Emilia Kabakov: «Gli angeli esistono. Chi ti dà fiducia lo è. Senza il mio Ilya vivo con metà cuore»

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di Francesca Pini
 
Una famosa installazione, con due angeli scesi in terra, realizzata dalla coppia di artisti Emilia e Ilya Kabakov è una delle attrazioni di una mostra diffusa a Lipari, su iniziativa del festival Eoliè. Intervista con Emilia, vedova della sua dolce metà: un racconto della loro travagliata vita e del loro amore assoluto. 

Così si presenta l'installazione The Observer, con due angeli che siedono a tavola con questa coppia un po' solitaria. La scena la si osserva da lontano, con un cannocchiale

All'orizzonte di quel cannocchiale, due angeli. E una coppia, un po' solitaria, alla quale fanno compagnia, mentre l'uomo e la donna stanno seduti a tavola. Possibile credere agli angeli? Se ci si chiama Emilia e Ilya Kabakov sì. The Observer è una delle loro famose installazioni (quella permanente è in Toscana, al Castello di Ama), che a Lipari sarà replicata - e poi distrutta - per Eoliè, festival di arte, letteratura e società con una mostra diffusa nell'isola, dal titolo Verranno le stelle a toccare la terra. Invitati altri artisti come Joan Crous, Alessandro La Motta, Paolo Maggis, Dario Tironi (fino al 5/8, a cura di Roberta Tosi). Il soggetto degli angeli è sempre stato un leit-motiv nell'arte di Emilia e del suo scomparso marito, coppia di artisti. «Ci sono molte cose da dire sugli angeli, creati dalla Chiesa e dalla narrazione. Ma le persone scelgono di credere ad un angelo perché si ha bisogno di qualcuno che ci aiuti. Vogliamo credere che ci sia sempre qualcuno che vegli su di noi, pronto ad aiutarci. Quante volte nella vita le persone ti dicono "sei il mio angelo". In realtà sai che nel momento in cui hai bisogno di qualcuno, puoi contare su questa persona. Non hai bisogno di soldi, ma hai bisogno di fiducia. Adesso per la lapide della tomba di Ilya prenderò un suo disegno di un angelo e lo inciderò sulla pietra». 

Però non facile incontrare quelli con le ali (soggetto delle loro opere). «Abbiamo trovato un modo per farlo. Costruire una scala come quella di Giacobbe. Alta 18 metri: stai cercando di andare in paradiso. Sali, ma non dimenticare di prendere con te del cibo perché è una lunga attesa. E poi aspetti e verranno sicuramente ad aiutarti. Però devi essere disperato». Ma in questa società secolarizzata, trovare spazio per il sacro e la metafisica è sempre più difficile. «Sono cresciuta nell'Urss senza credere in Dio. A scuola ci dicevano che la religione era l'oppio del popolo. Sì, credo in Dio. Ma la mia convinzione è che lui non ci controlli, abbiamo il libero arbitrio. Si fida di noi. Ci ha dato 10 comandamenti. Non sono realmente le regole della religione, ma come gli esseri umani devono vivere nella società per avere una società». 
I demòni sono angeli ribelli. Ma sembra che voi siate interessati solo a cose molto angeliche. «I nostri angeli sono sempre ribelli. Se presti attenzione, stanno sempre cercando di fare qualcosa. Ad esempio, l'angelo caduto ha cercato di raggiungere la Terra. Ha provato a scendere ed è caduto. Ha rotto le sue ali ed è molto triste. Qui ho dei disegni che Ilya ha realizzato per me. E sono come se stessi volando. Gli ho detto: "Perché mi fai diventare un angelo?". "È così che ti vedo", mi ha risposto». 

16.16038410 FILE -- Artists Emilia and Ilya Kabakov at their studio in New York, Sept. 23, 2013. Kabakov, a celebrated artist whose immersive installations, paintings and drawings told sardonically witty stories about the dreams and interior lives of those who had endured the deprivations and degradations of the Soviet era he grew up in, died on May 27, 2023, in a hospital near his home and studio in Mattituck, N.Y., on the East End of Long Island. He was 89.  (Agaton Strom/The New York Times)     <span style="color: #ff0000;">*** SPECIAL   FEE   APPLIES ***</span>

Emilia con il marito Ilya, morto il 27 maggio 2023, erano una coppia di artisti

Tra loro c'è stato un amore assoluto, coronato all'età di 40 anni. «Ma ci è voluto molto tempo. Lo conoscevo da tutta la vita, da quando avevo sei anni. Ma il momento in cui gli prestai davvero attenzione ne avevo 15, capii che sarei stata con lui e che non dovevo fare nulla. Lui si è sposato un paio di volte, ma non ha funzionato. Mi sono sposata un paio di volte anch'io, ma non ha funzionato. E questo matrimonio con Ilya era un sogno. Una persona che non ti divora, non ti dice cosa fare, vero partner a tutti i livelli. Emotivamente, fisicamente, mentalmente, intellettualmente. E, inoltre, ti fa sentire libera, ti sostiene, non ti giudica. Ho avuto un padre molto dominante. E avevo paura di parlare, mi diceva sempre di stare zitta». 

Amicizia e solitudine è anche il tema dei dialoghi di questo festival eoliano (direttore artistico Francesco Malfitano), solitudine che attanaglia Emilia dopo la perdita di Ilya. «È stata una relazione davvero unica. È ciò che le persone sognano, e raramente riescono a ottenere. Molte persone dicono "questo è l'amore della mia vita", ma se puoi rimpiazzarlo, non è così. Amore non significa solo sesso, capacità di vivere insieme, di avere figli e tollerarsi a vicenda. Ma sono due persone che semplicemente non riescono a vivere l'una senza l'altra. È una tale unione di anime. E non puoi proprio immaginare te stesso senza l'altro. Sapevo che aveva 89 anni, che aveva bisogno di un'operazione al cuore. Ma a un certo punto, in ospedale, ho subito capito che l'avevo perso. È successo molto velocemente. Ho visto l'attimo in cui la sua anima è scomparsa. E in quel momento perdi te stessa. Non sai cosa fare. All'improvviso sei sola in questo mondo. Oggi abbiamo tutta questa tecnologia... puoi perdere una gamba, una mano o il fegato e possono sostituirlo. Ma sostituire parte del tuo cuore e parte della tua anima è impossibile. E l'altro cuore è scomparso. Non sai se puoi vivere con metà del tuo cervello e con metà del tuo cuore. Ed è così che vivo adesso. Non so come spiegare questo livello di solitudine. Ovviamente lavoro, decido di realizzare molti progetti che non abbiamo fatto perché non avevamo abbastanza tempo o risorse. Ma ho deciso, contro ogni ragionevolezza, di provare a realizzare il progetto più grande che avessimo mai immaginato: il Center of Cosmic Energy, con antenne per captarla. Le persone grazie e a una speciale atmosfera quando escono diventano dei geni. Ilya ed io eravamo sognatori». Tra gli artisti c'è tanta competizione ma anche amicizia. «Eravamo amici di Donald Judd, Nam June Paik, siamo ancora buoni amici di Joseph Kosuth, Krzysztof Wodiczko, Vadim Zhacharov e Andrey Monastyrsky e molti altri».

Emilia Kabakov: «Gli angeli esistono. Chi ti dà fiducia lo è. Senza il mio Ilya vivo con metà cuore»

Un particolare del dipinto Flying, di grandi dimensioni

Emilia Kabakov: «Gli angeli esistono. Chi ti dà fiducia lo è. Senza il mio Ilya vivo con metà cuore»

Il modellino del Center of Cosmic Energy (Sette inserto del Corriere della sera)

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Emilia (nata in Ucraina 78 anni fa) ha preso il  nome di battesimo dalla nonna materna arrivata dalla Spagna nel 1800 circa. «Ma ho sempre detto che Ilya ed io siamo internazionali, e il motivo per cui dichiaro questo è che non siamo etnicamente ucraini, ma ebrei. Entrambi siamo della stessa famiglia (il padre di Ilya era cugino di mia nonna, quindi lui era cugino di secondo grado di mia madre). Ilya ha lasciato l'Ucraina durante la guerra. Aveva 8 anni e dopo ha vissuto a Mosca, ha studiato prima alla scuola professionale d'arte, poi all'istituto d'arte Surikov. Fino a quando non ha lasciato l'Unione sovietica nel 1987 ha sempre vissuto a Mosca. Perciò la sua educazione, i suoi amici, la sua vita erano basati sulla cultura russo/sovietica». E la vita della famiglia di Emilia è stata sempre molto travagliata. «I miei genitori si sono trasferiti da Dnipro a Mosca quando avevo 7 anni, appena morto Stalin, il sogno di mio padre polacco e lettone è sempre stato quello di lasciare l'Unione sovietica. I miei nonni da parte paterna attraversarono il confine dalla Polonia all'Unione sovietica nel 1937, dopo che Hitler invase la Polonia. E subito mio nonno fu arrestato come spia polacca e condannato a 10 anni di campo di lavoro a Kolyma, in Siberia. Nel 1957 i miei genitori stavano per lasciare l'Unione Sovietica come ex cittadini polacchi e furono arrestati all'aeroporto di Mosca. Mio padre fu condannato a 10 anni di prigione e mia madre a 3 anni. Io avevo 12 anni e mia sorella 8. I miei nonni, da parte di mia madre, ci portarono a vivere con loro in Ucraina. E' una lunga storia, ma potete immaginare quanto ho "amato" l'Unione Sovietica. A 15/16 anni sono andata a Irkutsk, in Siberia, per studiare al Conservatorio. Poiché mio padre era in prigione, il Conservatorio di Dnipro si è rifiutato di accettarmi. Ho sempre scherzato sul fatto che ero l'unica persona che, volontariamente, era andata a vivere in Siberia. Sono tornata a Dnipro quando mia madre è uscita di prigione e ho continuato lì i miei studi al Conservatorio. A 23 anni sono partita di nuovo per Mosca e nel 1973 sono emigrata in Israele (era l'unico modo per uscire dall'Unione sovietica), dove i miei nonni paterni si erano trasferiti nel 1955. Ero già sposata e avevo una figlia di 3 anni. Da Israele sono andata in Francia, in Belgio e, infine,  negli Stati Uniti. Avevo 26 anni. Ora ne ho 78 e la maggior parte della mia vita è trascorsa negli Usa. Sono rimasta in Israele per quasi 7 mesi. Non è che non mi piacesse. Per me è era troppo piccolo in molti sensi, era troppo provinciale. Troppe persone provenienti dall'Unione sovietica con residui di mentalità sovietica. Tutti sapevano tutto meglio degli altri: come gestire il Paese, cosa fare. Nessuna logica, solo opinioni. Io volevo qualcos'altroE così di nuovo sono emigrata, questa volta negli Stati Uniti. Ma il problema di ogni emigrante è l'assenza di vere radici,  le mie  sono state tagliate e nemmeno tanto quando sono emigrata fisicamente, ma quando i miei genitori sono stati arrestati. Da quel momento ho sempre sentito di non appartenere, di non rientrare nella mentalità generale dei cittadini sovietici, di essere uno "straniero" in questo Paese. Ma ho avuto la stessa sensazione in Israele. Tutti questi continui spostamenti, prima con i miei genitori, dall'Ucraina occidentale a Dnipro, poi a Mosca, poi di nuovo a Dnipro, di nuovo a Mosca, ... e così via... le tue radici sono per sempre sospese nell'aria. Ilya diceva che da quando aveva lasciato la Russia non riusciva più a guidare l'auto. Gli ho chiesto: "ma perché? prima guidavi a Mosca". E lui mi ha detto: "non sento la terra solida sotto i piedi. Da quando sono partito sto fluttuando nell'aria".

Nel 1993 avete rappresentato la Russia alla Biennale di Venezia diretta da Kasper König, con il vostro Red Pavilion dietro il padiglione ufficiale e siete stati molto cauti nel dire che era un Paese ormai libero, che il passato non sarebbe mai più tornato. La Russia di Putin ora incarna un' ideologia zarista di conquista. «L'Unione Sovietica ormai insignificante, scompariva nel cortile di casa. Ma noi, pubblicamente, abbiamo detto fate attenzione perché sta solo aspettando il momento giusto per tornare nel grande padiglione. Non abbiamo ottenuto il Leone d'oro, ma un riconoscimento. Recentemente, quando le cose sono accadute, ho scritto un'e-mail a Kasper, dicendogli: "Cosa ne pensi adesso?". La storia ha la tendenza a ripetersi. E le persone non imparano nulla, sfortunatamente. In Russia vogliono un leader forte. È molto più facile vivere così. Non devi usare il cervello, se ne hai. Naturalmente molte persone non vogliono che ciò accada. Ma è più sicuro non dire nulla e seguire semplicemente il leader. Succede così in molti Paesi, la Russia non è l'unica. In America ora rivogliono Trump». 

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