di Gian Pietro Verza

Ho sempre pensato a un’isola vulcanica come a sabbia con ciottoli e sassi e mostri di lava neri. Dal battello invece uno spruzzo di verde dal mare smeraldo e là sopra quel fumo grigio eterno.

Storicamente nota come il faro del Mediterraneo, oggi, in era di GPS e Laser, sta lì, nel mezzo del Mediterraneo, a testimoniare una ferita cronica nella litosfera. Mentre l’imbarcazione si avvicina alle coste stiamo già navigando sopra le falde di Stromboli, sotto di noi spuntano dal fondo marino quasi 2 chilometri di montagna attraversata dal magma.

E poi si attende il momento propizio, 500 metri di dislivello in una vegetazione mediterranea avvolgente. Profumi dall’intenso dolciastro sensuale di grandi arbusti ai più delicati delle piccole piante, tra ginestre, cisti e… capperi.

P12000283Appena dopo ci aspetta l’odore acre dello zolfo e dei vapori del Vulcano. Grazie al Vulcano il suolo è fertilissimo e ha collaborato col mondo vegetale permettendo intense coltivazioni su terrazzamenti fino al 1930, quando l’irrequieta natura ha voluto dare un segno di vitalità traboccante, annullando molte delle opere umane e provocando un’emigrazione di massa dall’isola.

Oltre i 500 metri di quota si entra in un ambiente grigio/nero: il suolo del sentiero è sfumato lentamente da giallo ad arancione a marrone e adesso è scuro come la pece.

Dalla piramide sommitale lunghe colate di sabbia e cenere vulcanica. Gli strati delle eruzioni in successione sono evidenti, alcune pietre solidificate all’interno dei fiumi di lava sono compatte e pesano, altre solidificate a contatto di gas o aria si sono riempite di bollicine e pesano come delle bottiglie vuote, al confronto con le altre, molte possono galleggiare. Il sentiero è comodissimo e innumerevoli zig zag su gradini lavici ci portano ad affacciarci alla Sciara del Fuoco, siamo sul raccordo con la cresta Labronzo e davanti a noi appaiono i 3 crateri. Tra me e me penso che siamo abituati a vedere il fumo come un segno della presenza o dell’opera umana. Questo fumo perenne è invece l’imprescindibile testimonianza della potenza della natura.

Come se la crosta terrestre avesse una ferita aperta che non si rimargina, a poche centinaia di metri da me il magma diventa lava e sbuffi di gas sparano lapilli a oltre 1000 metri di quota.

P1200431Dal mantello il magma in pressione riesce a infilarsi per decine di chilometri e qui incontra il cielo ed esplode con gas e lapilli a oscurarlo.

Affascinato da questa visione di una bellezza dantesca, visito in successione tutte le postazioni in cui si può sostare ad osservare i fenomeni. In cima a 920 metri c’è un angolo di sabbia nera dove riesci a scavare solo per 15 cm, poi ti scotti le mani.

Non è uno scherzo, qui tutto è pieno di energia. Le botte e i tonfi e poi i ruggiti dei crateri hanno più intensità acustica di un grande jet al decollo e si ripetono inaspettatamente, qualche volta ti risuonano nello stomaco.

A questo punto è notte e ti rendi conto che attorno a questo mondo selvaggio e preoccupante esiste tanta vita: laggiù nelle coste di Calabria e Sicilia, a poche decine di chilometri, il mondo conosciuto e rassicurante, sotto i nostri piedi l’inferno pronto ad aggredire l’isola.

I locali pregano ogni giorno che il Vulcano fumi, sbuffi e lanci lapilli perché un’interruzione dell’attività è sempre vista come un segno nefasto: la gente comincerebbe a contare i giorni e a temere per tutta quell’energia che si va a incamerare nella montagna.

Scendere nella notte sui sentieri sabbiosi è un po’ come continuare un sogno selvaggio ed arrivare nel villaggio è come gradualmente risvegliarsi e ritrovare il mondo abituale.

P1140797Non sempre si sale sul Vulcano, ci sono giorni in cui il vento sfida i pennacchi di fumo sommitali e li schiaccia fino a raggiungere l’orizzonte insieme ad una nuvola di condensazione dell’aria umida marina, che inevitabilmente si forma. In quei giorni hai bisogno di occhiali a maschera e un buon equipaggiamento per avvicinarti alla cima e potresti facilmente trovarti 40-50 chilometri all’ora di vento in più rispetto alle coste.

Allora quando non salgo aspetto il tardo pomeriggio e vado al Capo Labronzo, arrivo al tramonto, e mi piace pensare che con me ho portato tutti i miei sogni e fantasie, che restano qui, mentre il sole scende nel mare o scompare tra le nuvole.

Sopra di me ancora benevolo il Vulcano si agita in lontananza e il fumo esce vigoroso sopra i pendii di lava. Si, come dicono qui, questa è un’isola magica e la sua magia si manifesta con un’attrazione magnetica dei suoi colori e dei suoi odori, ma soprattutto di quella ferita che non si chiuderà mai. Almeno per la nostra limitata concezione del tempo, una piccola scintilla nell’immensità delle ere geologiche.

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