di Salvatore Iacono*
Nel gennaio del 2024, il telescopio spaziale Webb, posizionato nel punto di Lagrange L2, a circa un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, ha osservato per circa 10 ore la galassia JADES-GS-z14-0 nella costellazione Fornace (ingrandita nel riquadro dell’immagine).
Mediante lo strumento NIRS (Near InfraRed Spectrograph) è stato possibile uno studio accurato della luce emessa dalla galassia ottenendo informazioni sulla sua distanza e sulle sue caratteristiche. È stato possibile così stabilire che si tratta di una delle galassie più lontane mai osservate. Infatti la sua distanza dalla Terra è di 13 miliardi e 600 milioni di anni luce.
Questo significa che si è formata appena 300 milioni di anni dopo l’origine dell’Universo (il Big Bang). Ma ciò che sorprende è che, pur essendo larga poco più di mille e 600 anni luce, risulta essere molto luminosa. Tale luminosità dimostra che la luce proviene dal stelle giovani e non da un buco nero supermassiccio in crescita e che la galassia deve avere una massa di centinaia di milioni di volte quella del Sole.
Tutto ciò fa sorgere una domanda: come può la natura creare una galassia così luminosa, massiccia e grande in meno di 300 milioni di anni?
*Specialista in Microelettronica e Componenti Elettronici per Applicazioni Spaziali Ingegnere Nucleare
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Per la prima volta nella storia, una navicella spaziale, la Parker Solar Probe della NASA, sta volando attraverso la parte più esterna dell’atmosfera del Sole, quella che gli astrofisici chiamano “corona solare”, analizzando le particelle di cui è formata (essenzialmente protoni ed elettroni) ed effettuando misure del suo intenso campo magnetico.
Così scrivevo l’11 ottobre 2018:
“La navicella spaziale Parker Solar Probe è in viaggio nello spazio, diretta verso il Sole.
Il lancio è avvenuto alle 3:31 del mattino, ora della costa orientale degli Stati Uniti, del 12 agosto scorso dal Complesso di Lancio-37 di Cape Canaveral, utilizzando un lanciatore Alliance Delta IV Heavy (Foto 1). E’ la prima volta che la NASA assegna ad una navicella spaziale il nome di uno scienziato, Eugene Parker, ancora vivente. Infatti nella Foto 2 si vede Parker che assiste al lancio della navicella che porta il suo nome, sconosciuto al grande pubblico mentre per gli addetti ai lavori è quasi una leggenda. Nel 1958, Eugene Parker propose una spiegazione di come le stelle, e quindi il nostro Sole, espellono la loro energia nello spazio e per primo teorizzò l’esistenza del vento solare la cui esistenza venne dimostrata mediante l’impiego dei satelliti e che sappiamo essere costituito essenzialmente da protoni ed elettroni.
Nei sette anni in cui durerà la missione, la Parker Solar Probe – le cui dimensioni sono approssimativamente quelle di una utilitaria – effettuerà un totale di 24 passaggi intorno al Sole, avvicinandosi sempre di più fino a raggiungere la distanza minima dalla sua superficie di 6 milioni e 115 mila chilometri. Per poter effettuare queste orbite utilizzerà per sette volte l’aiuto gravitazionale ( il termine tecnico è “flyby”) del pianeta Venere (vedi Figura 3). Sarà, quindi, un viaggio molto complesso dal punto di vista della navigazione spaziale. Nel suo passaggio più vicino al Sole, la navicella avrà una velocità di 700 mila chilometri l’ora diventando così l’oggetto più veloce fin ora costruito dall’uomo.
Come ha detto Thomas Zurbuchen, responsabile delle Missioni Scientifiche della NASA, questa missione consentirà all’umanità di visitare per la prima volta una stella, il Sole, fornendo dei dati che ci daranno una migliore comprensione dell’Universo. Ed ha aggiunto che ciò che è stato fatto, qualche decennio fa sarebbe appartenuto solo al regno della fantascienza.
La NASA ha concesso a scienziati, tecnici e tante altre persone, me compreso, d’inserire il proprio nome in una memory card che viaggerà con la Parker Solar Probe fin sulla nostra stella. La fotografia mostra il momento in cui la memory card viene assemblata sulla navicella spaziale”.
Ghiaccio sulla Luna. Il 22 ottobre 2008 è stato lanciato il satellite Chandrayaan-1 dell’agenzia Spaziale Indiana con destinazione la Luna. Il 12 novembre, il veicolo spaziale si è posizionato in un’orbita polare intorno alla Luna, ad un’altezza di 100 chilometri dalla sua superficie, operando per 312 giorni dopodiché, per un guasto, ha interrotto le comunicazioni con la Terra.
Tra le apparecchiature scientifiche imbarcate sulla navicella vi era anche il Moon Mineralogy Mapper – indicato anche con la sigla M3 – costruito dalla NASA, avente lo scopo di confermare la presenza di ghiaccio solido sulla Luna. Lo strumento è stato in grado di misurare non solo le proprietà riflettenti del ghiaccio ma è stato in grado di misurare con estrema precisione il modo in cui le molecole di acqua assorbono la luce infrarossa in modo da distinguere tra acqua liquida, vapore e ghiaccio solido.
La maggior parte di questo ghiaccio si trova all’ombra dei crateri situati in prossimità dei poli della Luna, dove la temperatura non supera mai -157 °C. Ciò è dovuto alla piccola inclinazione dell’asse di rotazione della Luna che non consente alla luce del Sole di raggiungere queste regioni in ombra.
L'immagine mostra la distribuzione del ghiaccio superficiale sul polo sud della Luna (a sinistra) e sul polo nord (a destra). Le macchie in colore rappresentano i depositi di ghiaccio sulla superficie lunare, in cui la scala dei grigi corrisponde alla temperatura della superficie (le tonalità più scure rappresentano le aree più fredde e quelle più chiare indicano le zone più calde).
Forse un giorno sarà possibile utilizzare queste riserve d’acqua per rifornire le basi lunari.
*Specialista in Microelettronica e Componenti Elettronici per Applicazioni Spaziali Ingegnere Nucleare