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di Enrico Cuccodoro

LA “FRATTURA” DELLA AUTONOMIA DIFFERENZIATA Dopo l’appello dei Costituzionalisti sulle gravi distorsioni della Legge 86/2024 “ddl Calderoli”  Dal “caos” dell’art. 116, 3 comma Cost., si innesta la Calderoli... con sue criticità. L’art. 116 Cost. è stato introdotto nel testo della nostra Carta fondamentale dalla l.c. n. 3 del 18 ottobre 2001; esso prevede che «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principî di cui all'articolo 119.

La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata». Si tratta, cioè, di ammettere un passaggio alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni derogatorio dell’ordinario riparto previsto dall’art. 117 Cost., in quanto essa verrebbe ad attrarre tutte le materie a competenza concorrente, nonché alcune materie normalmente a competenza statale (“organizzazione della giustizia di pace”, “norme generali sull’istruzione”, “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”); il tutto da sottoporre al vaglio del Parlamento mediante un procedimento legislativo rinforzato.

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Nella metà di novembre 2022 è cominciata a circolare una prima bozza della proposta di legge di attuazione dei procedimenti di autonomia differenziata ex art. 116, c. 3 Cost. Successivamente, il 2 febbraio 2023 il Consiglio dei Ministri ha licenziato il disegno di legge in materia, incardinato il successivo 23 marzo presso il Senato della Repubblica per l’esame. Definitivamente approvato dalle Camere, il ddl sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario è legge ordinaria, non costituzionale, che appunto si propone di attuare il Titolo V della Costituzione (G. Uff. n. 150/2024; legge 86/2024 in vigore dal 13 luglio 2024). Il “ddl Calderoli” si compone di undici articoli e definisce le procedure legislative e amministrative per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. In particolare, qualifica le procedure per le intese tra lo Stato e quelle Regioni che chiedono l’autonomia differenziata. Le materie sono ventitré, compresa la salute. Ma ci sono anche istruzione, ambiente, energia, sport, trasporti, commercio estero, cultura. Quattordici tra esse, definiti diritti civili e sociali, sono materie per le quali occorre rispettare i Lep, Livelli essenziali delle prestazioni. Infatti, la concessione di una o più “forme di autonomia”, per le materie che implicano prestazioni sociali ai cittadini, come lo è la sanità, è subordinata alla determinazione dei Lep, Livelli essenziali delle prestazioni, una sorta di “livello minimo garantito” su tutto il territorio. Il Governo entro 24
mesi dall’entrata in vigore del ddl dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep, e ciò rischia di erodere e assai pregiudicare, in pratica, i termini della centralità del Parlamento! L’articolo 4, modificato al Senato (da un emendamento di FdI), stabilisce che l’autonomia alla Regione che la chiede sarà concessa solo successivamente alla determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse rese disponibili per i Lep in legge di bilancio. Stato e Regioni, una volta avviati i negoziati, avranno tempo 5 mesi per arrivare a un accordo che dovrà passare sia in Consiglio dei Ministri, sia in Conferenza Stato-Regioni e in Parlamento. Le intese potranno durare fino a dieci anni e poi essere rinnovate. Oppure potranno terminare prima con un preavviso di almeno dodici mesi. L’undicesimo articolo prevede la clausola di salvaguardia che consente al Governo di usare il “potere sostitutivo”: esso può sostituirsi agli Enti qualora si dovesse riscontrare inadempienza sulle materie per le quali si è ottenuta l'autonomia.  Eventualità referendum... (ed incognite?)
Alcune Regioni hanno approvato, o si accingono ad approvare, delibere ad hoc che prevedono l’affiancamento – al quesito totalmente abrogativo dell’autonomia differenziata – di un quesito soltanto parzialmente abrogativo, che inciderebbe minimamente sul testo della legge 86/2024 (ne lascerebbe inalterato il 98% in termini quantitativi, ma soprattutto lasciando sostanzialmente invariata e dunque praticabile la legge sull’Autonomia differenziata). Perché le Regioni stanno optando per questo secondo quesito? L’operazione sarebbe finalizzata a individuare una strategia d’uscita, qualora il quesito del tutto abrogativo risultasse dichiarato inammissibile. Ovviamente, allo stato, è impossibile prevedere o meno se il quesito supererà lo scrutinio di ammissibilità della Corte costituzionale, secondo i parametri definiti da consolidata giurisprudenza costituzionale in materia e da parte di un collegio giudicante che sarà virtualmente mutato, con nuovi giudici in carica indicati dal Parlamento nei mesi a venire…
 Cenno alle insularità... e in particolare giusti motivi specie per la Sardegna (Regione ad autonomia speciale) di ricorrere alla Corte... Le isole e soprattutto l’insularità, quale condizione di vita degli abitanti delle isole, vero e proprio fattore identitario, sono (anche) oggetto di qualificazione giuridica, specialmente costituzionale: non solo il territorio in quanto tale, e la sua declinazione politico-amministrativa, ma è proprio la condizione speciale degli isolani, che si trovano soggettivamente e oggettivamente in una condizione di svantaggio e pregiudizio, che si traduce in una serie di ostacoli materiali, che impattano negativamente con il principio di eguaglianza, e non solo. Così, il tema dell’insularità è profilo d’interesse nazionale:
 la vecchia norma costituzionale dell’art. 119, poi soppressa a seguito della riforma del Titolo V, già prevedeva “la valorizzazione delle isole e del Mezzogiorno”;  il vigente art. 119 Cost. parla di isole, come territorio morfologicamente perimetrato, e di insularità, come condizione di vita identitaria di coloro che vivono nelle isole. Poi, prevede l’impegno della Repubblica a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità. In quanto norma costituzionale diventa parametro di legittimità costituzionale delle leggi. Pertanto, se una legge non tiene conto del fattore insulare potrà essere impugnata davanti alla Corte costituzionale, che potrà dichiararne la incostituzionalità; così come la riconosciuta e tutelata Autonomia speciale non può essere deteriorata da leggi ordinarie: il più comprende sempre il meno! Possono venire, di conseguenza, menomate o compromesse prerogative costituzionali, scompaginate dalla “legge Calderoli” negli enunciati e condizioni di specialità, rispetto alle virtuali forme di differenziazione: evidenti i disequilibri fra regioni favorite e regioni sfavorite, soprattutto del Sud del Paese. Qualcuno ha parlato di un vero e proprio “diritto costituzionale all’insularità” (T.E. Frosini), che esprime al massimo l’impegno a favore delle isole e dell’insularità. È una puntuale declinazione del diritto all’eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost. Infatti, coloro che abitano nelle isole non devono subire trattamenti diseguali rispetto agli altri cittadini italiani, che vivono nella penisola. Anche nel caso della insularità viene adoperata la formulazione simile nella letteralità e nel contenuto – “La Repubblica […] promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dalla insularità” –, concependola, pertanto, quale declinazione applicativa del principio di eguaglianza. Ciò comporta che è fatto obbligo al legislatore di dare attuazione a quanto previsto all’art. 119 co. 6, Cost., attraverso l’approvazione di norme promozionali che rimuovano gli svantaggi derivanti dalla condizione di insularità. Allo stesso compito è dedicato il legislatore regionale, laddove il suo territorio è un’isola (Sardegna e Sicilia), ovvero comprende delle isole (Toscana, Puglia, Lazio, Campania).  Chiusa finale sul “quadro” delle Territorialità nostro Regionalismo con: Regioni a statuto speciale..., Regioni di diritto comune, Province autonome di Trento e Bolzano, Città metropolitane... Province, Comuni... Unioni comunali, Aree vaste, distretti... macro regioni..., ecc.
L’assetto che va prospettandosi nell’ottica dell’autonomia differenziata della nostra Repubblica necessita di ponderato bilanciamento tra istanze regionali, governo centrale e unità della Nazione, già impostata dalla Costituzione del 1948. La fotografia dell’attuazione regionale, con le sofferte revisioni che il Titolo V della Costituzione, ha conosciuto nei decenni repubblicani una visione del tutto particolare delle trasformazioni dell’assetto “strutturale” della forma di Stato. Sono note, infatti, le pagine difficili del dualismo della storia e tradizione italiana, in un
complesso distacco e squilibrio Nord ricco-Sud povero e nella radice di una governabilità territoriale innervata dal diffuso policentrismo della rete di oltre ottomila Comuni, Città Metropolitane, Unioni dei Comuni, Province, ecc. Non a caso, le strutture istituzionali nazionali sono sovente interessate ai fermenti del dinamismo dei territori, insieme a originali responsabilizzazioni delle comunità locali, con forme di autodeterminazione popolare e “sussidiarietà” nell’ambito della partecipazione articolata verso nuovi equilibri solidali delle autonomie periferiche, ove si pensi qui alle “forme di prossimità” per l’esercizio davvero adeguato del diritto alla salute e anche alla “salvaguardia ambientale” verso impattanti insediamenti “energivori territoriali” e “offshore al largo delle coste”.
Le precedenti riforme hanno fatto, dunque, parlare di federalismo “atipico” nel senso che la scelta non ha avuto origine dalla volontà di popolo, ma piuttosto è avvenuta per molteplice valenza, contingenza, e soprattutto, convenienza politica; sicché, si è detto di fermento per uno stato di segnalata eccezione, non oltre più replicabile! Non solo. Questo figurino dei territori è ancora più complesso e “segmentato”, in quanto poggia almeno su vari livelli di potere: Stato, Regioni ed Enti locali; ciascuno di essi dotato di notevoli compiti, funzioni e competenze, non sempre definite e raccordate in sinergia fra loro. Un problema evidente e strategico resta quello della disponibilità delle risorse: i vari livelli (multilevel governance) dovrebbero (pur sempre) contare su risorse finanziarie proprie, di entrata e di spesa, come afferma la novellata Costituzione. Di conseguenza, è necessario che l’autonomia finanziaria sia accompagnata anche da un’effettiva autonomia tributaria operante ai vari livelli (si pensi alla legge 42/2009 in tema di c.d. federalismo fiscale). Deve, cioè, essere possibile sia a livello regionale, e sia a livello comunale poter ricavare dal proprio territorio il gettito idoneo a impiegare al meglio le risorse necessarie da parte di ciascun ente sia in modo individuale, sia in associazione con altri enti. È il caso del sistema modulare delle aree vaste e delle unioni comunali o distrettuali, portatrici di interessi comuni, forme organizzate su base volontaria, così da poter essere rapidamente aggregate e disaggregate, a seconda dei progetti e dei vantaggi sul campo dei bisogni sociali ed economici, via via attuali.
Quel che sia, dinnanzi a nuove ed altre intenzioni di riforma su questi temi (o affini, o correlati), occorre pur sempre valutare ogni minima lesione, anche solo potenziale, della solidarietà sociale (art. 119, co. 5, Cost.), coesione territoriale e leale cooperazione. Essi, valori primari per il dettato ex artt. 5 e 114 della Carta, ci impegnano a renderci, tutti, cittadini responsabili, costruttori della rinascita effettiva della Repubblica.

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