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di Attilio Princiotto*

"Io penso che la Storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la .tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò perché riguarda gli uomini, quanti più uomini possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa".
Non è noto se 1'allora giovane studente Delio Gramsci, a cui il padre Antonio esprimeva questi pensieri in una lettera dal carcere, amasse la Storia "più di ogni altra cosa" e nemmeno se le vicende della sua vita gli abbiano consentito dì impegnarsi a migliorare la società umana con la stessa passione civile del padre. Ma non è questo che qui ci interessa. Ciò che maggiormente importa è notare che le parole di Gramsci, in una forma semplice e familiare, contengono una definizione completa e forse il più profondo significato della Storia, quello che ne giustifica uno studio serio ed accurato, che rende la sua conoscenza indispensabile e insostituibile per ogni uomo che intende realizzare pienamente la sua natura di essere razionale, natura che lo porta ad aprirsi ai suoi simili, a cercare e a dare collaborazione, ossia a organizzarsi in società : l'uomo non è fatto per vivere in solitudine.

Le parole di Antonio Gramsci non sono rivolte solo ai giovani che, sui banchi della scuola, sono alle prese con nomi e date, che magari confondono le epoche storiche o scambiano un papa con un imperatore, ma sono rivolte anche a tutti coloro che, animati magari da volontà sincera, si pongono alla guida di un paese, di una società, per risolverne i problemi, per modificare certe strutture, per migliorare la vita della gente.

"Cambiare il presente", "costruire un mondo migliore" : quante volte e da quanto tempo sentiamo queste espressioni? Forse l’uomo se le ripete fin dagli albori della civiltà, da quando ha acquistato il primo barlume della consapevolezza di sé e delle sue condizioni e quando, resosi conto che lo stato presente lo rendeva infelice, non dandogli la possibilità di appagare completamente le sue aspirazioni, di soddisfare le sue esigenze anche le più elementari, desiderò di cambiarlo e si diede ad elaborare il progetto di un mondo migliore, tale cioè che la sua natura potesse trovare pieno appagamento e quindi piena realizzazione. Ma ogni presente si è rivelato inappagante e così l'uomo è stato costretto a elaborare sempre nuovi progetti per migliorare le sue condizioni di vita. Si è così avviato il processo storico che non si arresterà fino a quando vi saranno uomini sulla faccia della terra.

Il cammino umano ha tutte le caratteristiche di una legge immutabile; e se presso alcune società, nel. passato e in certa misura ancor oggi, notiamo periodi di immobilità, di staticità, questo è avvenuto e avviene perché i ceti dominanti avevano ed hanno interesse a conservare lo "status quo" disponendo del potere di farlo. Comunque presso questo tipo di società non esiste alcuna forma di democrazìa, gli uomini non sono considerati ugnali, la dignità dei più è calpestata. L'uomo, dunque, sembra che porti stampato nel proprio destino, come dice il poeta Montale, "più in là", e si adopera e lotta per trovare domani la soluzione dei problemi e il superamento dei disagi dell'oggi. Ma questo domani, così com'è stato immaginato, non arriverà mai : la soluzione di un problema spesso fa scaturire un altro problema; la scoperta di una verità rivela più vasto l'ignoto; l'attuazione di un principio risulta complessa ed esige lo sforzo di scoprire o elaborare nuovi valori. Insomma, il progresso civile è costellato, entro certi limiti, di fallimenti, di insuccessi o successi parziali. Tuttavia si continua ad andare avanti, bisogna procedere oltre.

Ma questo presente che non soddisfa e che si vuole cambiare a sua volta, che cos'è? Bisogna conoscerlo veramente per poterlo realmente cambiare. Esso è il risultato del passato, delle azioni buone o cattive, coscienti o inconsapevoli, dell'impegno serio o della superficialità e incompetenza degli uomini di ieri. Si può spiegare un fatto solo se sii conoscono le cause che lo hanno determinato e le cause del presente sono nel passato. Quindi, se si ignora il passato, la conoscenza del presenta è superficiale ed è illusorio pensare di modificarlo profondamente;
Conoscere la Storia non è un'arida attività intellettuale o esercizio di memoria, e nemmeno ha lo scopo di soddisfare la nostra curiosità fornendoci una quantità di nozioni. Conoscere la Storia significa apprendere come hanno vissuto gli uomini prima di noi, quali erano i loro pensieri e i loro problemi, come li hanno affrontati, quali i loro errori e quali le loro scelte e il perché dei loro comportamenti. Ecco dunque l'insegnamento che la Storia ci fornisce e che tanto ci può illuminare nel costruire la nostra vita.

Nel fare queste considerazioni spontaneamente si affaccia alla mente l'immagine di un grande, Niccolò Machiavelli, allorquando, "venuta la sera" di una giornata meschina, trascorsa in occupazioni di assoluta irrilevanza, tra gente volgare, ignorante, infida, nel suo esilio ingiusto, immeritato e umiliante, si ritira nel suo studio e si immerge nella lettura dei testi antichi e "visita gli antichi uomini" e li interroga sulla loro vita e su ogni questione riceve risposta.
Machiavelli, totalmente coinvolto nella tragica realtà del suo tempo, nella ricerca di una soluzione ai drammatici problemi che gli stanno di fronte, osserva acutamente la realtà, ma ascolta anche la "lezione degli antiqui" : egli, il fondatore della politica come scienza autonoma, deriva le sue concezioni dall'osservazione del presente e dall'insegnamento della Storia.

A questo punto è lecito chiedersi : qual è la situazione italiana in fatto di conoscenza storica?
Lo studio della Storia è contemplato dai programmi di ogni ordine di scuole, e se consideriamo che ormai da alcuni decenni escono annualmente dalle scuole medie superiori diverse centinaia di migliaia di giovani diplomati e parimenti dalle Università molte migliaia di laureati, si potrebbe pensare che quello italiano, in generale, è un popolo colto o almeno istruito; per di più 1'analfabetismo è quasi scomparso, ridotto ormai a poche persone anziane. In astratto le cose dovrebbero stare in questi termini, ma in realtà non è così.

Nei programmi della Scuola italiana, specie negli indirizzi tecnici che sono ì più frequentati, lo spazio destinato alle discipline umanistiche e alla Storia in particolare, è ristrettissimo a fronte di programmi divenuti ormai troppo vasti, al punto che risulta impossibile per gli insegnanti svolgerli completamente. Inoltre la Storia spesso non figura tra le materie dell'esame di maturità e così viene meno an che lo stimolo per gli studenti proprio quando si dovrebbe affrontare lo studio degli eventi più vicini a noi, quelli da cui più immediatamente deriva il nostro presente.
La conseguenza più drammatica di questo stato di cose è il fatto che i giovani concludono il loro ciclo di studi spesso senza conoscere nulla, o poco e spesso male, della complessa realtà del Ventesimo secolo, non avendo che una superficiale infarinatura dei grandiosi avvenimenti, delle immani tragedie e dei profondi rivolgimenti culturali di questa epoca che è poi la loro epoca.

Con ciò non si intende sostenere che tutti gli Italiani non conoscono la Storia; se cosi fosse sarebbe veramente una tragedia ; si vuol dire piuttosto che coloro che conoscono in modo sufficientemente approfondito la Storia, i suoi problemi, le vere cause degli avvenimenti, e sanno attingere e derivare da essa criteri di orientamento per la soluzione dei problemi attuali sono troppo pochi in confronto a quanti dovrebbero e potrebbero essere. (Naturalmente, come sempre, non mancano gli studiosi di professione, gli esperti, gli addetti ai lavori, ma non è di loro che qui si intende parlare)

Episodi recenti, inchieste riportate dai mass-media, condotte tra studenti e tra persone che non si possono annoverare fra gli ignoranti, lasciano veramente allibiti. Sono molti coloro che sanno di "Mazzini" e "Cavour", di "Vittorio Veneto", "Isonzo", "Podgora", "Marzabotto", "Fosse Ardeatine", "Resistenza", "Liberazione"' ecc...solo perché questi sono i nomi di vie e di piazze delle loro città.
D'altra parte, c'è stato chi, recentemente, ha definito "il più grande statista del '900" colui che ha precipitato in un abisso l'Italia, che ne ha distrutto i tessuto economico e sociale seminando 1' odio tra gli stessi Italiani, e che ha potentemente contribuito al verificarsi della più grande tragedia umana che si ricordi. Probabilmente molti gli hanno creduto, ma certamente molti di coloro che gli hanno creduto ignorano la Storia, come quella studentessa Universitaria che non sapeva chi era Badoglio.

La dimostrazione più chiara e difficilmente confutabile di quanto siamo venuti affermando in queste considerazioni è data dal fatto che oggi, a nemmeno cinquanta anni da quei tragici avvenimenti, quando molte ferite sono ancora aperte, gli eredi politici di quel "grande statista" sono stati chiamati da una parte del popolo italiano a governarlo.
A questo punto non rimane che augurarci che gli Italiani riflettano con maggiore consapevolezza e meditino attentamente quanto ebbe a scrivere il filosofo George Santayana : "...quel popolo che non conosce la propria Storia è destinato a ripeterla".

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