di Milena Privitera

Carmelo, beato lui - Fabio Tracuzzi

“Pagine che raccontano, foto che accompagnano. Un libro, un insieme di pagine. Un atto d’amore. Verso un uomo, mio padre, e verso un’isola, Stromboli. Carmelo col suo cane (Pipino) e la montagna (Stromboli) ”.

Carmelo, beato lui. Il vulcano Stromboli e il cane Pipino” (Maimone Editore, 2014) di Fabio Tracuzzi è, come dice l’autore stesso,

“un atto d’amore, verso un uomo, mio padre e verso un’isola Stromboli”.


Carmelo Tracuzzi si è trasferito a Stromboli negli anni Cinquanta proprio dopo il film cult di Rossellini interpretato dalla Bergman e vi è rimasto per tutta la sua vita. Abbandonati gli agi di una città, Catania, economicamente in espansione e lasciata la sua famiglia, Carmelo presto crea nella sua stessa casa di Stromboli un ritrovo-ristorante, “La Trave” attrattiva per i turisti che frequentano l’isola. Un ristoratore atipico che ama preparare del buon cibo per gli altri ma che spesso passando tra i tavoli pieni di ospiti lancia “sguardi inceneritori e battute al vetriolo”.

Don Carmelo Tracuzzi è raccontato in questo volume dal figlio Fabio, dalla nipote Daniela da alcuni documenti inediti e articoli di giornali come un uomo “incazzusu” ma libero, libero di scegliere la propria vita, il luogo dove trascorrerla, gli amici con cui condividerla. Carmelo, un uomo selvaggio, dai lunghi capelli neri, spesso legati in un codino, magro da far paura, con la pelle bruciata dal sole, un lettore attento, un playboy di altri tempi, con due grandi amori: il suo fedele cane Pipino e la montagna possente di Stromboli. Poetiche le pagine che ci parlano del cane Pipino e di una Stromboli cambiata, presa d’assalto dai turisti, non più isola dove riflettere, guardare da solo l’orizzonte, sognare e innamorarsi. Una Stromboli in cui un padre ha vissuto per una vita e un figlio l’ha scelta come rifugio preferito specialmente nei lunghi inverni e dove proprio in quel dammuso stromboliano lontano da tutto e da tutti è nato e cresciuto questo emozionante libro.

Andai a trovarlo quel pomeriggio del 12 agosto 1989. Era a letto, ma non sembrava sofferente. O forse no voleva che io , e soprattutto chi era con me , me ne accorgessi. Un abbraccio, tanti racconti, tante novità. Un medico inutile per un’inutile visita e una stupida diagnosi: “una semplice intossicazione”, quando il cuore stava per cedere. (…)E’ così andai via. E dopo due ore è morto. Si è alzato dal letto, è andato in terrazza per guardare il suo amico mare un’ultima volta, si è appoggiato alla colonna ed è morto. Da solo. Lui, Don Carmelo Tracuzzi. Mio padre”.

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