di Francesco Biancheri
Sono nato del lontano 1959 all’ospedale di Lipari, quando ancora questo si poteva fare. L’ospedale aveva soltanto il corpo centrale, quello “storico” il resto venne costruito dopo. La mia infanzia, pre scolastica trascorse tutta “supra i Timparuozzu”, dove mio padre gestiva un albergo .“ Il Nizza” , cosi chiamato , ritengo, in omaggio alle nostre origini Liguri. Era uno dei pochi alberghi esistenti, e quello meglio attrezzato, per un’epoca i cui i turisti erano “mosche bianche” .
I “competitors “ erano la “Locanda Salina nta chianata da Marina”, e l’Albergo “Vittoria” . Non c’era ancora “Hotel della Regione” e non ricordo se ci fosse già “l' Europeo” sul corso. “ Rocce Azzure “ non c’era di sicuro e forse neppure “ u Villaggiu Francisi” di felice memoria . Sta di fatto che la mia infanzia si svolse tutta tra l’andirivieni di turisti, e la vita alberghiera, fatta di un continuo trambusto e vivacità. Ho talmente introiettato questo modo di vivere che quando soggiorno in un albergo, in qualsiasi parte del mondo, mi sento subito a casa, e la mia segreta aspirazione è proprio quella di vivere in albergo.
Avevamo anche una casa a Diana "in facci e scuoli". Ma ci andavamo raramente, “ pi faricci pighiari aria”. A me sembrava un luogo triste, perché non c’era nessuno e non era un qualcosa di vivo, nella mia mente di bambino. Ci trasferimmo là nel 1965 anno in cui iniziai a frequentare la scuola Elementare “San Domenico Savio “ proprio di fronte casa (casa e putia sarebbe il caso di dire). Anzi, feci anche un anno di asilo, con la amabilissima maestra Cristina Cangemi di cui ho ancora un bel ricordo.
Il fatto che la scuola fosse di fronte casa, mi portava ad una certa pigrizia nell’alzarmi dal letto e prepararmi, ma ci pensava mia mamma a scandire i tempi, con frasi che adesso farebbero attivare tutti i sistemi di allerta del “telefono azzurro“ : “susisti disgrazziatu, ca a casa i currizzioni ti mannu” , oppure; “vaju na maestra e ti fazzu bocciari“ ed amenità simili, a cui seguiva pulizia con acqua bollente, ingozzamento "ca suppa” (zuppa di latte, portato da "Anciulu u lattaru du Chianiconti" ogni mattina, e "pani caliatu"). Preciso che per ingurgitarla occorreva un palato di amianto, di cui il buon Dio non mi ha dotato.
E finalmente a scuola, dove venivo accolto insieme agli altri bambini dal bidello Persiani e da un suo collega di cui con ricordo il nome . Il bidello Persiani ci appariva come una persona austera che incuteva quasi più soggezione dei nostri insegnati. Solo da grande ho avuto modo di apprendere ed apprezzare la storia che si celava dietro quell’uomo schivo e silenzioso, dagli spessi e scuri occhiali.
Un esempio per tutte le generazioni.
Credo che non sarebbe male dedicargli la scuola che ha servito per tanti anni e farne conoscere il pensiero e lo spessore morale. San Domenico Savio, sono certo non se la avrà a male. La scuola credo fosse stata costruita subito dopo la seconda guerra. Aveva (ed ha) una ispirazione architettonica del Razionalismo di epoca Fascista. Aule spaziose con grandi finestre, uffici ben dislocati, infermeria, mensa ecc. A quel tempo le classi erano divise per sesso: classi maschili e classi femminili. Le insegnanti erano prevalentemente donne, di maestri uomini, ricordo il maestro Monteleone ed il maestro don Vincenzo Cusolito (“don” perché sacerdote, e non per altri motivi).
Sono stato fortunato ad essere assegnato alla classe di don Vincenzo Cusolito, non perché il maestro Monteleone fosse meno bravo, ma perché era burbero con i piccoli, quasi militaresco. Ora siccome di militaresco ne era piena la casa, un po’ di “easy life” non guastava. I miei compagni di scuola erano in prevalenza figli di contadini o di pescatori, quindi, o “ sciinianu du Munti” o vinianu “i Supa a Terra“, luogo a quel tempo ritenuto infrequentabile dalla buona borghesia, benpensante e classista, come tutte le borghesie del mondo, al di qua ed al di là del mare.
E sì, perché la formazione delle scolaresche non era solo divisa per sesso, come avveniva del resto in tutte le scuole Italiane, ma guarda caso anche per classi sociali… Il classismo dei piccoli centri è una mala pianta dura a morire che crea soltanto danni spesso irreversibili alla collettività. Ma non voglio fare qui polemiche di sorta. Il nostro maestro ci sapeva fare, e devo essergli grato a vita perché ha impresso nel momento della formazione della coscienza e dell’intelletto quelle basi sui cui si è poggiata tutta la struttura etica e civile della mia vita.
Anche se era un sacerdote, non ci ha mai indottrinato, anzi se non ricordo male, credo che le lezioni di Religione ce li facesse Padre Agostino Lo Cascio, altro gigante della cultura. Il nostro maestro svolgeva la sua missione di insegnate con scrupolo e professionalità, dedicandosi a quella classe di figli di gente umile con grande amore. Dei miei compagni delle elementari ho perso di quasi tutti le tracce, tranne di un paio che dopo sessanta anni ho ritrovato.
Tutti abbiamo avuto da questo insegnante non solo la conoscenza scolastica, “di saper scrivere”, ma il gusto per la lettura, la curiosità per la storia e per la geografia, intesa come esplorazione far di conto”, intesa come esplorazione del mondo al di là del mare. Oserei dire che una parte della sua anima è rimasta dentro il mondo al di là del mare. Oserei dire che una parte della sua anima è rimasta dentro ciascuno di noi per tro ciascuno di noi per sempre. sempre. Ogni giornata scolastica terminava con una paginetta di narrazione, che ascoltavamo tutti in attento silenzio.
La scuola era diretta da una professoressa che ci incuteva proprio timore... Aveva contrattato la poliomielite ed a quel tempo le infelici vittime di questa patologia, avendo problemi motori, venivano dotati di protesi in acciaio che bloccavano le gambe con delle gabbie di acciaio, inoltre si sosteneva con un bastone assumendo una posizione rigidissima. Girava spesso nei lunghi corridoi della scuola, ed il solo vederla ci incuteva paura. Cosi come gli insegnati ci mettevano soggezione, additando gli amplificatori che erano in ogni classe e dicendo “la direttrice vi sente …” .
A quel tempo i genitori non “governavano” la scuola e lasciavano che gli insegnanti facessero il loro mestiere sulla disciplina, poi, belli che piccoli, non si discuteva e i brutti voti erano motivo di minacce feroci a casa, e non di valutazioni negative sull’operato degli insegnati. Io non ero un bambino particolarmente disciplinato e il povero maestro Vicenzino, perdeva la pazienza. Mi ricordo che una volta mi lanciò un intero mazzo di chiavi. Oggi un episodio del genere avrebbe messo in movimento Procure della Repubblica, e Ispettori Scolastici, Movimento dei diritti del Fanciullo, Associazioni dei Genitori, e chi più ne ha più ne metta.
A quel tempo raccontarlo a casa significava che la minaccia del “ ti chiudu to colleggiu o nta casa i currizioni“ poteva diventare una “solida realtà”. La ricreazione veniva fatta nel polveroso cortile della scuola, dove non era difficile inzaccherarsi a dovere e tornare a casa in condizioni impresentabili, ma erano momenti belli, quando al mattino, sempre nel cortile aspettavano l’arrivo di don Vicenzino e facevamo a gara a chi riusciva a portargli, sulla cattedra, la sua borsa di lavoro.
Don Vincenzino ogni mattina officiava “a Criesia u Puzzu” e poi si portava a scuola… Ricordi quasi da favola, visti con gli occhi di oggi, in un mondo che ha smarrito la poesia della scuola e delle piccole cose. La scuola era dotata anche di una infermeria, dove venivano eseguite le vaccinazioni “a valora “. Oltre che controlli alle tonsille ecc. Il medico scolastico era lo stesso che si occupava degli operai della Pumex e trattava noi bambini con la stessa grazia. Il giorno della vaccinazione “pa valora” era un giorno di autentico terrore. Venivamo inquadrati come soldatini e trasferiti in un grande stanzone che serviva da infermeria. A quel tempo non esistevano né gli aghi ultrasottili né altri strumenti che potevano alleviare il dolore dell’intervento. Venivamo quindi fatti oggetto di una vaccinazione abbastanza cruenta e dolorosa, anche a motivo della potenza del vaccino iniettato.
Vi lascio immaginare quali scene strazianti e di panico. Non paghi di questo ci sottoponevano anche alla asportazione delle tonsille, che era una specie di sport nazionale. Ora si evitano queste pratiche, ma a quel tempo erano una prassi salutista. ”Jo mi canziavu” e sarò di questo eternamente grato ad una amica di mia mamma, chi stava i casa "nto strittu i S. Anna" , la quale sentenziò davanti a noi due e in modo che con ammetteva repliche “le tonsille sono un dono di Dio e non si toccano” !!! San Vartulu sono un dono di Dio e non si toccano” !!! San Vartulu t’arringraziu !!!
Già cominciavo a temere per altre parti del corpo che vanno in coppia… t’arringraziu !!! Bene … Io stavo a scuola a “tempo pieno “ , così consumavo anche i pasti nel refettorio . Cibo buono devo dire, semplice e nutriente. Alla fine, ci davano anche un’arancia ed una tavoletta di cioccolata avvolta in una carta dove si potevano leggere dei fumetti degli eroi del West. Ora, a me degli eroi del West non è che me ne importasse tanto, ma della cioccolata si.
Essendo goloso sin dal concepimento, cercavo di accaparrarmi anche quelle degli altri compagni. Così mi inventai una forma di baratto. Accaparravo cioccolata e davo ai compagni le bellissime penne che trafugavo dalla scatola delle penne di mio padre. Da un punto di vista commerciale l’affare era sicuramente svantaggioso per me, ma il vizio ottenebra la mente ed espone il corpo a severe pene corporali, e nel mio caso al ritiro dal tempo pieno ed alla permanenza in solitudine a casa.
Così andavano le giornate a scuola, con semplicità e serenità. Con i genitori che affidavano i figli alle cure di paterni e materne insegnati, senza pretendere di imporgli il lavoro da svolgere. Con le classi dove un solo insegnate sapeva di tutte le materie, dove ho appreso tutte le materie, dove ho appreso il gusto della lettura, e quel senso di disciplina che nella vita ho spesso richiamato.
Cara scuola elementare, caro maestro e cari compagni, più il tempo trascorre, più mi siete vicini.