di Alberto Brambilla
I dati relativi ai redditi 2018 degli italiani, dichiarati lo scorso anno ed elaborati da Itinerari Previdenziali per la sua settima indagine conoscitiva sulle entrate fiscali e sul finanziamento del welfare, ci restituiscono l’ennesima fotografia di un Paese in cui narrazione e percezione contano più dei fatti e dei numeri. Una prima considerazione: su 60.359.546 cittadini residenti in Italia a fine 2018, i contribuenti dichiaranti sono stati 41.372.851; per contro, i paganti, cioè quelli che versano almeno 1 euro di Irpef, sono stati 31.155.444; 482.578 in più rispetto al 2017 ma ancora ben 434.622 in meno rispetto al massimo registrato nel 2011.
In altre parole, quasi la metà degli italiani, 29,204 milioni pari al 48,38%, non ha redditi e vive quindi a carico di qualcuno. Verrebbe da dire una percentuale atipica, degna di un Paese povero e non certo membro del G7, se non fosse che le stime su consumi, spese e possesso di determinati beni (telefonia, alcol, tabacco, gioco d’azzardo, etc.) vadano invece a smentire questa tesi e a puntare piuttosto il dito su un’elusione fiscale mai efficacemente contrastata in Italia, anzi, anche molto incentivata da una miriade di bonus e sconti assegnati a chi dichiara redditi bassi.
Ed ecco allora una seconda considerazione: rispetto agli ultimi cinque anni di analisi, sono comunque aumentati i contribuenti che presentano la dichiarazione, i versanti, i redditi dichiarati e l’ammontare totale di Irpef versata (al netto del bonus Renzi di circa 10,5 miliardi), nonostante siano rimaste quasi del tutto inalterate le aliquote ordinarie e le addizionali regionali e comunali.
Eppure, resta invece drammaticamente invariata, salvo piccoli scostamenti, la percentuale di contribuenti su cui grava quasi per intero il peso del fisco, altro dato cruciale su cui riflettere quando si affronta lo spinoso tema della riforma: infatti, il 13% dei contribuenti con redditi da 35 mila euro in su versa circa il 58,9% di tutta l’Irpef.
Non certo, il ritratto di un intero popolo oppresso dalle tasse di cui a volte si narra. Nel dettaglio, i contribuenti delle prime due fasce di reddito (fino a 7.500 e da 7.500 euro a 15mila) sono 18.156.997, pari al 43,89% del totale, e versano il 2,42% di tutta l’Irpef. A loro corrispondono 26,490 milioni di abitanti i quali, considerando anche le detrazioni, pagano in media circa 156,7 euro l’anno e, di conseguenza, si suppone anche pochissimi contributi sociali: con molte probabilità saranno dei futuri pensionati assistiti dalla collettività. Tra i 15.000 e i 20.000 euro di reddito lordo dichiarato, abbiamo invece 5,724 milioni di contribuenti, i quali pagano un’imposta media annua di 1.966 euro, che si riduce a 1.348 euro per singolo abitante: in questo caso, un importo sicuramente più alto ma comunque ancora insufficiente a coprire per intero anche il solo costo pro capite della spesa sanitaria (circa 1.886 euro).
Basterebbe in effetti un semplice confronto tra imposte versate e servizi ricevuti dallo Stato per far comprendere come molti italiani siano già a carico dei propri concittadini, senza che si arrivino a ipotizzare ulteriori redistribuzioni o riduzioni del carico fiscale a favore dei redditi più bassi. Questi primi tre scaglioni di reddito, ad esempio, versano in totale circa 15,4 miliardi ma ne ricevono «in cambio» per la sola sanità 50,3. Si potrebbe certo obiettare che pagano comunque anche imposte indirette, Iva e accise, ma è poi vero che oltre alla sanità andrebbero considerate molte altre spese statali, come quella per le infrastrutture, l’istruzione o per l’assistenza, in ovvia crescita dopo Covid-19.
Chi sostiene quindi il generoso welfare state italiano? Considerando il gettito Irpef al netto del bonus Renzi, per il 2018 pari a 171,63 miliardi tra Irpef ordinaria (l’89,93% del totale), addizionali regionali (7,17% del totale) e addizionali comunali (2,89% del totale), il grosso dell’Irpef è a carico dei contribuenti con redditi da 35 mila euro in su, seppur con degli evidenti distinguo. Partendo nell’analisi dagli scaglioni di reddito più elevato, sopra i 300 mila euro si trova solo lo 0,10% dei contribuenti versanti: 40.880 soggetti, che pagano il 6,05% dell’imposta complessiva. Lo 0,10% paga più del doppio del 43,89% degli italiani! Tra 200 mila e 300 mila euro si colloca invece lo 0,14 % dei contribuenti che versa il 3,06% di tutta I’Irpef, mentre con redditi lordi sopra i 100 mila euro c’è l’1,22%, dei contribuenti, che tuttavia pagano il 19,80% dell’Irpef. Sommando anche i titolari di redditi lordi da 55.000 a 100mila euro, si ottiene che il 4,63% dei contribuenti paga il 37,57% dell’imposta totale e, considerando i redditi dai 35.000 ai 55mila euro lordi, risulta che il 13,07% paga il 58,95% di tutta l’Irpef. Volendo infine ricomprendere anche i redditi dai 20 ai 35mila euro che tuttavia versano imposte non sempre sufficienti a pagarsi tutti i servizi, si arriva a una perfetta sintesi del sistema: il 42% dei contribuenti versa quasi il 91% di tutta l’Irpef, mentre il restante 58% ne paga solo l’8,98%.
E così, mentre i contribuenti che dichiarano più di 35 mila euro possono a ragione dirsi tartassati, non potendo neppure beneficiare di una qualche agevolazione a fronte delle imposte versate (ticket sanitari, trasporti, etc.), il 58% degli italiani con redditi sotto i 20 mila euro ne ha a disposizione una profusione, senza che nulla (o quasi) venga fatto per accertarne il reale bisogno. Risulta in effetti difficile credere che poco meno della metà del Paese possa davvero vivere con redditi tanto bassi. Ecco perché, al posto di lanciare proposte demagogiche e spesso destinate ad alimentare l’invidia sociale, sarebbe il momento di mettere in pista una politica fiscale che incentivi l’emersione, ad esempio attraverso il contrasto di interessi tra chi compra la prestazione e chi la fornisce.
Facciamo un esperimento: per tre anni tutti possono portare in detrazione dalle imposte dell’anno il 50% delle piccole spese domestiche - lavori idraulici, elettrici, edili, manutenzione auto e moto, - con fattura elettronica (incrocio dei codici fiscali), nel limite di 5.000 euro annui per una famiglia di tre persone, limite che aumenta di 500 euro per ogni ulteriore componente; nel caso di incapienza sono previste misure compensative (quota asili nido, mense ecc.). I risultati? Favorire l’emersione del nero in un Paese ad alta infedeltà fiscale e aiutare i redditi delle famiglie (spesso, va detto, bassi rispetto alla media Ue), aumentandone il potere d’acquisto e favorendo i consumi. Un cambiamento vero, fuori dai lacci della burocrazia e finalmente a favore dei nostri concittadini, soprattutto quelli onesti.(corriere.it)
L'INTERVENTO
di Giancarlo Baldanza
Ho criticato e critico l'ultimo DPCM del Presidente Conte, persona che stimo sin dall'inizio del Suo mandato.
Indubbiamente ne vedremo delle belle al momento della richiesta di indennizzo da parte di molti commercianti, liberi professionisti etc... quando dovranno presentare la dichiarazione dei redditi in subordine alla richiesta di risarcimenti per lockdown. Non nascondiamoci dietro un capello visto che non sono pochi quelli che in questi mesi di crisi dichiaravano di perdere migliaia di euro al giorno a causa delle chiusure forzate, ma poi dichiaravano 4000 euro di tasse l'anno o anche molto meno o addirittura niente.