Emozionante serata al Centro Studi con la proiezione del film di Pasquale Scimeca “Il giudice e il boss”.
Come ha dichiarato il regista nel corso della presentazione il suo lavoro si colloca quale anello mancante nella narrazione dei fatti di Cosa Nostra tra gli anni ‘60 e l’ascesa violenta e criminale di Totò Riina e Binno Provenzano.
L’inizio del film ci porta in un mondo arcaico – la Sicilia tra gli anni ’60 e ’70 – in cui Cosa Nostra non è ancora ciò che sarebbe diventata da lì a poco, Totò Riina è ancora un “picciotto” che tenta di farsi strada tra i Corleonesi e gli altisonanti nomi di Falcone e Borsellino sono ancora lontani dagli eventi storici tristemente noti. Scimeca si fa carico di raccontare quel segmento storico che molti ignorano, tratteggiando il volto primitivo di una mafia fatta di banditismo, dall’uccisione del vecchio capomafia Michele Navarra (il 2 maggio 1958) e della successiva guerra di mafia che
vede contrapposti gruppi di corleonesi per il controllo del territorio, citando fatti spesso dimenticati, come la strage di braccianti di Portella della Ginestra orchestrata da Salvatore Giuliano (“Ho capito che mafia, massoneria, servizi segreti sono la stessa cosa, sono serpenti velenosi che hanno dato vita al peccato originale, la strage di Portella delle Ginestre“, dice Terranova a Mancuso) e il modo in cui Cosa Nostra divenne un’organizzazione vera e propria, nonché il consolidarsi dei rapporti col mondo politico (in queste circostanze appare la figura di Vito Ciancimino).
Tutto questo si concretizza nella lotta intrapresa dal giudice Cesare Terranova e dal maresciallo di polizia Lenin Mancuso contro il boss mafioso Luciano Liggio e le istituzioni facilmente corruttibili (dai giudici, agli usceri, alla politica, alla borghesia palermitana). Dopo dieci anni di indagini e la denuncia di un centinaio di mafioso il primo maxi processo per mafia tenutosi a Bari nel 1969. Ma le istituzioni (Giudice e giurati popolari), come sappiamo e come il film ci mostra, cedettero dinnanzi alle minacce e Terranova rimase solo e umiliato, condannato a un destino che la pellicola non mostra ma che chiunque può facilmente dedurre.
La performance di Gaetano Bruno ci concede di toccare con mano il coraggio, l’audacia e il senso civico del giudice Terranova, in un’interpretazione magistrale. Lo stesso possiamo dire, in effetti, per tutto il cast, che gode di mostri sacri del cinema come Peppino Mazzotta e Claudio Castrogiovanni, ai quali si aggiungono anche Naike Anna Silipo, Marco Gambino, Rita Abela, Vincenzo Albanese, Marilù Pipitone, Rosario Minardi, Omar Noto, Sergio Vespertino, Antonio Curcio, Giovanni Arezzo ed Enrico Lo Verso.
Avviandoci alla conclusione, possiamo affermare che se l’obiettivo dell’autore era quello di piantare un seme nella nostra coscienza, di fare luce su fatti che la maggior parte ignora, possiamo dire che è riuscito nell’intento di stimolare curiosità e voglia di saperne di più, per scoprire ciò che Terranova per primo aveva in fondo intuito: la mafia c’è ed è implicata con la politica, col potere, con la gente comune. Nasconderci dietro a un dito non serve a estirparla ma solo ad alimentarla.
“Le posso fare una domanda? Lei nei miei occhi vede paura?”: con questa frase Terranova inchioda il suo sguardo fiero e deciso in quello di Liggio e questa espressione basta a delinearne la grandezza.
Nel corso della serata presentata da Tiziana De Luca al regista è stato consegnato il premio “EFESTO”. Il film uscirà nelle sale il 25 settembre 2024.
Il Centro Studi ringrazia Pasquale Scimeca per aver presentato in anteprima mondiale la sua opera al festival delle isole Eolie “Un Mare di Cinema”
foto del paparazzo Mario Marturano