di Francesco Biancheri
Cerco di ricordare una Pasqua caduta nel mese di marzo, ma non ne ho memoria. Di solito la Pasqua, “alta o
bassa” che fosse arrivava sempre nel mese di aprile. In quegli anni non si viveva di ”eventi” come avviene adesso e le ricorrenze religiose rappresentavano le poche occasioni di socializzazione anche laica,che accomunava tutti i ceti sociali prima dell’inizio della stagione estiva, periodo in cui l’isola per pochi mesi cambiava volto. La vita sociale a Lipari in quello scorcio di tempo sul finire degli anni 60 del 1900 si svolgeva con molta più semplicità di adesso, a motivo del forte isolamento e quella quasi totale inesistenza di mezzi mediatici. Ma credo, nella sua semplicità e in alcuni versi povertà più umana di adesso. Ricordo, in particolare i pescatori, che vivevano “Supa a Terra” avevano fatto del loro quartiere un luogo di socialità dove la vita quotidiana si svolgeva per strada. La dove si riparavano le reti, s'addumava "u cufuni"
e chianava un ciavuru i pisci arrustuto chi arricriava", i bambini giocavano, gli adulti si riunivano a
discutere. Tanto per contestualizzare cosa signficassero i riti religiosi e il loro aspetto di elemento
socialmente aggregante. Siccome i ritmi di vita non erano compressi, come adesso, i riti della Settimana Santa erano seguiti ed attesi. Nelle varie chiese dell’isola si preparavano i “ sapurca” ovvero un'area all’interno dell’edificio sacro dove veniva allestita l'ambientazione del luogo di sepoltura di Cristo. Generalmente era il vano di una cappella laterale, possibilmente quella più prossima all’altare maggiore, dove ornamenti florali ricchi e vistosi creavano lo scenario. Si faceva a gara nel farlo il più bello, ma la palma del migliore, anche per l’ampiezza degli spazi se l’aggiudicava sempre la Basilica Cattedrale. Questi manufatti di artigiano florale erano oggetto di visite da parte di fedeli e curiosi, e da qui il detto “farisi u giru di sapurca”.
Il giorno della Domenica delle Palme una processione, presieduta dal Vescovo, con solenni paramenti
(allora si usava che i Vescovi si vestivano da Vescovi), partiva da "criesia u Puzzu" e saliva verso la
Cattedrale, dove iniziava la liturgia.
Il Venerdì Santo era invece il momento della processione delle “vare” cioè delle statue che rappresentavano gli episodi evangelici della passione e morte di Nostro Signore. La processione si snodava lungo il Corso (u Puzzu) accompagnata dalle confraternite nei loro abiti di antica foggia e preceduti dai Priori e dai mazzieri. tutta la rappresentazione sacra rimandava una grande suggestione .Richiamava e richiama in miniatura i suggetivi riti della “Semana Santa” di Malaga, in Spagna, a ricordare lo storico legame che risale al tempo delle due Corone Regnanti. In casa, quel giorno, la disposizione era di non accendere nè radio, nè televisore “picchì u Signuri è muortu”. Ed in effetti, quel giorno un silenzio palpabile calava sull'isola. Ricordo che, generalmente era anche un giorno plumbeo. La Domenica di Pasqua dopo la solenne Messa Pontificale alla presenza di tutto il clero, in Cattedrale, si dipartivano due processioni che per vie diverse si incontravano a Marina Corta. Una era quella del sinulacro del Risorto e l’altra della Madonna Addolorata. La processione era una drammatizzazione della vita e della morte, del dolore di una Madre che non accetta l'idea della morte del Figlio e poi del trionfo della vita allorquando la Madre incontrando il Risoto, perde il manto nero di dolore ed appare l’azzurro, mentre le colombe prendono il volo e le campane suonano a festa . “Suttu u mantu da Madonna vula vula la palumma, vula vula e si nni va. Supa a Civita a pulumma…” cosi il Cantore delle Eolie. Esplode la festa, vengono “sparati i bummi” e le navi in rada suonano le sirene.
A proposito di questo, voglio citare un episodo avvenuto quando ancora non era crollatto il Muro di Berlino
e con esso finita anche l'Unione Sovietica governata dal Partito Comunista. Una nave da carico russa si trovava in rada a Marina Corta. Il lettore dovrà sapere che a differenza delle nostre navi, dove il Comandate ne è signore assoluto, in quelle russe al tempo dei Soviet, il Comandante era soltanto un tecnico della navigazione, mente il potere lo esercitava il “Commissario Politico”. Quel giorno di Pasqua, dalla nave russa partì un suono di sirena. Era un segnale premonitore di quel mondo che con Gorbaciov, decenni dopo sarebbe stato consegnato alla Storia con il nome di “Perestroika” e che avrebbe segnato la fine di settanta anni di governo Comunista in Unione Sovietica. Anche Lipari, quel giorno ha avuto il suo pezzo di protagonismo nella grande storia del Mondo. Ci furono anni in cui i Riti Pasquali assunsero un tono minore, vuoi per disinteresse, vuoi per la soppressione della millenaria sede Vescovile di Lipari. Adesso, apprendo invece con soddisfazione, che non solo a Lipari, ma anche nelle isole limitrofe è ripreso l'interesse e l'impegno devoto per queste sacre cerimonie religiose. Come si viveva la Pasqua nella mia casa? Intanto ricordo un grande affaccendarsi di mia madre intorno ai cibi. Di solito elaborati timballi, purppetta e purppettuni (se u povero “voi i Filicudi” qualche giorno prima aveva guadagnato il paradiso dei bovini.) Di agnelli, carni i crastu e varie, nenche l’ombra. Durante le feste Pasquali stavamo di solito in compagnia dei nonni materni e di amici che passavano "pu durci.
Dunque a proposito di durci. A Pasqua i miei compravano d Subba “u piecuru” ovvero un dolce di
marzapane, ripieno, a forma di agnello con gli ornamenti pasquali. Un dolce simbolo, come la colomba usa
per i popoli al di la del mare. Di solito si trattava di piu o meno in kilo e mezzo e poi, immancabile l’uovo
di Pasqua, con sorpresa, motivo per cui veniva “sacrificato” anzitempo. Durante la Pasqua tornavano a Lipari, come del resto avveniva anche a Natale e “pi Muorti”, gli emigranti di “piccolo raggio”, quelli che residevano in Sicilia o nell'Italia continentale, era una specie di “prova generale “per l'estate. Si aprivano le case e si faceva “ u Pascuni”, un rito nel rito, di cui scriverò in una prossima puntata. Concludo facendo un paragone sulle senzazioni intime che le festività Natalizie producevano rispetto a quelle Pasquali. Il Natale era una festa quasi casalinga. Intimista cone si direbbe oggi. L'isolamento acuito dalle mareggiate inevernali, dal freddo, la senzazione più forte di insularità, conferivano alle feste natalizie un'aria più raccolta, mentre la Pasqua diventava quasi una festa non solo di “passaggio” come la Liturgia la prevede, ma un cambio di passo tra una Lipari sonnolenta ed intimista ed una Lipari già fervorosa dalle aspettative date dall'inizio della stagione che si profilava e che faceva aprire al mondo la nostra comunità dopo un periodo di isolato letargo.
Non so, forse saranno solo impressioni del vecchio dinosauro.