disfacimento partecipandovi complice con la sua offerta di tavolini che impongono non solo il percorso ma anche il tempo dell'incedere. Ospitalità mediocre che dal peggio trae il peggio mortificando il raro eroe che ancora si ostina a credere che il lavoro possa farsi con decoro.

Nel travolgente turbinio che proponendo miseria annuncia povertà, anche l'illusione della tassa di sbarco smaschera il suo inganno: raccogliamo il peggio offrendo il meglio ad altri più capaci. Non è il conflitto tra il più furbo e il più stupido a rappresentarsi, ma tra il colto e l'ignorante. Temo che a furia di collocarci di diritto tra i furbi siamo finiti ingloriosamente tra gli ignoranti.
Il nulla che vaga tra il caos e le macerie di monumenti antichi ed irripetibili si appaga del nulla. Se agli albori del nostro turismo ci lamentavamo di poter offrire solo qualcosa, oggi ci vantiamo orgogliosamente di non offrire niente. Non offrendo niente attraiamo il niente, lo blandiamo, lo proteggiamo, lo accudiamo con servile sollecitudine.

Dunque tutto è improntato al nulla e quella vena di servilismo che scambiamo per abilità nell'arte del turismo ha finito per infettare anche attività che per manifesto intento ambirebbero a produrre conoscenza. Così il pessimo ed il patetico si confondono illudendo l'ingenuo che in fondo esista ancora un'identità da salvaguardare. Si chiederà allora il critico lettore se rimanga davvero ancora qualcosa da salvare. No, non c'è più niente da salvare. C'è tutto da cambiare. Ma cambiare significa anche rinunciare, e qui s'infrange l'ultima speranza, nella fine di una dimensione sociale che, nessuno ci crederebbe adesso, è stata forse la caratteristica fondamentale di quella che con enfasi definiamo la nostra cultura.

Rimaneva forse un'unica certezza, il santo protettore, la fede nell'apostolo dubbioso e pensieroso che si muove dall'ombra confortevole del fico per affrontare la sfida della verità. Un tempo se ne celebrava la ricorrenza nel rituale condiviso della festa, oggi che il feriale non consente più alcuna indulgenza al festivo, il festeggiato è diventato anch'egli un ospite dimesso di un qualsiasi festival.

 

 

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