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di Mosè Vernetti

Stromboli è un’isola vulcanica: la più a est dell’arcipelago delle Eolie, in Sicilia. Iddu, come i locali chiamano da sempre la montagna, è uno dei vulcani più attivi del mondo. Quando l’uomo è approdato a Stromboli l’isola era ricoperta da un bosco di lecci. «Nei tempi di fame la popolazione dell’isola spiantava tutti gli alberi per poter coltivare. Nei momenti di abbondanza invece, e quindi quando la popolazione poteva agire in maniera lungimirante rispetto alla sua coesistenza con l’ambiente, i lecci venivano piantati per consolidare il terreno a ridosso dei torrenti», dice Renzo Zaia, biologo e guida vulcanologa, nato e cresciuto sull’isola, mentre lo intervisto dentro casa sua. Oggi però i lecci che ricoprivano il versante Nord dell’isola non sono stati spiantati per necessità, ma sono stati divorati dalle fiamme di un incendio colposo nel 2022. Insieme a questo, la lentezza istituzionale causata dal fatto che gran parte dell’isola è una riserva naturale ha fatto sì che a oltre due anni dall’evento non si sia ancora attivato nessun processo ufficiale di riforestazione. Per adesso i versanti vegetati della montagna hanno cambiato volto autonomamente: dopo l’incendio ha prevalso una specie di canneto che cosparge il paesaggio di un manto giallo.

ALLA RIDUZIONE DELLA VEGETAZIONE si sono aggiunti eventi meteorologici eccezionali ed eruzioni anomale, che hanno contribuito all’inondazione dei torrenti che dal vulcano scendono a valle. «Le variazioni morfologiche del versante avvengono per combinazione di tre eventi: per l’attività vulcanica, per una diversa entità e durata delle piogge, e per la presenza o l’assenza della vegetazione», spiega Teresa Nolesini, geologa applicata del centro per la protezione civile di Firenze, che sta studiando le ragioni dell’alluvione sull’isola. La vita sul vulcano è imprevedibile. Tra la montagna e la popolazione la convivenza è delicata. Dei 700 residenti circa 400 rimangono anche di inverno, e di questi 60 sono bambini tra la scuola materna e le scuole medie, quando vanno alle superiori i ragazzi lasciano l’isola, e molte madri li seguono. «In montagna non ci vanno molte persone ormai, e piantare alberi non è una cosa che interessa particolarmente», confida Beatrice, che vive sull’isola da più di trent’anni. «Il senso di comunità è venuto meno con lo sviluppo economico legato al turismo», aggiunge.

PER ALCUNI ABITANTI DELL’ISOLA è diventato però necessario agire prima dei tempi istituzionali. «Il modo in cui viene gestita la riserva, attraverso questo tipo di separazione tra natura e uomo, rende insensata la nostra presenza qui. Su quest’isola l’uomo c’è da sempre, è nostro dovere prendercene cura», continua Renzo. È così che nasce il «moto riforestativo» facilitato dall’Anonima Riforestazioni. «Insieme agli abitanti dell’isola abbiamo deciso di accelerare un processo riforestativo di comunità, dal momento che le istituzioni sono costrette da una serie di vincoli legali e quindi sono meno efficienti. Dopo aver creato un vivaio un anno fa e aver cresciuto cinquecento alberi circa, siamo venuti sull’isola con l’obiettivo di piantarli», rivela uno dei fondatori dell’associazione. Che aggiunge: «Assecondiamo la necessità delle persone di contribuire alla propria protezione e al proprio adattamento al cambiamento climatico».

MA FACCIAMO QUALCHE PASSO INDIETRO. «L’alluvione conseguente all’incendio del 2022, dove in circa un’ora sono caduti 70 mm di acqua, ha creato delle profonde forme di erosione del suolo, in alcuni punti diventate quasi dei canyon essendo molto profondi. I depositi scaturiti dalle eruzioni eccezionali degli ultimi tempi hanno inoltre modificato il terreno», continua la geologa Nolesini. Questo ha fatto sì che la pioggia scendesse a valle senza praticamente attrito, causando devastazioni senza precedenti. Per i vicoli del paese ci sono ancora depositi di oltre un metro di fango, con massi enormi sparsi per i giardini delle case. La montagna vista da sotto sembra quasi che abbia delle vere e proprie cicatrici. Perché diventa quindi urgente riforestare? «Con una maggiore copertura arborea l’acqua rallenta, e quando scende nel suolo poi gli apparati radicali forti trattengono il terreno. In più gli alberi una volta che hanno superato una certa altezza, a differenza degli arbusti, reggono meglio anche il passaggio del fuoco», specifica S., vivaista e abitante dell’isola che ha curato il progetto in prima persona, e aggiunge: «Le sabbie vulcaniche di questo terreno sono molto sottili, quindi è meno compatto e più fragile in caso di forti piogge. Piantare nuovi alberi, in particolare a ridosso dei torrenti, riduce questo problema e aiuta la messa in sicurezza del suolo».

«ANDARE A PIANTARE I LECCI ADESSO non è altro che un modo per noi per vivere meglio la montagna», riprende Renzo. «Le bombe d’acqua che scendono da monte sono un problema per noi. Quando l’isola era coltivata oltre ai lecci anche i terrazzamenti proteggevano il villaggio dalle frane. La comunità vegetale che vive ai bordi dei torrenti ci protegge dalle frane e dal fuoco, per questo i lecci sono un po’ il simbolo della simbiosi tra uomo e natura».

LA COMUNITÀ DI STROMBOLI OGGI SEMBRA obbligata a doversi salvare da sola: sia dal punto di vista della coesistenza con la natura, che dal punto di vista sociale. Ci son alcune realtà associative che cercano di resistere, ma il comune non fornisce loro uno spazio per esercitare le attività, e se è difficile curare l’isola, lo è anche curarsi a livello di salute: per andare al pronto soccorso bisogna prendere una nave o un elicottero in caso di emergenza. «Mi è piaciuto come si è approcciata l’Anonima Riforestazioni perché non ha voluto importare specie da fuori o prendere scorciatoie», riprende Renzo. «Siamo attivatori di processi e concentriamo i nostri sforzi nel produrre tanti alberi, senza concentrarci sulla comunicazione e appunto rimanendo anonimi», continua il portavoce dell’associazione. «Siamo entrati in contatto con Renzo affinché fosse qualcuno dell’isola a seguire il processo riforestativo. Con lui e altri abbiamo costruito un micro vivaio con una capacità produttiva di circa 1000 alberi ogni anno. I nostri progetti sono sempre mossi da due regole: specie autoctone e genoma locale», conclude.

ED ECCO CHE DOPO UN ANNO LA CHIAMATA alle arti dell’Anonima Riforestazioni ha dato forma a una missione riforestativa dal basso e non autorizzata, scherzosamente definita un «impeto riforestativo» da alcuni dei partecipanti. «L’articolo 118 comma 4 della Costituzione tutela questa iniziativa anche se non autorizzata in quanto si è trattato di un’iniziatica autonoma per l’interesse generale». Il principio di sussidiarietà orizzontale quindi, secondo il portavoce dell’Anonima Riforestazioni, ha permesso alla squadra di volontari di attivarsi per soddisfare i bisogni collettivi – che in questo caso combaciavano con i bisogni dell’isola – dal momento che le istituzioni non sono riuscite a farlo direttamente. Il tutto spendendo poche centinaia di euro. «Il gruppo è andato lentamente ingrandendosi mentre arrivavamo a Stromboli. Dovevamo essere otto, ma alla fine eravamo più di trenta, muniti di pale, alberi da piantare, idroretentori, risalendo i torrenti da cui sono scesi acqua e detriti giunti fino al villaggio», conclude.

SI PUÒ FORSE PARLARE DI UN ATTO di disobbedienza, ma una comunità si è attivata autonomamente davanti alle conseguenze dei cambiamenti climatici che minacciano la sua vita sull’isola di Stromboli, perché le istituzioni non lo facevano. Tutelare l’ambiente significa tutelare le comunità, che si consolidano in un atto di cura e di coesistenza con la natura. Il progetto continuerà, il vivaio è attivo e produrrà nuovi alberi.(ilmanifesto.it)

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