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di Giuseppe Pracanica

Nel 1979 incontrai Piersanti Mattarella due volte la prima, ad agosto, al Prater di Vienna e poi a dicembre alla Direzione Regionale della DC. Sul prato del Prater ero in attesa, con mia moglie ed i bambini, del nostro turno sotto la Ruota, quando vedemmo un uomo fare le corna verso un altro vagoncino. Io dissi a mia moglie “quello è siciliano!”. Quale fu la nostra sorpresa quando vedemmo scendere Piersanti con sua moglie ed i figli ed una famiglia amica. Mia moglie che non ama apparire, mi impedì di avvicinarmi per salutare.

In Sicilia, nell’autunno del 1977 il governo Bonfiglio entrò irrimediabilmente in crisi per la pressione congiunta di Pci e Psi che chiedevano il superamento della contraddizione esistente tra “maggioranza programmatica”( anche con il PCI e il PLI) e “maggioranza di governo” (DC, PSI, PSDI e PRI), e questo nonostante l’elezione del comunista Pancrazio De Pasquale a presidente dell’ARS, avvenuta il 21 giugno del 1976. I due partiti di sinistra avevano ben presente quello che stava avvenendo a Roma, e cioè il progressivo avvicinamento della Dc al Pci che, secondo l’orientamento di Moro, in accordo con Andreotti, il cui governo aveva goduto dell’astensione dei comunisti, avrebbe dovuto portare all’apertura della stagione che si sarebbe detta di “solidarietà nazionale”. La questione, naturalmente, investì in primo luogo la Dc nella quale si acuì il contrasto tra chi sosteneva l’inserimento del Pci nella maggioranza di governo (“Forze Nuove” di Rosario Nicoletti insieme agli andreottiani di Lima ed ai morotei di Mattarella) e gli oppositori, i fanfaniani di Gioia ed i dorotei di Gullotti.

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Come ha scritto Franco Nicastro gli andreottiani, e Lima in particolare, non erano gli alleati migliori che un “democristiano diverso” come Mattarella potesse desiderare. “Ma non essendoci alternative“, come è stato scritto, “era necessario che Mattarella si assumesse i maggiori oneri e rischi”. Ironia della sorte, la proposta di designare Piersanti Mattarella Presidente della Regione fu avanzata nel Salone dell’Hotel Zagarella, quello dei cugini Salvo, dove abitualmente si riuniva il Comitato regionale della Democrazia Cristiana. Erano presenti tutti i 73 componenti dell’organo, e dopo la proposta, avanzata dal segretario regionale on. Rosario Nicoletti, si aprì un infuocato dibattito. I numeri erano ballerini per cui Gioia e Gullotti, per verificare la compattezza dei propri gruppi, prima della votazione, li fecero uscire dal salone. Io, che ero l’unico rappresentante della Sinistra di Base rimasi, ma poco convinto che si potesse portare avanti un serio progetto di “rinnovamento”, con gli andreottiani votai contro. ( con molto humour, su L’Ora, Pancrazio De Pasquale commentò “La banda è uscita, il basista è rimasto”). Alla fine la proposta fu approvata con 37 voti a favore ed uno contro, il mio. Gioia e Gullotti erano riusciti a far uscire solo 35 componenti dell’organo, quindi la maggioranza era rimasta, anche senza di me. Il 9 febbraio del 1978 fu il giorno più importante per la carriera politica di Piersanti Mattarella, che dopo aver recuperato i dorotei di Gullotti, ma non i fanfaniani, raccolse all’ARS 73 voti su 90 e giunse dopo un’estenuante crisi di governo, durata quarantotto giorni, a risolverla.

La lunga gestazione, finalmente sembrò produrre l’esito sperato per Mattarella che si riprometteva un deciso salto di qualità della politica in Sicilia. Il momento era drammatico, il terrorismo stava alzando il tiro: poco più di un mese dopo, il 16 marzo 1978, i brigatisti rossi avrebbero rapito Aldo Moro, il “maestro” di Mattarella. Anche in Sicilia, nel 1979, la situazione andava peggiorando, ma questa volta la colpa non era dei brigatisti bensì della mafia. Il 26 gennaio veniva ucciso Mario Francese, cronista del Giornale di Sicilia, il 9 marzo Michele Reina, segretario provinciale della D.C. di Palermo, il 21 luglio il capo della squadra mobile Boris Giuliano, il 25 settembre il giudice Cesare Terranova ed il suo autista. Nicoletti, letteralmente terrorizzato, convocò, in via Emerico Amari, la direzione regionale D.C., per il 27, 28 e 29 dicembre e si presentò alla riunione con la pistola. Faceva parte della direzione anche un giovanissimo Totò Cuffaro, come rappresentante del Movimento giovanile e vicinissimo a Calogero Mannino Quando Mattarella se ne accorse gli disse “Se hanno deciso di ammazzarti, non c’è pistola che tenga”. Otto giorni dopo, il 6 gennaio 1980, la mafia (fu una decisione autonoma o venne condivisa anche da altri soggetti interessati ad eliminare Mattarella?) lo avrebbe fatto ammazzare, anche se, a tutt’oggi, non si è riusciti a sapere da chi! Tolto di mezzo Mattarella alla Regione tutto ritornò come prima, anzi, peggio di prima. A novembre del 1982, durante l’ennesima crisi del governo regionale, a Nicoletti venne l’idea di organizzare un convegno sulla mafia.

La Sinistra di Base siciliana, di cui facevo parte, riunita a Catania, alla presenza di Giovanni Galloni, allora direttore del quotidiano della DC, Il Popolo, lo definì, in un documento che inviò alla stampa, “un’occasione mancata” perché non si aveva avuto il coraggio di denunciare “a chiare linee su quale humus la mafia trova il proprio sostentamento e i propri successi economici e sociali”. Si comunicava anche che la corrente avrebbe organizzato un convegno per sollecitare un dibattito tra quanti “intendono partecipare alla determinazione di un nuovo modo i gestire la politica regionale e di essere autenticamente democratici cristiani.” A Catania era stato detto anche di più. Lo stesso Galloni, in una intervista radiofonica, era stato esplicito “Bisogna allontanare dal partito quelle persone che non sono più accettate dall’opinione pubblica facendo spazio ai giovani. Bisogna passare dalle parole ai fatti.” Nicoletti appena lesse il documento si dimise da segretario regionale. Decisione che mantenne nonostante la solidarietà prontamente ricevuta dal Segretario nazionale De Mita ed anche dopo le precisazioni di uno degli estensori del documento, il deputato Alberto Alessi, che dichiarò “Si tratta di posizioni più volte espresse dalla nostra corrente. I documenti vanno letti con serenità. Nessun problema personale.” Anche l’estensore dell’articolo, da cui sono tratte le frasi virgolettate sopra riportate, Felice Cavallaro, Giornale di Sicilia del 4 dicembre 1982, era convinto che i destinatari del documento fossero altri, e di alcuni ne fece anche i nomi, Vito Ciancimino, responsabile Enti Locali della DC palermitana ed Ernesto Di Fresco, presidente della provincia di Palermo, arrestato per un appalto truccato, ed immediatamente sospeso dal partito dallo stesso De Mita. (Felice Cavallaro è venuto a Messina domenica 19 giugno, nella chiesa di Santa Maria Alemanna per presentare il libro-biografia, Francesca, che ha voluto dedicare a Francesca Morvillo).

Quindi le motivazioni delle dimissioni di Nicoletti apparvero, da subito, per nulla convincenti, per cui, forse, andavano ricercate altrove. Comunque oggi non interessano più nessuno perché la vicenda, per Nicoletti, si concluse tragicamente qualche anno dopo, infatti “Si suicidò improvvisamente il 17 novembre del 1984 lanciandosi dal quarto piano della sua casa di via Lincoln: un gesto che resta nel mistero.” Come scrisse la stampa. L’avv. Antonella Russo, combattente di molte battaglie e che stimo moltissimo, anche per amicizie comuni, l’estremismo della sua segretaria nazionale, l’ha pagata sulla sua pelle. Non per niente, la sullodata segretaria, nota per il suo estremismo, viene chiamata familiarmente La cuginetta di Pol Pot

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