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di Peter Burke*

Le riflessioni estremamente interessanti di Carlo Ruta sul futuro degli studi storici combinano un richiamo all’innovazione nella disciplina con una discussione sulla sua vicenda nel XX secolo e l’auspicio di una maggiore interazione tra le «due culture» (come il chimico-romanziere inglese C. P. Snow li chiamò nel 1959), ovvero tra le scienze umane e le scienze naturali. Condivido l’attenzione fervida di Ruta per gli storici francesi associati alle Annales, da Bloch e Febvre a Chartier e Boucheron, quindi mi concentrerò qui di seguito sui punti da lui trattati, l’innovazione e l’interazione.

1. Abbiamo bisogno di una maggiore innovazione nella nostra disciplina? Credo che mentre il presente scorre, scorgiamo il passato da nuove angolazioni. Ogni generazione di storici ha bisogno quindi di riscrivere la storia, ponendo nuove domande, integrando nuove ricerche e utilizzando nuovi metodi laddove sia opportuno. In effetti, negli ultimi 20 o 30 anni abbiamo assistito a numerose innovazioni, all’ascesa di numerose sotto-discipline: la storia dei sensi e delle emozioni, ad esempio (ispirata a Febvre ma ben più avanti); la «storia non umana», riguardante la «co-evoluzione» degli esseri umani e di altri esseri viventi, dai microbi ai mammiferi; la storia digitale, che attinge ai big data (oggetto di The History Manifesto di Jo Guldi e David Armitage); la «storia delle cose» (o «cultura materiale»); e la storia della conoscenza (ormai prossima ad emanciparsi dalla storia della scienza e a includere l’opposto che le è complementare: la storia dell’ignoranza).

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Dovremmo certamente tenere la mente e gli occhi aperti per avviare ulteriori innovazioni, ma un compito più immediato è quello di assimilare bene le nuove innovazioni, in altre parole scoprire i metodi di ricerca più appropriati a questi nuovi temi e le loro implicazioni per la disciplina nel suo insieme.

2. Queste innovazioni relativamente recenti illustrano l’indebolimento del modello delle due culture. Carlo Ruta ha indicato l’esempio degli archeologi, che si sono avvicinati agli scienziati naturali nell’ultima generazione. La geografia si divide tra geografia fisica, scienza naturale e geografia culturale, che è difficile distinguere dalla storia culturale. Lévi-Strauss ha posto il contrasto tra «natura» e «cultura» al centro delle tante opposizioni binarie con cui soleva lavorare, ma il suo ex allievo Philippe Descola ora sostiene che è necessario dissolverlo o andare oltre. Alcuni storici si stanno muovendo nella stessa direzione. Se gli storici della mia generazione hanno trovato ispirazione per la loro storia socioculturale nella sociologia e nell’antropologia culturale, i giovani storici dell’ambiente trovano che la geologia, la botanica, la climatologia e altre scienze naturali siano essenziali per il loro pensiero e la loro ricerca. Gli storici delle emozioni sono divisi tra gli antropologi storici, secondo cui ogni cultura ha un proprio fondamento emotivo, e i neuro-storici, secondo cui le emozioni di base sono universali. I «biostorici» stanno costruendo un ponte tra storia e biologia.

Quello che stiamo vivendo è un momento entusiasmante ma anche sconcertante per uno storico, che si trova ad assistere alla messa in discussione della saggezza convenzionale della professione e alla proliferazione di nuovi paradigmi. È certamente giunto il momento di parlare, come Ruta, di «pluralità». Se è anche opportuno parlare di «crisi» è perché la pluralità, anzi il moltiplicarsi di nuovi ambiti disciplinari, non solo allarga l’idea di storia totale ma rende anche tale traguardo estremamente difficile da raggiungere.

* Peter Burke, storico britannico, sostenitore della dimensione culturale della storia (New Cultural History), ha focalizzato in modo paradigmatico la storia sociale della comunicazione e la storia sociale della lingua. Ha fortemente rivalutato inoltre il significato storico delle immagini. Ha insegnato a lungo a Cambridge. Ha tenuto corsi e seminari all’Institute for Advanced Study di Princeton, all’Humanities Research Centre dell’Australian National University di Canberra, all’Ecole des Hautes Etudes di Parigi, al Wissenschaftskolleg di Berlino, all’Instituto para Estudos Avançados dell’Università di São Paulo del Brasile, al P. Getty Research Institute di Los Angeles, al Netherlands Institute of Advanced Study. Ha tenuto lezioni inoltre nelle università di Nijmega, Groningen, Heidelberg, Bruxelles e Princeton. È socio della British Academy, dell’Accademia Europea, della American Association for the Advancement of Science, dell’American Sociological Association e della Sociological Research Association. Ha tenuto conferenze in molti Paesi del mondo tra cui la Repubblica Popolare Cinese, Taiwan, l’India, il Giappone, gli Stati Uniti d’America, il Brasile, l’Argentina, il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda. Ha pubblicato diverse centinaia di opere, tra monografie, tradotte in oltre 30 lingue, articoli e saggi su riviste di tutti i continenti.

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