di Lino Natoli
I mille e più tavolini che si susseguono lungo il corso di Lipari accompagnano il visitatore che attratto dall’odore di fritto ripercorre il basolato che fu abitudine di Aristippo da Cirene, allievo di Socrate, compagno di Platone alla corte siracusana di Dioniso, fondatore della scuola cirenaica, precursore di Epicuro. Ma anche di Senofane di Colofone, eleata, grande viaggiatore, frequentatore di Pitagora, che certamente si sarebbe posto la questione di come dato uno spazio pubblico dall’estensione certa si possa installare un numero incerto di tavoli, cartelloni, bigiotterie, bagneruole da bucato, ombrelloni, carretti di gelati, cannoli espressi. Il percorso della vita - era noto già allora - è fitto di intralci.
Bisogna sapersi districare tra sedie e tavoli, elevarsi come l’anima si eleva seguendo la traccia che la frittura indica finché non trova l’auspicato ristoro. Il susseguirsi di questo pubblico cenacolo non li avrebbe lasciati indifferenti, così come non può lasciare indifferente il visitatore contemporaneo che d’improvviso si ritrova nel centro di una delle più antiche città della Magna Grecia dove tutti insieme consumano il loro pasto all’aperto, dove è d’uso esporre le proprie mercanzie per strada, indipendentemente dal tipo di mercanzia offerta. Per la verità c’è ancora qualche eccezione, ma è solo questione di tempo, sparirà come è già sparita alla vista, coperta da chi ha fatto del suolo pubblico un suolo privato.
Detto questo, che qualcuno di certo troverà ameno, bisogna proporre una soluzione che riporti alla decenza, la strada alla strada, il marciapiedi al marciapiedi. Non sarà certo la minaccia della sanzione a contenere il moltiplicarsi di tavoli ed espositori vari ma una ben più grave e definitiva: abolire l’isola pedonale, tornare ai primi anni ottanta quando il corso era ancora percorribile dalle auto giorno e notte. Non si poteva passeggiare a piedi? Nemmeno oggi. C’era puzza di idrocarburi bruciati nell’aria? Anche oggi. La strada era rumorosa? Meno di oggi. Ecco, sarebbe come un ritorno alla normalità, le auto per strada, i pedoni sui marciapiedi, i tavoli dove c’è spazio, le mercanzie dentro i negozi. Vabbè è un’utopia, come quella di Platone che pretendeva di costruire il suo stato ideale a Siracusa e per poco non ci lasciava le penne, come un qualsiasi pollo allo spiedo. Già se ne sente l’odore.
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