Intervista a Guido Giordano, professore ordinario di Vulcanologia presso il Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre, racconta la situazione sull'isola eoliana
di Francesca Saturnino
Mi è capitato di approdare a Stromboli nel settembre 2022, tre mesi dopo il devastante incendio doloso del 25 maggio – appiccato durante le riprese di una fiction, ironia della sorte, sulla Protezione Civile – e un mese dopo la successiva alluvione del 12 agosto. L’immagine che si presentava davanti era quella di un’isola violentata. Duecentoquaranta ettari di macchia mediterranea in fumo, la montagna letteralmente scoperta; dove non c’era più vegetazione l’acqua aveva scavato, creando avvallamenti, letti di nuovi torrenti con cui con violenza ha portato a valle ogni cosa che trovava davanti a sé.
Il sentiero che conduce al vulcano era interrotto, il paesaggio drasticamente mutato; in paese, alcune case, soprattutto verso Piscità, mostravano i segni del fango e della distruzione causata dai detriti scesi come lava sulle case. Come nell’incendio, anche durante l’alluvione gli strombolani se l’erano dovuta cavare da soli, anche se in molti erano accorsi- ricordo i volontari accampati nella chiesa di San Vincenzo, nella piazza principale dell’isola – per dare una mano.
Da allora sono trascorsi due anni, altre due estati di turismo massivo, interrotto lo scorso luglio dall’intensificarsi dell’attività eruttiva. Nulla è stato fatto. Ogni volta che piove, a Stromboli si guarda con terrore verso il vulcano. Le forti piogge dello scorso 20 ottobre hanno nuovamente generato nell’isola colate detritiche, franamenti, esondazioni delle linee di impluvio, coinvolgendo anche la frazione di Ginostra, finora rimasta indenne. Lo scorso 14 novembre gli abitanti dell’isola hanno deciso di manifestare «a fronte della grave situazione di rischio idrogeologico e pericolo incombente per l’incolumità della popolazione» per chiedere alle istituzioni locali e nazionali chiarimenti e provvedimenti immediati. I tempi della natura, sconvolta dal cambiamento climatico, sono diversi da quelli della burocrazia e anche dei media, che accendono i loro riflettori solo a tragedie avvenute. Abbiamo parlato dell’emergenza di Stromboli con Guido Giordano, professore ordinario di Vulcanologia presso il Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre, ex-Presidente dell’Associazione Italiana di Vulcanologia, che studia e frequenta l’isola da trent’anni.
Che rapporto ha con Stromboli?
È uno dei vulcani che studio da più tempo. Con gli studenti della laurea magistrale in Vulcanologia ogni anno facciamo un campo di sei giorni, quattro di questi dedicati a Stromboli. Da dodici anni ho iniziato a frequentarla anche nell’ambito della Festa del Teatro Ecologico, dove mi occupo di spiegare i contenuti scientifici in termini di divulgazione.
Assieme ad alcuni colleghi conduco eventi di outreach, comunicazione di fatti vulcanologici con interventi divulgativi multidisciplinari. Il direttore artistico ha una visione integrata, ha sempre dato spazio al fatto che siamo su un vulcano. Il festival è un modello da seguire per favorire un turismo legato alla conoscenza del territorio che entri in relazione con la cittadinanza. Valorizzare iniziative che portano beneficio al territorio in maniera sostenibile orienta tutto il modo di vivere l’isola.
Cosa sta accadendo a Stromboli, come siamo arrivati a questo «stato di emergenza»?
Al mondo si contano cinque vulcani permanentemente attivi, uno di questi è Stromboli. Ha questa caratteristica di avere un’attività ordinaria spettacolare che non produce problemi perché confinata entro la Sciara del fuoco. I centri abitati sono collocati sapientemente dove succede nulla o poco, ogni tanto qualcosa accade. Occasionalmente ci sono eruzioni forti come quest’estate, nel 2019, nel 2007, 2003 che producono fenomeni complessi che possono essere un pericolo.
C’è un lancio di bombe balistiche, pezzi di roccia che possono arrivare sui centri abitati, franamenti, flussi piroclastici che entrano in mare dal lato della Sciara del fuoco. Un altro pericolo è che questo lancio di bombe incandescenti sul versante abitato possa produrre incendi. Il problema si è ripetuto per causa antropica nel 2022 quando, durante le riprese della fiction, con grande imperizia innescarono un incendio che distrusse tutta la vegetazione dalla parte di Stromboli, già stata significativamente intaccata dall’incendio del 2019, provocato dal vulcano, che aveva distrutto gran parte della vegetazione – ginestre, lecci, ulivi – lato Ginostra.
Lo stato delle cose è il risultato di una concatenazione di eventi
Quando gli incendi si ripetono in un tempo ristretto, la vegetazione che ricresce è costituita da canne, piante pioniere con apparati radicali poco sviluppati, costrette a vivere in un ambiente ostile. La perdita di copertura vegetale ha ovviamente provocato le alluvioni. Stromboli è un vulcano pendente, a cono: quando piove molto il rischio che insieme alla pioggia scendano anche materiale sabbioso e blocchi grossi diventa maggiore.
Sui vulcani questi fenomeni di mescolamento di materiale piroclastico detritico e acqua piovana hanno un nome, «lahar» in indonesiano «attenzione». L’acqua piovana che scorre rapida lungo il pendio in eventi alluvionali si carica di materiale detritico delle eruzioni, diventando molto più distruttiva: una specie di cemento liquido, colate di fango, detriti che hanno un impatto devastante quando scendono a valle.
Il cambiamento climatico ha un ruolo in tutto questo?
L’isola è sempre stata esposta a questi eventi, se la scopri completamente della sua vegetazione e ci unisci il fatto che negli ultimi anni piove tanto in un tempo concentrato, è chiaro che il rischio di lahar aumenta. A questo si aggiunge un fattore di pericolosità sul lungo periodo: l’abbandono dell’isola dal punto di vista della coltivazione. Sotto la selva bruciata nel 2022 emersero i terrazzamenti che una volta ricoprivano quasi tutta Stromboli.
Il terrazzamento ha un ruolo gigantesco nella prevenzione di eventi alluvionali perché provoca il rallentamento della velocità dell’acqua. A Stromboli si producevano Malvasia, capperi, olive che hanno iniziato a scomparire all’inizio del secolo scorso quando la filossera aggredì le piante, poi ci fu la grande eruzione del 1930, la seconda guerra mondiale: nella prima metà del Novecento Stromboli si svuotò, l’economia del dopo guerra fu ricostruita non più sull’agricoltura ma sul turismo.
Come si prevengono fenomeni alluvionali così intensi e devastanti?
La prevenzione può avvenire attraverso meccanismi di gestione del territorio. Nell’incendio del 2019 innescato da queste bombe incandescenti arrivate all’altezza del paese di Ginostra avevano lasciato l’intero versante nero, tranne un rettangolo: qui c’è un’azienda agricola. La stessa cosa è avvenuta nel 2022 nella zona di Piscità, dove ci sono filari di vetiver, pianta utilissima su un’isola come questa: ha proprietà di pianta pioniera come le canne ma un apparato radicale molto profondo, trattiene il terreno, è ignifuga. Inoltre lì la terra era pulita, priva di erbacce e rovi. In altre parole: si sono salvati grazie al fatto che curavano il proprio territorio.
Che altro si potrebbe fare?
Interventi di urgenza: linee tagliafuoco per evitare che gli incendi arrivino ovunque. Pulizia, cura degli alberi, piantumazione di essenze come vetiver che possano rallentare la velocità e frenare il trasporto di detriti che quando arrivano in paese fanno quello che abbiamo visto. E attrarre fondi europei per ristimolare un’attività agricola che oltre ad avere un reddito fa bene nel lungo periodo alla propria terra. Almeno intorno al paese, penso a filari di malvasia, coordinare l’interesse economico con un interesse di «protezione civile».
Mettere in atto misure che servono a ripristinare un equilibrio idrogeologico, farlo con azioni di qualità: è un’isola piccola, ha bisogno di piccole cose. Vanno coinvolte le persone, prima di tutto gli abitanti: è possibile creare un’economia attraverso la buona gestione del territorio. A quel punto non hai più bisogno di turisti occasionali e stai conservando la tua terra, il tuo bene più prezioso.(ilmanifesto.it)