“Questa è la prima volta che una rete sismica così densa (circa 1.2 stazioni per chilometro quadrato) è stata impiegata per studiare un sistema vulcanico”, spiega Francesca Di Luccio, coordinatore del team internazionale di scienziati
Un progetto dell'Ingv contribuirà alla valutazione della pericolosità sismica e vulcanica delle Eolie, una zona chiave del Mediterraneo dove convergono le placche africana ed euroasiatica.
L’INGV ha installato a Lipari una rete di sensori sismici per studiare il sistema di alimentazione dei vulcani unendo i dati sismici con le misurazioni geochimiche e i dati geologici al fine di ottenere un'immagine completa del sottosuolo
Un team internazionale di scienziati coordinato da Francesca Di Luccio, sismologa dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), ha installato una fitta rete di 48 sensori sismici a Lipari, nelle Isole Eolie. L’esperimento, effettuato nell’autunno 2018, è stato realizzato in collaborazione con il Department of Geology and Geophysics della Louisiana State University e il Seismological Laboratory del California Institute of Technology di Pasadena.
“Questa è la prima volta che una rete sismica così densa (circa 1.2 stazioni per chilometro quadrato) è stata impiegata per studiare un sistema vulcanico”, spiega Francesca Di Luccio. “Rappresenta un modo innovativo per monitorare le dinamiche profonde e superficiali dei sistemi magmatici. Lo scopo di questo progetto è lo studio di dettaglio della crosta e del mantello superiore dell'isola di Lipari per costruire un'immagine tridimensionale dell'interno della Terra sotto l’isola”.
Il progetto, illustrato nell’articolo “Seismic sensors probe Lipari’s underground plumbing” pubblicato sulla rivista Eos, Earth & Space Science News, prevede di unire i dati sismici con altri dati, come le misurazioni geochimiche e i dati geologici, per ottenere un'immagine più robusta e completa del sottosuolo. L’utilizzo di una densa rete di stazioni sismiche costituisce un approccio innovativo nel monitoraggio dei vulcani attivi. “Durante l’esperimento sono stati registrati non solo i terremoti locali ma anche quelli molto distanti dall’area mediterranea e dal rumore sismico”, aggiunge Luigi Cucci, geologo dell’INGV.
“I segnali, nel loro complesso, permetteranno non solo di avere un quadro conoscitivo dettagliato del sottosuolo di Lipari, ma anche di evidenziare zone di accumulo di magma o fluidi idrotermali e di identificare possibili faglie sismogenetiche o fratture sepolte” conclude Guido Ventura, vulcanologo dell’INGV.