di Luca Bergamin
Restare a vivere sull’isola per tutto l’inverno, per l’intera durata di un lockdown che potrebbe continuare ancora un po’, quasi a voler prolungare l’estate perché a Vulcano, l’antica Hierà — dove secondo la mitologia si trovava la fucina di Efesto — la temperatura si aggira sempre attorno ai 20° anche in gennaio, è una scelta esistenziale e architettonica. Alcuni l’hanno compiuta all’inizio dell’autunno quando l’Italia si stava chiudendo a riccio. Hanno fatto la cosa giusta: la pandemia è rimasta al largo dall’isola che fa parte del Comune di Lipari e loro, i naufraghi del Covid, insieme ai vulcanari (come sono soprannominati i 300 abitanti effettivi e stanziali) hanno creato una comunità forte e coesa che da mesi sta vivendo come una grande famiglia allargata.
Si ritrovano al mattino al Porto per salutarsi e fare colazione al Bar Faraglione, che Giulio Bruno e Gaia Thoni tengono aperto anche nei mesi senza turisti (lei è approdata qui dal Nord per amore di lui e dell’isola), fanno acquisti dalla macellaia, la precisa e puntigliosa Patrizia Sciacchitano, e poi tornano nelle case eoliane bianche dalle terrazze e dai bisuoli sfacciatamente baciati dal sole per svolgere i doveri delle loro professione con la formula dello smart working, anche se talvolta devono spostarsi di qualche centinaio di metri per riacchiappare la connessione quando fa le bizze. «Questo però non cambia il mio giudizio positivo su questa esperienza abitativa più lunga del previsto — racconta Selene Zaniboni, avvocata quarantenne nel ramo dei fallimenti societari da settembre mai uscita da Vulcano —.
Ero stata previdente, portando con me la stampante, mentre sto ancora usando i vestiti estivi, ma questo non è nulla se paragonato alle difficoltà che sta attraversando Mantova, la mia città natale. Trascorrere anche le festività in questo luogo costituisce un’esperienza personale molto forte e intensa. Sono stata anche trovata da un cane stromboliano, Sally, che adesso vorrei impiegare nei soccorsi della Protezione Civile perché sta rivelando una grande capacità appunto nell’intercettare gli esseri umani. Camminiamo con persone che prima conoscevo meno e adesso fanno parte della mia vita, dopo il pranzo, sempre, non solo salendo al cratere ancora attivo, ma anche in zone solitamente poco battute per il caldo come Valle Roja, il Monte Saraceno, la zona del Gelso sino al vecchio faro, il Piano dove si cercano i funghi e le pigne e soprattutto si trova la serenità».
Col trascorrere delle settimane e con la circonferenza dell’isola che non si discosta dai suoi poco più che 20 km quadrati, i vulcanari originali e acquisiti trovano sempre nuovi itinerari da battere, dalle Grotte dei Rossi dove gli avi abitavano sino a Capo Grillo dove il mare pare uscire da una conchiglia: così si cimenta quella conoscenza e fiducia reciproca che in fondo sono la corrente delle vite a Vulcano. La signora Chantal Deflou, approdata casualmente qui dopo il ’68 parigino, conobbe un modo di vivere diverso dall’atelier di Chanel dove a quei tempi lavorava, così decise di aprire una gioielleria sull’isola, «ma i primi tempi li ho trascorsi in una tenda durante l’estate e in grotta nel primo inverno», racconta durante una delle infinite partite a carte del pomeriggio con l’amica Patrizia Calzolari, due donne ancora belle e soprattutto piacevoli. «Io sono personal trainer, insegno la ginnastica dolce ai miei coetanei — dice quest’ultima — ma qui non ce n’è quasi bisogno, facciamo tutti tantissimo moto e curiamo il morale, durante le feste, condividendo la bellezza». La sua casa si trova non lontano da quella che fu abitata da Mike Bongiorno e dalla villa amata da Anna Magnani.
Anche i vulcanari doc come Bartolo, che dispensa fiori e regali alle signore in cambio di un meritato gesto di affetto, e il pescatore Tindaro, sempre statuario sul suo pittoresco piccolo gozzo, fanno parte di questa comunità di locali ed expat, di cui è membro onorario e onorevole Giovanni Rosa, medico cremonese in pensione che qui da quaranta anni raccoglie erbe e dispensa consigli sulle cure naturali che studia e coltiva personalmente nel proprio orto. All’ingresso del Porto, il presepe tra la verzura fa passare la nostalgia per quello vivente che quest’anno non c’è stato: ci si consola però sgranochiando nacatuli eoliani, i pasticcini di frolla aromatizzati con Malvasia e ripieni di mandorle, zucchero, cannella e agrumi. E sopratutto beandosi della luce, quel tripudio di colori pastello che al tramonto ripaga di ogni solitudine, malinconia, scacciando la paura del buio profondo e della lunga pandemia.
VIVERE A VULCANO
Le case eoliane si caratterizzano per la propensione architettonica verso l’esterno che si manifesta attraverso la terrazza e i bisuoli, ovvero panche in cemento ricoperte o meno da piastrelle e maioliche colorate e da una curvatura agli estremi sui quali ci si siede per prendere il sole in inverno e guardare la luna nelle notti d’estate. Anche la vegetazione, tipicamente siciliana, ricopre un ruolo importante interagendo con la struttura bianca delle case. Si possono acquistare rustici e monolocali a prezzi inferiori ai 60 mila euro, e anche trilocali a 100 mila euro. Il sogno, possibile, di una casa tipica eoliana solitaria nella natura costa un po’ di più, intorno ai 350 mila euro.(corriere.it)