di Ignazio Marchese
Nel 2014 la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti ha pronunciato condanne per danno erariale per un importo complessivo di oltre 39 milioni. Il dato è stato riferito da Luciana Savagnone, presidente della Corte dei conti, nella relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario che si svolge a Palermo a Palazzo Steri. Tra le condanne, molte riguardano casi di spreco di contributi comunitari, oppure contributi erogati a soggetti provi di requisiti. Le condanne più significative riguardano la formazione professionale. Il presidente ha parlato di "una grave anomalia del sistema", eccessiva spesa di fondi pubblici, "non tanto e non solo per formare lavoratori, ma per sostenere finanziariamente gli enti". "In definitiva - ha aggiunto - sembrerebbe trattarsi di una spesa fine a se stessa che rischia di trasformare lo scopo del settore, originariamente formativo, in uno scopo para assistenziale". La maggior parte delle condanne sono state emesse nei confronti di enti di formazione per aver distratto fondi per altri scopi.
"Le medesime considerazioni - ha aggiunto Savagnone - valgono anche con riferimento alle azioni di contrasto al fenomeno della corruzione, spesso agevolata dall'eccessiva burocratizzazione dell'attività amministrativa, nemica della trasparenza, che impone troppi passaggi procedimentali ed impedisce l'immediatezza di percezione dell'uso delle risorse economiche. Dal nostro osservatorio, che certamente è un osservatorio privilegiato passando sotto i nostri occhi gli atti di intere procedure di spesa ed in genere di utilizzo del denaro pubblico, ci accorgiamo, inoltre, che molte delle condotte tenute da pubblici amministratori e dipendenti, anche se produttive di danno per le pubbliche risorse, non arrivano a questo giudice né potranno mai essere sottoposte alla sua valutazione".
Nella sua relazione la presidente della Corte dei Conti aggiunge: "Il perseguimento dell'efficienza e dell'economicità dell'azione amministrativa è, infatti, come è noto, demandato al sindacato giurisdizionale della Corte dei conti solo nella sua fase "patologica" quando, con dolo o colpa grave, un soggetto legato da un rapporto di servizio con l'amministrazione arrechi all'erario un danno quantificabile in denaro, mentre la fase della spesa che potremmo chiamare "fisiologica" sfugge all'esame di questo giudice. Non c'è bisogno di sottolineare, in proposito, che la più alta espressione di uno stato democratico è il principio, peraltro costituzionalmente garantito, in base al quale gli amministratori devono potere essere liberi di scegliere gli obiettivi da raggiungere come di svolgere le proprie funzioni con la discrezionalità che il perseguimento di tali obiettivi impone, tuttavia, sempre più spesso, i risultati delle scelte effettuate non sono felici. Per questo motivo l'attività sanzionata dal giudice contabile non rappresenta che una piccola parte del complessivo depauperamento delle risorse economiche del Paese, costituito, quale immediata conseguenza del mancato raggiungimento di scopi prefissati, da sprechi e da inutile spendita di denaro, così come dalla mancata acquisizione di possibili ulteriori risorse".
Una miriade di società che sono costate lo scorso anno solo alle casse dello Stato 26 miliardi. Sono le partecipate pubbliche, imprese di un mondo ancora poco conosciuto e poco trasparente e che necessita al più presto di "un disegno di ristrutturazione organico e complessivo". E' la sollecitazione che arriva dalle Corte dei Conti. Nell'ultima rilevazione della Corte le partecipate sono in tutto circa 7.500: 50 dallo Stato e 5.258 dagli enti locali cui si sommano altri 2.214 organismi di varia natura (consorzi, fondazioni ecc...). Il numero è però "variabile, in quanto le società sono soggette a frequenti modifiche dell'assetto societario".
Per il loro peso finanziario e per la dimensione economica, gli enti partecipati - sottolinea il procuratore generale Salvatore Nottola nel suo giudizio sul rendiconto generale dello Stato - "hanno un forte impatto sui conti pubblici, sui quali si ripercuotono i risultati della gestione, quando i costi non gravano sulla collettività, attraverso i meccanismi tariffari". Il movimento finanziario indotto dalle società partecipate dallo Stato, costituito dai pagamenti a qualsiasi titolo erogati dai Ministeri nei loro confronti ammontava a 30,55 miliardi nel 2011, 26,11 miliardi nel 2012 e 25,93 nel 2013; il "peso" delle società strumentali sul bilancio dei Ministeri è stato di 785,9 milioni nel 2011, 844,61 milioni nel 2012 e 574,91 milioni nel 2013.
Un mondo così variegato e ricco di implicazioni "richiederebbe una assoluta trasparenza del fenomeno ma la realtà è diversa". L'assetto delle società è mutevole e soggetto a vicende che i magistrati contabili definiscono "complesse", con aspetti contabili che sono "spesso oscuri". Da qui la richiesta di porre mano "ad un disegno di ristrutturazione organico e complessivo, che preveda regole chiare e cogenti, forme organizzative omogenee, criteri razionali di partecipazione, imprescindibili ed effettivi controlli da parte degli enti conferenti e dia a questi ultimi la responsabilità dell'effettivo governo degli enti partecipati".
Nel mare magnum delle partecipate pubbliche (totalmente o in parte), sono quelle che dipendono in qualche modo dagli enti locali a fare da padrone. La Corte dei Conti ne ha contate 5.258. Ma un terzo di queste, sottolinea il procuratore generale presso la Corte, Salvatore Nottola, nel suo giudizio sul rendiconto generale dello Stato per il 2013, è in perdita.
---Il buco delle società partecipate del Comune di Catania con sprechi e compensi fuori controllo agli amministratori quantificati in un milione di euro ha dei responsabili nel defunto ex sindaco Umberto Scapagnini e nell'avvocato Mario Arena all'epoca dei fatti rappresentante legale dell'assemblera dei soci di InvestiaCatania. Questa la decisione della Corte dei conti che, in sede di appello, ha ribaltato la sentenza di primo grado che aveva assolto 7 ex amministratori comunali.
Il collegio presieduto da Pino Zingale ha infatti riconosciuto la responsabilità di Scapagnini e Arena condannando quest'ultimo a versare 292 mila euro. E' statio così accolto il ricorso del procuratore generale, stabilendo un danno erariale di 583 mila euro per compensi e nomine in esubero al consiglio di amministrazione. Danno dibiso in parti uguali fra Scapagnini e Arena: prendendo atto del decesso di Scapagnini e mancando i presupposti per procedere nei confronti degli eredi, i giudici contabili ne hanno imputato solo metà all'avv. Arena. Nel dettaglio, per la Corte dei conti oltre 500 mila euro di danni erariali sono stati provocati da Asectrade, gli altri da InvestiaCatania, società che aveva un organico di quattro persone e un Cda di sette persone con compensi per i componenti lievitati negli anni: da una cifra iniziale di 45 milioni di lire annui per il presidente e 24 milioni di lire per i consiglieri si era poi arrivati a 100 mila euro per il presidente e 30 mila per i consiglieri.