Nella splendida cornice dei paesaggi eoliani esistono diversi insediamenti preistorici, risalenti al Neolitico e all’età del Bronzo, che offrono al visitatore un’esperienza unica. Una memoria insieme antichissima e viva, che per essere recuperata necessita solo di occhi aperti e orecchie attente. La spiaggia di Filicudi, l’incantevole Punta Milazzese a Panarea, le pendici del vulcano a Stromboli.
Alcuni dei luoghi in cui è ancora possibile cogliere, nell’instancabile mormorio del mare, le luci, i colori, le voci, le esistenze di un’era lontana e calpestare gli stessi sentieri che altri uomini, prima di noi, hanno percorso per millenni. Per raccontare l’importanza e il fascino di questi siti, abbiamo chiesto la collaborazione di Maria Clara Martinelli, archeologa del museo Bernabò Brea di Lipari.
D: dopo la bellissima chiacchierata sul museo di Lipari, ci incontriamo di nuovo per parlare degli insediamenti più antichi di queste isole. Della memoria quindi, più antica e affascinante di questo arcipelago. Immagino che una simile concentrazione di resti e villaggi, in un territorio così piccolo, sia una rarità.
R: infatti le isole Eolie, negli studi archeologici, sono ormai un punto di riferimento, non solo per il numero e la successione cronologica degli insediamenti, ma anche l’ottimo stato di conservazione dei tantissimi reperti.
D: necessario orientamento per chi ci legge. Neolitico ed Età del Bronzo. Di quanti millenni fa stiamo parlando?
R: Le isole vengono abitate stabilmente nella metà del sesto millennio a.C. quindi circa 7500 anni fa. Arriva un piccolo gruppo di persone, probabilmente dalla Sicilia, che fonda i due insediamenti più antichi che si conoscano, a Lipari e Salina. Quello di Lipari, nella piana agricola di Castellaro e l’altro a Salina, nella zona di Leni. Oltre a motivi ovvi, ma generici, come la ricerca di acqua e terre coltivabili, questo arrivo è dovuto principalmente alla presenza dell’ossidiana. Un materiale vulcanico che si trova solo in poche isole nel Mediterraneo,
D: Parliamo un po’ di questa ossidiana. Il “vetro di drago” del Trono di Spade. La “pietra etiope” che Plinio chiamava obsiana, Pietra di Obsius, dal nome del presunto scopritore. Quanto era importante questo materiale, per la tecnica e l’economia del tempo?
R: è una roccia vulcanica composta di silice, vetrosa e molto tagliente, con cui si facevano strumenti di uso quotidiano. Per questo, durante il Neolitico, era molto apprezzato. Il fatto che fosse reperibile solo in alcune località, tutte isole vulcaniche, determina i primi scambi tra comunità. Attenzione, non è ancora un vero e proprio commercio, ma abbiamo prove di contatti tra località anche molto lontane tra loro. L’ossidiana di Lipari la ritroviamo in Francia, nell’Italia settentrionale… Posti che non erano proprio dietro l’angolo, per l’epoca.
D: una curiosità che forse non sai. La chirurgia moderna ha in qualche modo riscoperto l’ossidiana. Si è visto al microscopio elettronico che le lame di ossidiana non rilasciano particolato metallico e consentono incisioni più precise, rispetto ai moderni bisturi in acciaio.
R: Non lo sapevo. Bellissimo! Non a caso, la lavorazione dell’ossidiana era rivolta principalmente alla produzione di lame molto sottili. Si pensa fosse utilizzata per tagliare la barba, conciare le pelli, proprio per sfruttarne le proprietà taglienti.
D: tagliava bene anche i nemici immagino…
R: Può darsi. C’è da dire però che da queste parti abbiamo ritrovato principalmente utensili. Il Neolitico non era il mondo tranquillo che si potrebbe immaginare, ma armi non ne abbiamo mai trovate.
D: È forse un po’ ironico, ma al tempo stesso bellissimo, che gli artigiani della Lipari moderna abbiano riscoperto l’ossidiana per l’oreficeria. Possiamo immaginare gli archeologi, tra migliaia di anni, che troveranno i resti dei loro laboratori e parleranno di ripresa del commercio di ossidiana, alle Eolie.
R: in verità è difficile trasformare l’ossidiana in collane o perle, perché si rompe facilmente. Si può creare una specie di pasta vitrea. Oppure, come fanno qui a Lipari, incastonare dei pezzi all’interno di altri materiali. Con risultati spesso pregevoli.
D: Una mia ignoranza. Ritenevo che i luoghi di produzione e commercio dell’ossidiana fossero vicino al mare, mentre quello di Castellaro si trova abbastanza all’interno. Come mai?
R: perché era più facile raggiungere le zone dove c’era l’ossidiana. La Lipari che vediamo oggi è molto diversa da quella del Neolitico. Tutta la parte nord è frutto di eruzioni molto recenti, di epoca medievale. Quello che c’era prima è stato completamente sommerso da queste eruzioni. Dalla zona di Castellaro, durante il Neolitico, mediante percorsi interni potevano raggiungere facilmente la colata lavica più antica. Stessa cosa per l’insediamento di Salina, che come Castellaro offriva terre coltivabili e da cui era abbastanza facile arrivare a Lipari via mare, per raccogliere l’ossidiana.
D: C’è qualcosa di peculiare, negli insediamenti eoliani, rispetto ai coevi villaggi siciliani e del Mediterraneo?
R: nel Neolitico no. Nell’età del Bronzo invece c’era un sistema di villaggi, costruiti in zone molto arroccate, tra il 1500 e il 1300 a.C. che sono veramente unici. Il villaggio di Capo Graziano a Filicudi, di Punta Milazzese a Panarea, quello di Salina e l’acropoli di Lipari.
D: adesso straparliamo tanto di globalizzazione, ma tanto per fare un esempio, perché ci sia un Età del bronzo, a Lipari, da qualche parte deve arrivare lo stagno, che qui non c’è. Una rete di relazioni e commerci tutt’altro che primitiva, insomma.
R: in quell’epoca il vero centro del commercio dei metalli era l’Egeo, la civiltà micenea. Le ricche aristocrazie di Micene, Pilo, Cnosso si spingevano verso il centro del Mediterraneo, alla ricerca di metalli e materiali preziosi. Le Eolie, situate subito all’uscita dallo Stretto di Messina, erano una tappa comoda lungo queste rotte. Un approdo sicuro in cui riparare in caso di tempesta, rifornirsi e scambiare merce.
D: Una caratteristica di questi insediamenti è la grande quantità di ritrovamenti. Potrebbe sembrare strano che civiltà apparentemente povere, se paragonate alla nostra, destinassero così tanti oggetti e quindi tempo ed energia, a usi rituali o sepolcrali.
R: questa in realtà è una falsa supposizione. Il concetto di ricchezza e accumulo di risorse nasce proprio durante il Neolitico e si sviluppa nella successiva Età del Bronzo. Quando la cultura diventa stanziale, con l’agricoltura. Si inizia conservando il cibo, per i periodi in cui non si può coltivare.
D: il capitalismo l’hanno inventato loro, insomma. Il Tycoon era quello che possedeva più conchiglie.
R: esattamente. L’accumulo delle risorse determina il potere. Anche se il mondo antico era molto ben strutturato. Non conchiglie, ma un’organizzazione sociale di tipo piramidale. Poi, a un certo punto, per diversi motivi, il sistema di potere che è alla base di questa organizzazione crolla. Potremmo considerarlo come un monito, per il nostro tempo.
D: un’altra importante caratteristica è che, nella media età del bronzo, i villaggi si spostano in posizioni disagevoli, ma facilmente difendibili. Che cosa succede, di tanto terribile, da costringere a questo spostamento?
R: Inizialmente sorgono in pianura, poi si spostano in luoghi davvero aspri. Penso al villaggio di Portella, a Salina, su una cresta vulcanica. Per uscire e comunicare tra una capanna e l’altra rischiavi di scivolare e morire. Il motivo di questo è sempre l’esercizio del potere. Gli abitanti della media età del Bronzo scelgono luoghi impervi per difendersi da attacchi, il più delle volte, provocati da loro stessi. Perché la pirateria, nel basso Tirreno, in quell’epoca era un mestiere molto diffuso.
D: gli insediamenti di Filicudi, alla cui conoscenza tu hai molto contribuito, sono di tale importanza, da aver dato nome alla cultura di Capo Graziano.
R: Filicudi è un luogo meraviglioso. Un luogo in cui la natura e il paesaggio, la stessa vegetazione, sono perfettamente conservati. Ci sono ben due insediamenti. Uno, il più antico, sulla spiaggia, composto da vere e proprie fattorie. Il secondo, sulla montagnola di Capo Graziano, più tardo, ci riporta al discorso precedente sui luoghi impervi e difendibili. Per arrivarci c’è un percorso in salita di una ventina di minuti, ma tutto sommato agevole e alla portata di tutti. Dalla cima si può apprezzare, oltre a un panorama unico, l’importanza di quel luogo, da cui si domina tutta la baia.
D: a Lipari invece, oltre a quello di Castellaro, c’erano insediamenti in contrada Diana e nell’area dell’attuale Castello.
R: la pianura di contrada Diana è un tesoro archeologico. C’è il villaggio del neolitico che dà proprio il nome a una cultura ben precisa. Poi l’insediamento dell’età del bronzo e infine la necropoli greca e romana. Il villaggio dell’età del bronzo si sposta in seguito sull’acropoli del Castello.
D: c’era un altro insediamento a Salina.
R: A Salina ci sono insediamenti sia del neolitico che dell’età del bronzo. È visitabile quello di Portella, in cui è possibile risalire l’intera cresta. Un’esperienza incredibile. C’erano diverse capanne, che componevano un’unica abitazione con vari ambienti. Un complesso sistema di canalette e grandi giare per la conservazione dell’acqua. Una delle quali, enorme, era completamente interrata.
D: magari, ci mettevano anche l’anguria dentro, per tenerla al fresco.
R: chissà! Perché no? Peccato che non era ancora conosciuta…
D: altro insediamento importante a Panarea. Punta Milazzese.
R: Punta Milazzese è un posto suggestivo. Una penisola a forma di falce, che purtroppo ha subito vaste erosioni e quindi si è conservata solo la parte più vicina al resto dell’isola. Pur essendo un’isola molto turistica, quel luogo non è abitato e conserva una dimensione davvero magica.
D: e a Stromboli
R: l’insediamento di San Vincenzo, scoperto nel 1989. Un villaggio dell’età del bronzo, che ha rapporti principalmente con la Calabria. Sua peculiarità, è scavato nella cenere vulcanica. Quindi presenta dei grandi terrazzamenti a pietroni.
D: a un certo punto, tutti questi insediamenti vengono distrutti e abbandonati. È arrivato il leggendario re Liparo, che dà nome all’isola che ci ospita.
R: è Diodoro Siculo a raccontarci di questo Liparo che avrebbe fondato l’isola. L’archeologia ha dato una spiegazione a questa fonte. Intorno al 1300 a.C. tutti i villaggi dell’arcipelago vengono abbandonati e l’unica zona abitata rimane quella dell’Acropoli. Ma non ci sono tracce di battaglie o scontri. Dai resti archeologici si evince solo un abbandono veloce. A Portella sono stati ritrovati i vasi interi, per esempio. Bisogna ricordare però, che mentre a Lipari vengono abbandonati i villaggi dell’età del bronzo, contemporaneamente crollano i palazzi micenei. Siamo di fronte a eventi che coinvolgono l’intero Mediterraneo. Il declino della civiltà micenea si ripercuote anche qui. Il nuovo insediamento dell’acropoli ha similitudini con i centri dell’Italia peninsulare, quindi testimonia l’arrivo di una popolazione straniera. Non è ben chiaro da dove. Si pensa che arrivino dall’Italia centrale. Vengono chiamati Ausoni da Luigi Bernabò Brea, che collega le fonti storiche ai ritrovamenti archeologici.
D: anche Liparo, o meglio gli Ausoni però un bel giorno scompaiono e le isole restano semideserte fino all’arrivo dei greci.
R: Durano dal 1300 al 900 a.C. Aprono nuove rotte. Non più tramite lo Stretto, ma verso la Sardegna. Scompariranno anche loro. È testimoniato da uno strato di ritrovamenti profondo quasi un metro, colmo di vasellame e utensili rotti, oltre che di cenere di incendi. Non ci sono però tracce di scontri. Molto probabilmente sono gli stessi abitanti a bruciare tutto, prima di darsi alla fuga.
D: senza motivi? C’è la pistola fumante, ma non il colpevole.
R: i motivi possono essere tanti. Sono forse legati a un cambio di relazioni, sia col mondo siciliano, che con quello mediterraneo. Probabilmente, in quel periodo, viene meno l’importanza delle Eolie.
D: un’altra domanda. Quanto erano “siciliane” le Eolie, all’epoca? Hanno ragione, gli odierni eoliani, nel considerarsi una specie di principato indipendente, almeno da un punto di vista culturale?
R: forse hanno ragione. I rapporti con la Sicilia ci sono sempre stati, intendiamoci. I primi abitanti venivano in fondo da Sicilia e Calabria. Queste isole, però, nel tempo, hanno sviluppato una loro identità peculiare. Quando arrivano i Romani, per esempio, qui si continua a utilizzare la lingua greca.
D: doveroso aggiungere che questi primitivi insediamenti, oltre a essere interessanti di per sé, sono ubicati in angoli di incredibile bellezza.
R: sono posti meravigliosi. C’è l’imbarazzo della scelta. La nostra fortuna è che questi luoghi non siano stati deturpati.
D: Si è mai pensato di proporre, magari in collaborazione con qualche compagnia di navigazione, un itinerario di visita che unisca i diversi insediamenti?
R: anche per questo è nato il Parco Archeologico delle Eolie, da meno di due anni, che ha il compito precipuo di promuovere i percorsi archeologici del territorio. È un progetto su cui lavoriamo e lavoreremo ancora. Sia in termini di promozione che di organizzazione.
D: mi confermi che sono comunque tutti visitabili? A Salina, Panarea, Filicudi e Lipari?
R: tutti visitabili. L’accesso è libero. Per ogni informazione i visitatori possono comunque rivolgersi al Museo Luigi Bernabò Brea, che provvede alla manutenzione dei vari percorsi, tramite una convenzione con il Corpo Forestale.
D: ricordiamo che tutti i reperti, molti dei quali unici e bellissimi, ritrovati in questi villaggi, sono ospitati nel museo di Lipari.
R: certamente! Ma oltre al nostro museo al Castello, ricordo che c’è anche il museo Civico di Salina, a Lingua, che espone i reperti del villaggio di Portella.
D: il tuo maestro Bernabò Brea diceva che in Sicilia basta scavare, perché una zona archeologicamente ignota si riveli ricchissima di reperti di ogni epoca. Quanto rimane ancora da scoprire?
R: ah, saperlo! Tutta l’Italia meridionale, direi. Ma restando alla Eolie, c’è ancora tanto da scavare. L’unico insediamento che possiamo considerare completamente studiato è quello di Portella, a Salina.
D: come sempre ti chiedo se c’è una domanda che avresti voluto ascoltare e che non ti ho fatto? Data la vastità dell’argomento, è scontato che io abbia omesso qualcosa.
R: la grande quantità di lavoro che ognuno di noi, del settore, deve fare, per rendere fruibili i ritrovamenti. I siti hanno bisogno di interventi di restauro, pulitura, contestualizzazione, per renderli leggibili al visitatore. A volte si trova solo qualche pietra. Ebbene, anche quelle pietre necessitano di un’enorme fatica. Tutto dev’essere non solo scavato, ma ripulito, restaurato, studiato e calato all’interno di un contesto più ampio. Per permettere ai visitatori la piena comprensione di un sito e del periodo storico corrispondente.
D: l’ultima non è una domanda, ma una via di mezzo tra un’estorsione e una minaccia. Possiamo dire ai lettori che ci saranno altre puntate? In cui parleremo del periodo greco, romano, di tutta la storia delle Eolie insomma, che arriva fino ai giorni nostri?
R: sicuramente. Nessuno immagina che in un territorio così piccolo, noto principalmente per il turismo, ci sia una storia plurimillenaria. Una storia così importante, da far arrivare studiosi di tutto il mondo per approfondimenti e ricerche.(dazebaonews.it)