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di Carlo D'Arrigo*

Il Giorno della Memoria

Ventisette Gennaio è il Giorno della Memoria, non una ricorrenza qualunque ma il ricordo della più grande infamia dell’Umanità. Il ventisette gennaio 1945 le Truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz nella Polonia occupata dai Nazisti di Germania già nel 1940, secondo anno di guerra. Sopra il cancello d'ingresso del Campo capeggiava la scritta “Arbeit macht frei”, (Il lavoro rende liberi) ideata da uno dei primi comandanti del campo.

La scritta assunse nel tempo un forte significato simbolico rappresentando in modo beffardo le menzogne del campo nel quale i lavori forzati, la condizione disumana di vita e il destino finale della morte contrastavano con il significato del motto stesso. Quel 27 gennaio all’interno del Campo erano ancora oltre settemila persone, ma ad Auschwitz morirono più di un milione di esseri umani, persone come noi con un cuore pulsante, un cervello pensante e due occhi che hanno visto il terrore della tragedia più assurda mai creata dall’Uomo. Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell'Olocausto, del Genocidio.

La scoperta del campo e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono per la prima volta al Mondo civile l'orrore del genocidio nazista. L’Italia ha istituito la giornata commemorativa alcuni anni prima della corrispondente risoluzione delle Nazioni Unite del 2005 ed essa ricorda le Vittime dell’olocausto e le vergognose leggi razziali varate nel 1938 dal Regime fascista, emulando la barbarie Hitleriana. Il Parlamento Italiano, con legge del 20 luglio 2000 riconosce il 27 gennaio Giorno della Memoria per ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei. Gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

Nel Giorno della Memoria sono organizzati cerimonie, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in particolare nelle scuole, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa e, soprattutto, perché simili eventi non accadano più. Ma così non sembra se osserviamo che tante teste dementi perseguita, ancora oggi, il Popolo Ebraico e la sua Terra di Israele. C’è da sperare che il buon Dio sappia liberare il genere umano da queste gravi deformazioni della mente.

*Già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

L'intervento

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di Silvana Clesceri

LA GIORNATA DELLA MEMORIA

L’Olocausto fu lo sterminio sistematico di circa sei milioni di ebrei, insieme a rom, oppositori politici, persone con disabilità e altre minoranze, da parte del regime nazista durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945). Adolf Hitler e il suo governo attuarono un piano genocida che portò alla deportazione di milioni di persone nei campi di concentramento e sterminio come Auschwitz, Treblinka e Sobibor. Qui le vittime furono uccise con camere a gas, di cui innocenti bambini erano dirottati a lavori forzati, fame e malattie. La liberazione dei campi da parte degli Alleati nel 1944-1945 rivelò al mondo l’orrore di questi crimini contro l’umanità.
Un messaggio per i giovani.

Oggi, ricordare l’Olocausto non è solo un esercizio di memoria, ma una riflessione per il futuro. Come hanno vissuto i nostri nonni la guerra, così tante persone hanno sofferto la fame, la paura e l’ingiustizia. I racconti degli anziani ci insegnano che il male spesso nasce dall’indifferenza e dall’odio, ma anche che la solidarietà può fare la differenza.
Parlando con chi ha vissuto quegli anni, ho imparato che le cose più preziose sono la pace, la libertà e la dignità non devono mai essere date per scontate. È importante che i giovani ascoltino queste storie per comprendere cosa significhi davvero "Mai più".

In questa giornata di memoria, voglio lasciare spazio alle parole di chi ha vissuto quegli anni e ha saputo trasformare il dolore in testimonianza. Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz, scrisse queste testuali parole “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.” Questa frase ci ricorda l’importanza di non distogliere mai lo sguardo dalla storia, anche quando fa male.Ricordiamo anche Anne Frank, una ragazza come tante, chiusa in un rifugio per sfuggire alla persecuzione, scrisse nel suo diario: “Non penso a tutta la miseria, ma alla bellezza che rimane ancora.”

Nonostante l’orrore, trovò la forza di credere nella speranza e nell’umanità.
Queste parole non sono solo memoria, ma una guida per il presente e il futuro. Non dimentichiamo mai ciò che è accaduto, e ricordiamo sempre di scegliere la luce, anche nei momenti più bui anche se spesso si cade e ci si rialza .Perché, come disse Elie Wiesel, un altro sopravvissuto: “L’opposto dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza.”
Oggi, scegliamo di non essere indifferenti. Scegliamo di ricordare.

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Lipari, Il Centro Studi Eoliano "27 Gennaio: per non dimenticare..."

L’isola di Lipari fu utilizzata dal regime fascista per l’internamento di ebrei Italiani e stranieri sin dal 1941 al 1943. Il Campo d’internamento venne chiuso con l’arrivo degli Alleati e lo sbarco in Sicilia e numerose famiglie vennero trasferite in altri campi di concentramento nell’Italia Centro Settentrionale e successivamente nei lager tedeschi. Diversi anche i casi di alcune famiglie ebree italiane; con lo sgombero del campo di Lipari, un padre decise di nascondere a Lipari, presso una famiglia eoliana amica, la giovane figlia Eva. La ragazza fu nascosta e aiutata ed è sopravvissuta, ritornando negli anni a Lipari per rivedere quella che lei chiamava la sua famiglia. (Su questo caso stiamo conducendo una profonda ricerca per ricostruire tutte le vicende di questa giovane donna).

Con l‘inizio dell‘occupazione militare alleata, la prima questione a cui gli angloamericani dovettero far fronte riguardava la gestione dei territori occupati. Per questa ragione, tra il 9 e il 10 luglio del 1943, cominciò ad operare il Governo Militare Alleato (AMGOT), il cui presidente era il generale inglese Harold Rupert Alexander. Una delle primarie questioni di cui l‘AMGOT dovette occuparsi fu la crisi dei profughi, tra cui vi erano migliaia di ebrei. Ancora una volta l’isola di Lipari si trovò costretta ad ospitare un campo di internamento. Numerose le proteste da parte del Comitato di Liberazione Nazionale di Lipari, presieduto da Don Eduardo Bongiorno.

Alla fine del conflitto, dopo alcuni mesi di tranquillità, ancora una volta Lipari viene individuata quale Centro Raccolta Profughi dal nuovo governo repubblicano. Nel corso del 1946, all’indomani della riattivazione ad opera del direttore Girolamo Laquaniti, Lipari ospitò gruppi di ebrei stranieri classificati come “Indesiderabili”.

Il 14 dicembre 1946, un primo gruppo di dieci ebrei venne inviato a Lipari. Come emerge dalle loro testimonianze, le condizioni di vita erano molto dure, sia per le disciplina che veniva imposta al suo interno, che per le ristrettezza economiche ed i problemi di convivenza tra gli internati. Particolarmente insopportabile era l‘isolamento geografico.

Il 7 gennaio del 1947 il gruppo scriveva a Raffaele Cantoni (un rappresentante delle organizzazioni dei Profughi Ebrei in Italia), per sottoporre le terribili condizioni in cui erano costretti a vivere ed alludendo esplicitamente a problemi di convivenza all‘interno della struttura:

Egregio Signor Presidente Raffaele Cantoni, Vi abbiamo informato con precedente corrispondenza dello sciopero della fame al quale ci prepariamo per il 15.01.1947 se a quest‘epoca non dovessimo essere liberati. Vi facciamo sapere che siamo costretti ad iniziare lo sciopero della fame, sabato 11 gennaio giacché tutto il campo composto di 360 persone cominceranno da questo giorno lo sciopero in questione, e quindi noi ebrei non possiamo astenerci, se non mettiamo la nostra vita in pericolo. (…) Lo sciopero generale della fame è già stato portato a conoscenza del direttore del campo e di ciò sarà anche informato il Ministero.

Raffaele Cantoni rispose garantendo tutta l‘attenzione e l‘aiuto materiale e burocratico necessari al loro allontanamento, chiedendo in cambio di soprassedere all'intenzione di iniziare lo sciopero della fame.

Le proteste erano numerose, gli ebrei lamentavano di essere affamati, abbandonati, disperati, senza aver commesso nessuno reato. Tra loro c’erano anche dei ragazzi minorenni che erano fuggiti dalla Polonia e diretti in Palestina. Per la maggior parte degli ebrei di Lipari, tuttavia, l‘ottenimento della liberazione si rivelò essere un percorso estremamente tortuoso, a causa soprattutto delle lungaggini burocratiche e dei problemi di comunicazione tra il Ministero dell‘Interno e la Questura di Messina; il fatto che Lipari si trovasse in una posizione di isolamento rispetto alla penisola complicava ulteriormente la situazione. Numerose le storie personali dei singoli troppo lunghe e complesse per raccontarle in questa sede. Lentamente nel giro di un anno tutto gli ebrei vennero trasferiti in altri campi ed ottennero l’agognata liberazione.

Possiamo paragonare l’internamento fascista di civili con i lager nazisti? Assolutamente no!, tuttavia, occorre rilevare che le condizioni di restrizione della libertà, le difficoltà di rifornimento imposte dall'inasprimento della guerra, l'affollamento degli alloggiamenti rendevano difficile e penosa la vita dei civili internati. I campi di concentramento italiani sottoposti all'autorità civile, tra il giugno del 1940 e l'agosto del 1943, furono complessivamente una cinquantina. La loro direzione era affidata a un commissario o a un maresciallo di pubblica sicurezza, oppure al locale podestà, coadiuvato da carabinieri, questurini o militi fascisti.

A guerra conclusa, di fronte all'immane orrore degli oltre cinque milioni di ebrei morti per mano dei nazisti, il bilancio dell'internamento civile italiano sembrò apparire come un male minore, anche perché le migliaia di ebrei italiani e stranieri internati nei campi del Sud, non rientrarono nelle zone di occupazione tedesca e del governo della Repubblica sociale italiana e furono salvati. Questo non deve farci dimenticare che il regime fascista praticò fin dal 1938 una politica autonoma antiebraica e che dal 1943 al 1945 il fascismo repubblicano di Salò attuò procedure di arresto e concentramento che portano allo sterminio di oltre ottomila ebrei.    

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Cento anni fa nasce il vero volto del fascismo

Nel 1925 in Italia si smantella lo stato liberale. Con il sostegno dello squadrismo, e con polizia, magistratura e persino Re di parte, Benito Mussolini gode libertà d’azione. Sono le “leggi fascistissime” che caratterizzano il biennio 1925-1926 che dà ampi poteri a Mussolini svuotando il Parlamento di ogni funzione. Sciolti i consigli comunali e provinciali, è creata la figura del Podestà al posto del Sindaco, di nomina governativa, mentre sono estese le attività di controllo del dissenso attraverso Prefetti e Forze dell’ordine.

Nasce l’OVRA, Opera Vigilanza Repressione Antifascista. La censura su quotidiani e mezzi di informazione conosce poi un’ulteriore stretta dopo i falliti attentati a Mussolini. Il cerchio si chiude con l’istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, lo scioglimento di organizzazioni politico-sindacali sospettate di antifascismo, l’istituzione del confino (come i dissidenti mandati a Lipari) per i “colpevoli” di reati politici tra cui molti comunisti, come Antonio Gramsci cui non resta che darsi all’attività clandestina.

Passo finale della fascistizzazione della Nazione è la trasformazione del Gran Consiglio del Fascismo nell’organo supremo dello Stato (dicembre 1928), cioè la trasformazione di una organizzazione partitica a capo del Governo! Una cosa che ha dell’incredibile, ma è accaduto! Le elezioni farsa e plebiscitarie del 1929, in cui è possibile solo approvare o rifiutare la lista nazionale di 409 candidati emanata dal Gran Consiglio e senza nessuna tutela sulla segretezza del voto, diventano strumento di propaganda per l’affermazione della dittatura di Benito Mussolini. Ma torniamo alle leggi fascistissime.

Sono queste che danno potere assoluto ad un Uomo solo al comando, tutto ma proprio tutto sotto il potere di Benito Mussolini. Potere esecutivo e legislativo, leggi costituzionali, apparato statale periferico, consigli comunali e provinciali. E, inoltre, il Prefetto diventa la figura di vigilanza politica più importante e l’occhio dello Stato sul dissenso politico e sociale. Nel novembre ’26 vengono approvati i provvedimenti più duri: istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, scioglimento di tutte le organizzazioni politiche e sindacali considerate antifasciste e reintroduzione della pena di morte! Si, la pena di morte per i “reati” politici!

E l’opposizione che fa? La violenta repressione di fine anni venti rende impraticabile il dissenso legale e costringe le opposizioni a riparare all’estero, mobilitando l’opinione pubblica internazionale, oppure restare in patria e darsi alla lotta clandestina. La maggioranza delle forze politiche democratiche, cioè liberali, repubblicani, socialisti e cattolici sociali, sceglie la prima strada. I comunisti, invece, pur avendo basi d’appoggio nella Russia sovietica, rimangono l’unica organizzazione in Patria dedita alla lotta clandestina.

Questo è stato il Fascismo, quello vero e raccontato in poche righe. E oggi perché alcuni ignoranti da teleschermo usano ancora la parola fascismo per etichettare il Governo attuale? Ignoranza o provocazione sapendo di rivolgersi ad un pubblico che non capisce. Tanto sono convinti di parlare ad Ignoranti Funzionali! E’ così o no? Se non è così cancelliamo la parola fascismo, altrimenti nel prossimo pezzo parlerò di mio trisnonno che non ho mai conosciuto e di cui, non avendolo mai conosciuto, posso dire tutte le cavolate che voglio. Come i provocatori di certe televisioni minori.

Giubileo, un’anno d’amore

Nella Chiesa Cattolica il Giubileo è l'anno della remissione dei peccati e della riconciliazione. La parola Giubileo riprende il nome dal Giubileo Ebraico, e precisamente la parola deriva dall’ebraico Jobel, “caprone”, in riferimento al corno di montone utilizzato nelle cerimonie sacre per richiamare i fedeli. L'anno giubilare è l'anno di Cristo. Il Giubileo è detto anche "Anno Santo", perché si inizia, si svolge e si conclude con solenni Riti Sacri. Il Giubileo ha origine dalla tradizione ebraica che, ogni 50 anni, prevedeva un anno di riposo per la terra, la restituzione delle proprietà e la liberazione degli schiavi.

Nella Chiesa cattolica, il Giubileo, o Anno Santo, è un periodo durante il quale il Papa concede l’indulgenza plenaria ai fedeli che si recano a Roma e compiono particolari pratiche religiose. Il primo Giubileo fu indetto nel 1300 da Papa Bonifacio VIII, con una cadenza iniziale di 100 anni, successivamente ridotta a 50 e infine stabilita ogni 25 anni. Gli Anni Santi ordinari sono stati finora 27, incluso quello appena iniziato. Giubileo è il nome di un anno particolare e, richiamando il nome del “Corno del montone” annuncia, con il suo suono, il Giorno dell’Espiazione. In realtà questa festa ricorre ogni anno, ma assume un significato particolare quando coincide con l’inizio dell’anno giubilare.

Nel passato era proposto come l’occasione nella quale ristabilire il corretto rapporto nei confronti di Dio, tra le persone e con la creazione, e comportava la remissione dei debiti e il riposo della terra donata da Dio. Il Giubileo è un periodo di rinnovamento spirituale, riconciliazione e penitenza per i fedeli, offrendo l'opportunità di ottenere l'indulgenza plenaria attraverso la confessione, la comunione e la preghiera secondo le intenzioni del Papa. È anche un momento di riflessione e speranza, in linea con il tema scelto per il Giubileo del 2025. Il Giubileo del 2025 è iniziato il 24 dicembre 2024 con l’apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro da parte di Papa Francesco e attirerà milioni di pellegrini da tutto il mondo.

Durante l'Anno Santo, il Papa apre le Porte Sante delle quattro principali basiliche di Roma: San Pietro in Vaticano, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le Mura. L'Anno Santo si conclude con la chiusura e la muratura delle Porte Sante fino al successivo Giubileo. Il Giubileo, da poco iniziato, avrà eventi dedicati anche ai più piccoli. Il Santo Padre ha implementato nel programma Giubilare momenti importanti di aiuto ai bambini, agli adolescenti e ai giovani.

Questo è un modo per richiamare l’attenzione su quelle che sono le problematiche dei più piccoli che, prima di altri, hanno necessità di essere formati all’Amore e ai giusti valori umani. Il Giubileo 2025, dedicato alla speranza, deve essere un momento in cui si richiama, anche attraverso le iniziative che il Santo Padre ha messo in campo in maniera forte e chiara, l’attenzione sull’Uomo inteso come espressione di Dio e del creato.

Scuola, genitori e coltello

I ragazzi vanno a scuola col coltello, i fatti si riportano giornalmente. Credete che se lo siano immaginato questo comportamento o lo stanno semplicemente emulando? Hanno visto la televisione spazzatura, quella che fa “audience”, quella vista anche dai genitori su tutte le tevisioni pay-per-view dove invece di cultura è distribuito solo ciò che fa soldi. Cioè spazzatura. Scarichi affettivamente, i giovani cercano assurdo rifugio nella violenza e nella morte, per proteggersi da un mondo che fa loro paura.

La Scuola, assolutamente impreparata, è invocata come alter ego di genitori distratti e stanchi di una vita mai affrontata. Le agenzie educative come televisioni e altri media sono, sovente, più dannosi. Le immagini di violenza non sfuggono agli occhi dei più giovani. Durante i telegiornali, che sono visti da grande e adolescenti, l’immagine di esseri umani che muoiono ammazzati è consueta. Non ci si rende conto del dolore che trasmettono, dei drammi familiari, che quel morto è una persona con la sua storia e i suoi affetti. Le scene di violenza, viste e riviste nei film, nelle fiction e persino nei cartoni animati sembrano non fare impressione ma lasciano una traccia indelebile di abbrutimento.

Nati deboli da famiglie che hanno demandato alle agenzie di socializzazione il loro compito istituzionale di educatrici si sono formati all’ombra della baby sitter e del circolo sportivo. Per di più i giovani, spesso, portano alle spalle un vissuto tormentato da genitori separati e in eterna guerra. Ancora una volta è chiamata a rispondere la famiglia con tutta la sua intrinseca funzione e i genitori e sono la fonte primaria della stabilità dei giovani.

Da loro deve (o dovrebbe) scaturire la maturità affettiva, la tolleranza e la ragionevolezza. Certa politica è interessata a far voti, o a far votare leggi che interessano a piccoli corpuscoli societari come le Lgbt e che, se applicate in pieno non possono che enfatizzare i disastri che ho novellato. Una vergogna per la politica al Governo e per quella che attende, in panchina, per governare. Per governare meglio? Ho seri dubbi. Fin oggi è stato fatto vedere il Mondo secondo il Mito della Caverna di Platone. Un mondo falso, che non c’è e, soprattutto, che non c’era fino a pochi decenni addietro. C’è da sperare che i danni creati da anni di falso benessere non procurino altre vittime.

Pearl Harbor sette dicembre 1941, infamia per l’umanità

Il 7 dicembre 1941 gli Stati Uniti sono vittima di uno dei peggiori disastri militari della storia. La base navale di Pearl Harbor, nelle Hawaii, è attaccata a sorpresa dall’aviazione giapponese. Sono distrutte decine di aerei e imbarcazioni e migliaia di soldati perdono la vita. Il giorno dopo, l’8 dicembre, Franklin Delano Roosevelt Presidente degli Stati Uniti, pronuncia al congresso il celebre discorso in cui riferisce dell’attacco giapponese come una “data che vivrà nell’infamia”, perché lanciato senza previa dichiarazione di guerra.

La sua proposta di dichiarare guerra al Giappone è approvata all’unanimità. Il Giappone mirava all’espansione territoriale come unico mezzo per combattere la crisi economica del paese mentre gli Stati Uniti limitavano gli scambi commerciali e, soprattutto, energetici. Ciò spinse il governo nipponico a “inventare” un piano per creare un impero nel sud-est asiatico che gli avrebbe assicurato le risorse naturali di cui aveva bisogno. Per impedire la reazione degli Stati Uniti l’ammiraglio Isoroku Yamamoto, comandante della Marina giapponese, appronta un’operazione tanto rischiosa quanto disumana.

A sorpresa 350 aerei attaccano la flotta statunitense del Pacifico, di stanza a Pearl Harbor. Alle ore 7,53 del 7 dicembre 1941 parte l'attacco aereo nipponico contro le unità militari statunitensi di stanza a Pearl Harbor, nelle Hawaii. Un paio di ore di bombardamento bastano per creare l’inferno e colorare di rosso il mare delle Hawaii. Un attacco inaspettato mentre la dichiarazione di guerra giunge alla Segreteria di Stato americana solo ad attacco iniziato. Il Giappone, già alleato delle forze dell’Asse Nazi-Tedesco, contando sull'iniziale superiorità, estende il proprio dominio sul Sud-est asiatico e sulle sue preziose materie prime fino alla primavera del 1942 quando gli USA, recuperato lo sbandamento morale e materiale, reagiscono cruentemente con le battaglie di Midway (4 giugno 1942) e di Guadalcanal (12 novembre 1942).

Tuttavia, l’asprezza della resistenza giapponese, che ricorre anche al gesto estremo dei kamikaze che sacrificano la loro vita buttandosi in picchiata contro l’obiettivo, e la necessità di lanciare un segnale su scala planetaria a tutte le potenze belligeranti europee e d’oltre oceano, conduce gli Stati Uniti alla scelta di bombardare Hiroshima e Nagasaki con la bomba atomica rispettivamente il 6 e il 9 agosto 1945. Le atomiche convincono il Giappone a chiedere la resa il 2 settembre 1945, mentre la riorganizzazione degli assetti geopolitici mondiali viene definita nella conferenza di Yalta da Churchill, Roosevelt e Stalin tra il 4 e l’11 febbraio del 1945. Ma al di là del racconto storico, quanto accaduto ottant’anni fa non ha insegnato nulla all’Umanità che rimane cieca e sorda. Dopo ottant’anni i telegiornali risuonano di parole come invasione, espansione, occupazione, distruzione.

E, ovviamente, morti, morti contati in maniera sommaria e in seconda battuta dopo aver mostrato le distruzioni materiali e territoriali. E, immancabilmente, non manca la minaccia nucleare come se questa potesse “finalmente” risolvere la follia omicida fra i popoli. Ancora oggi una vergogna per l’Umanità, un’infamia oggi come allora, per chi programma e comanda la morte del Genere Umano.
*Già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

“So di non sapere”: una frase per pochi eletti

Saggio è colui che sa di non sapere. Per Socrate solo chi vive nel dubbio può dire di sapere. Dubbio perenne, in attesa di comprendere e cioè di sapere. Non esistono verità assolute e credo che nessuno possieda verità assolute, salvo la gente politicante di sinistra che si ritiene depositaria della saggezza, del sapere e del “sapere unico”. La sinistra, nostrana, europea e mondiale, si è appropriata di un modo singolare di concepire le cose, in maniera univoca. Il cosiddetto “Pensiero Unico”, unico perché concetto più stupido non c’è e, quindi, è unico. Unico e frutto del non sapere.

Se non la pensi come me non sei nel giusto, anzi sei Fascista. Dare del fascista sta sempre bene. “Non sono d'accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”. Tale citazione, presente anche in altre formulazioni, è solitamente attribuita allo scrittore Voltaire, ma è stata usata per la prima volta da Evelyn Hall, biografa e saggista britannica. E’ la definizione per eccellenza della tolleranza. E a proposito di fascista c’è stato chi ha professato veramente il pensiero unico, ma è morto ottant’anni fà ed è proprio quello che i sinistri combattono anche da morto, ed è Benito Mussolini.

Chi ha letto qualcosa di quel periodo buio, e dominato da un folle e ignorante dittatore, ricorderà che non si poteva pensare diversamente dal “Testone”. Guai a farlo, altrimenti l’OVRA, l’Opera Vigilanza Repressione Antifascismo, ti portava dritto in carcere. E oggi che avviene? Beh, in carcere non vai ma sei escluso dai programmi televisivi che non la pensano allo stesso modo e sei attaccato brutalmente dagli avversari. Come nel ventennio fascista, o quasi. E’ proprio quest’atteggiamento, tra altri, che ha ispirato il Generale Vannacci a scrivere Il Mondo al Contrario, quel libro che tanti hanno attaccato come blasfemo ma che novella ed espone cose assolutamente ovvie e condivisibili.

Ma negare il pensiero unico e “attaccarsi” alla logica è vietato. Chi non sa presume di sapere e insiste nella sua ignoranza. Se ti permetti di esprimere il logo “Dio, Patria e Famiglia” sei un fascista irrecuperabile, e non importa che il motto sia di Mazzini, e persino De Gasperi ha posizionato la sua vita di statista all’interno del triangolo virtuoso Dio, Patria e Famiglia. Ma per la sinistra nostrana questa triade di parole è pericolosa per il pensiero unico, il pensiero di sinistra. In definitiva sei fascista sempre ed in ogni caso, a meno di essere dichiaratamente di sinistra. Di quale sinistra è poi tutto da capire.

Anche il termine “nazionalista” è sinonimo di fascista, anche se non sarebbe proprio la stessa cosa. E ciò che ne scaturisce è odio, ideologia, stupidità e ipocrisia. Un mix infernale. Il patriottismo è visto come sinonimo di fascismo, così come studiare la Storia Romana o le origini della Società organizzata. Io non me la prendo, ragiono con la mia testa e credo che essere criticato da tante teste diverse significa essere nel giusto.

*Già docente di Fisica Università di Messina

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