di Beatrice Giunta Saltalamacchia
La grande quercia
Luogo reale in cui pare che Dante si arrampicasse per guardare il “mondo sottostante”
descritto poi nell’Inferno. In questi giorni si celebra, appunto, il Dantedi’.
Oggi, per guardare l’inferno, basta cercare di sopravvivere ai numerosi problemi esistenziali e materiali.
Non occorre la quercia per immaginare come un popol “l’un l’altro si rode” perché con un comune dispositivo si può osservare il nostro pianeta, infettato dal corona - virus e le notizie si possono avere in tempo reale.
Le nostre vite sono stravolte: è una tempesta che coinvolge tutta l’umanità.
Basta riuscire a svolgere, con molta difficoltà, le mansioni limitate all’attività quotidiana e non pensare ad altro: al “quod “ come diceva, appunto il nostro Poeta, “state contente, umana gente al quia”.
I COMMENTI
di Enza Scalisi
Caro signor Sindaco, mi consenta l’approccio familiare, ma nella forzata repressione di ogni contatto sociale, lasciamo che le emozioni affiorino nelle parole. Esprimo apprezzamento e fiducia nel Suo operato. Aspetto e ascolto con attenzione le Sue comunicazioni, puntuali, esaurienti. Apprezzo il tono pacato, ma deciso, l’ostentata sicurezza, che cerca di nascondere la fatica e la responsabilità di un ruolo particolarmente ingrato in questo frangente. La Sua modestia e riservatezza Le fanno onore in un momento di protagonismi, di atteggiamenti donchisciotteschi, certamente spettacolari, ma che trovo inopportuni ai fini di quel po’ di pace sociale di cui abbiamo bisogno. La Sua paziente chiarezza comunicativa, talvolta necessariamente ripetitiva, ci coinvolge nella collaborazione, offrendo un orizzonte di riferimento in questo naufragio di certezze, di futuro, inducendoci alla speranza. Con stima.
di Lelio Finocchiaro
Piccole e grandi incongruenze
Le grandi crisi mettono inevitabilmente in evidenza carenze strutturali e di sistema di cui tutti siamo consapevoli ma a cui, in tempi “normali” non badiamo più di tanto, salvo quando ci servono per fare polemica o per accusare qualcuno di qualcosa. La pandemia che stiamo vivendo in questo periodo non era forse prevedibile , in queste dimensioni e di tale portata, ma non mi si venga a dire che ci ha “sorpresi” . Basta guardare poco indietro nel tempo per notare come epidemie di tutti i tipi continuano a falcidiare migliaia di vite umane e che noi accogliamo “sorpresi”. IL fatto è che appena l'epidemia si risolve, siamo capaci di metterla subito nel dimenticatoio, rinunciando a fare tesoro di ciò che Ebola, Sars, Aids ed altro fino al coronavirus di oggi ci possono insegnare. Semplicemente sono eventi che situiamo nel passato, salvo, poi, farci “sorprendere” nuovamente. E scopriamo di essere ampiamente disorganizzati.Io, come probabilmente saprete, sono uno strenuo ammiratore della saggezza dell'antica Roma.In Italia abbiamo le Regioni, autonome e competenti per la materie sanitarie. Bene, 20 Regioni in tempo di crisi sanitaria hanno emesso oltre 400 ordinanze tutte diverse l'una dall'altra, che contrastano, si affiancano e spesso vanificano quelle che provengono dall'unità centrale. In realtà il Governo, qualunque sia, in Italia dovrebbe (anzi, deve), anche in crisi come questa, prima di emettere un decreto, ascoltare le Regioni, consultare i sindacati,le parti sociali, i comitati scientifici,le opposizioni politiche e quant'altro, salvo poi essere accusato di non essere intervenuto “tempestivamente”. Gli antichi Romani erano guidati dal Senato e dai Senatores, espressione di democrazia. Però, in caso di epidemie o di importanti guerre, si spogliavano tutti dei loro poteri per conferirli a quello che veniva chiamato “Dictator” (con significato ben diverso da quello moderno), che assumeva in sé come supremo magistrato la responsabilità delle decisioni riguardanti la res publica, che potevano essere veloci, con effetto immediato e, soprattutto non contestabili. Appena finita l'emergenza, terminava anche il suo mandato.I romani sono rimasti grandi anche per comportamenti di questo tipo. Meglio evitare impietosi paragoni con i tempi attuali.
P.S. : Ma a proposito di democrazia, non è strano che tutti i paesi amici “democratici” si siano disinteressati in qualche modo di noi, mentre a mandarci aiuti siano stati paesi come la Cina , Cuba,la Russia, che hanno della “democrazia” un'idea un po' diversa dalla nostra?
di Paolo Arena
È capitato (di rado fortunatamente) che le forze dell’ordine abbiano dovuto punire comportamenti irresponsabili o inopportuni, ma questi episodi non hanno mai visto coinvolti ragazzi o ragazze delle nostre isole e di questo sono molto fiero perché vuol dire che avete compreso il valore del sacrificio che vi viene chiesto e la consapevolezza che solo lo sforzo comune può produrre il risultato al quale aspiriamo: debellare questo virus e ritornare a vivere con pienezza le nostre vite.
A voi, che siete il nostro futuro, chiedo di avere pazienza, di continuare a restare a casa, di essere di esempio per noi adulti, affinché questo futuro sia possibile per tutti.
Grazie a ciascuno di voi e ricordate
#alleEoliesivincedacasa
La logica ai tempi del corona-virus.
Gli errori della “democrazia”
Logica e democrazia sono due grandi verità.
Cartesio, già da bambino era portato per la verità ed era convinto che con lo studio di più cose sarebbe stato possibile raggiungere la verità. Ben presto si rese conto di avere accumulato una serie di conoscenze che non avevano aggiunto granché all’accrescimento del proprio sapere, alla formazione del senso critico.
La logica non basta: occorre un metodo (cartesiano, appunto).
Viviamo in un periodo storico in cui ogni villano diventa Cesare; è l’incertezza che ci
porta a questo, risultato di tutti i mali del genere umano e, soprattutto della povertà
morale e materiale.
Il risultato di questo ragionamento è che ,di fronte al dilemma democrazia- logica , la bilancia pesa dalla parte della logica.
Perché aspettare tanto tempo per decidere un contratto restrittivo?
I temporeggiatori non servono a migliorare la situazione.
Abbiamo bisogno di decisioni veloci e democratiche.
Non amo che le rose che non colsi;
questo mi resta di cotanta speme;
morte, perché m'hai fatto sì gran guerra;
e tornami a doler di mia sventura;
desioso mirando...errava dove Arno è più deserto;
e mi sovvien l'Eterno e le morte stagion e la presente, e viva, e il suon di lei.
Non è dolore e, neanche, paura, ma è rabbia di non arrivare fino in alto, il sentimento di impotenza che ci dà la forza di fare cose belle e grandi, e di non farci vittima. Quel sentire che hanno avuto persone come noi, ma diverse, perché hanno gridato sempre più forte e non si sono arrese, quelli sono gli eroi. In tutti i campi delle attività umane. Ci hanno provato: come fa un piccolino, quando si aggrappa per stare in piedi. E ci riesce. E batte le mani.
Perciò coraggio...
L’uomo è alla continua ricerca di qualcuno al quale esprimere il vulcano di emozioni che prova dentro. Occorre dialogare, ma le risposte degli altri sono cliché aridi e cristallizzati in frasi inoltrate da chissà dove.
Qual è la soluzione?
Spezzettare le emozioni in banali luoghi comuni (si potrà dire?) dialogando con tante persone per curare la ferita. O scrivere (come fanno alcuni per “isfogar la mente”, come fece il Sommo Poeta.
Sarebbe utile un decalogo, meglio un elenco, di citazioni da usare per rendersi conto di quanto l’uomo sia fortunato a vivere in questo pianeta terra e a pensare evitando la follia e i pensieri ripetitivi.
Nel medioevo sono stati vissuti periodi neri, anche più del nostro; anche nei tempi passati sono state provate emozioni più profonde dei tempi attuali.
Perciò coraggio e andiamo avanti!
Capita che ci ammaliamo qualche volta, ma non solo nel fisico, ma anche nel morale. Tempeste imprecisabili, dovute probabilmente a fatti contingenti, che si scatenano nei sogni, oltre che nell’interesse, nella volontà, nel nostro modo di essere. Proprio in questi casi di estremo dolore e ( perché no?) di grande gioia, dobbiamo fare ricorso al nostro substrato di esperienze (conoscenze proprie) e di cultura; perché serve proprio a questo la “cultura”, dal significato etimologico derivante dal latino, “coltivare”, cioè alimentare le esperienze altrui con le proprie.
Questo è lo scopo della tanto denigrata cultura, che non è un orpello e un abbellimento, ma segno di interesse, curiosità che fa appello a tutto quello che serve per migliorare, superare problemi, aggiustare in qualche modo gli sbagli precedenti, nostri e dei nostri predecessori, pur sapendo che non si potrà mai arrivare alla perfezione assoluta e alle competenze stabili, per esempio, il ponte crollerà sempre, prima o poi, se non si tamponerà con delle strutture moderne e innovative.
Queste, e altre considerazioni, servono a "farci passare la febbre” e non solo nei casi di dolore e morte ma anche nei momenti, più rari di felicità.