di Massimo Ristuccia
Terremoto del Belice, tragici ricordi le immagini sono tratte da Epoca n. 905 del 1968 numero quasi del tutto dedicato al terremoto del belice.
Interessante commento di Gennaro Leone testimonianza di solidarietà:
"Ci sono stato con la preside Isa Conti Eller Vainicher trasportati da un camion della Provincia con tutto quello raccolto a Lipari (soldi e beni di prima necessita'). Tutto venne consegnato al popolo".
Interrogazioni parlamentari. Oggi pezzi di storia, ON. SAIJA Francesco Proclamato il 26 aprile 1948 Termine del mandato 24 giugno 1953.
28.11.1949.
LA STAMPA GIOVEDI 13 GENNAIO 1966 - CRONACA TELEVISIVA – CARLO ROSSELLI IN “”STORIA SOTTO INCHIESTA”” RIEVOCAZIONE COMMOSSA E DRAMATTICA DELLA FUGA DA LIPARI VERSO LA LIBERTA’.
Nicola Adelfi CRONACA TELEVISIVA Fuga da Lipari verso la libertà Commossa e drammatica rievocazione di Carlo Rosselli in « Storia sotto inchiesta », alla sua terza puntata, ha confermato di essere un'ottima rubrica, realizzata con scrupolo, di tono altamente civile. Il capitolo di ieri sera era dedicato ad un famoso episodio della lotta contro il fascismo: la fuga dal confino di Lipari di Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Fausto Francesco Nitti.
Il servizio si è mosso su due linee direttrici, entrambe chiare e precise: da una parte la ricostruzione della vita al confino, dall'altra la rievocazione della grande figura di Carlo Rosselli, l'animatore del movimento « Giustizia e Libertà >. L'autore della trasmissione, Leandro Castellani, e il regista Marco Leto si sono recati a Lipari che è la principale isola del gruppo delle Eolie, a nord-est della Sicilia. Qui, circa quarant'anni or sono, il fascismo esiliò alcuni dei suoi più irriducibili oppositori. Non è stato facile per Castellani e per Leto ricordare attraverso le immagini quell'ambiente di un tempo triste e lontano: non esistono fotografie, men che meno, ovviamente, esistono documenti cinematografici e le testimonianze sul posto (lo sappiamo per esperienza diretta) sono rarissime e incerte.
Perché il racconto televisivo si è basato sulle dichiarazioni del sagace e coraggioso organizzatore dell’evasione. Gioacchino Dolci, e di uno dei tre fuggitivi, Nitti; su visione di una Lipari deserta, prevalentemente notturna, con i vicoli male illuminati, le porte sprangate, le lunghe scalette che nell’ombra Perciò il racconto televisivo si è basato sulle dichiarazioni del sagace e coraggioso organizzatore dell'evasione, Gioacchino Dolci, e di uno dei tre fuggitivi, Nitti; su visioni di una Lipari deserta, prevalentemente notturna, con i vicoli male illuminati, le porte sprangate, le lunghe scalette che nell'ombra discendono alla scogliera; e su brani di diario di Carlo Rosselli detti da una voce fuori campo. Come si vede, il materiale « spettacolare » era quasi nullo.
Eppure i due autori, a parte qualche preziosità di inquadratura e "qualche eccesso di commento musicale, sono riusciti a rendere con efficacia l'atmosfera grigia e tormentosa, fatta di tenui speranze e di interminabili e snervanti attese, che opprimeva i lenti giorni dei confinati: giorni in cui l'unica nota positiva era la solidarietà, l'amicizia, l'affetto fra gente accomunata dall'ardente desiderio di rivedere l'Italia libera. Il documentario è divenuto particolarmente drammatico, di ritmo incalzante, quando Dolci, con molta semplicità, ha narrato le avventurose fasi dell'impresa: la navigazione perigliosa su un vecchio motoscafo, con mare agitato e intralci burocratici, da Nizza sino a Tunisi; la corsa da Tunisi a Lipari per giungere in orario all'appuntamento; l'imbarco, sotto il naso degli sbirri, di Rosselli, Lussu e Nitti; e poi la fuga, il volo verso la Francia e la libertà. Una sequenza tesa, giocata assai bene, dove la rigorosa fedeltà al fatto storico si accordava con una forte carica di «suspese ».
Contemporaneamente è venuta fuori, via via, dalla lettura del diario e dalle testimonianze degli amici, l'indimenticabile personalità di Carlo Rosselli: un uomo, anzi un giovane di 28 anni pieno di coerenza, di dignità, di forza morale che aveva detto di no alla dittatura e alla sopraffazione ideologica, che non aveva rinunciato, come tanti, alla lotta per rifugiarsi in un assenteismo di comodo o, peggio, per piegarsi al compromesso. Il servizio aveva una tragica chiusa: i funerali, in Francia, di Rosselli e di suo fratello Nello trucidati da sicari fascisti.
Carlo era appena tornato dalla Spagna dove aveva combattuto nelle file dei repubblicani, contro Franco. Le immagini ci riportavano infine a Lipari, alle acque che avevano visto allontanarsi il motoscafo in quella notte del luglio 1929: una notte — rilevava il documentario — che era veramente da ricordare fra le date della storia italiana perché segnava uno dei primi inizi della Resistenza.
(Il documentario fu proiettato a Lipari nel luglio del 2009 nei giardini del Centro Studi in occasione degli 80 anni della fuga da Lipari di Rosselli, Nitti e Lussu).
Tra i primi, “temerari”, studiosi, fotografi dello Stromboli, va incluso, sicuramente, Frank Alvord Perret, ingegnere inventore e successivamente vulcanologo statunitense.
Una breve storia della sua vita:
Nato a Philadelphia il 2 agosto del 1867 da famiglia agiata, sin da piccolo provò interesse per le scienze, compiendo così studi di ingegneria e laureandosi molto presto. Affascinato dagli sviluppi dell'allora nascente energia elettrica, mise a punto e brevettò, intorno al 1895, un modello di motore elettrico per le industrie che da lui prese il nome, e che gli diede grande fama. I suoi studi in questo campo gli valsero le attenzioni del grande Edison, di cui divenne assistente per qualche tempo. Sempre con l'elettricità, fabbricò un primo modello di auto elettrica, i cui esiti, però, non furono soddisfacenti.
Ma il troppo lavoro lo porta ad avere una forte crisi depressiva bloccando tutta la sua attività.
Il suo medico gli prescrive un completo cambiamento di ambiente e di ritmo di vita, qualche luogo solare e riposante. Il suo medico gli consiglia di andare a Napoli, nella nell’aria mediterranea, tra caldo e profumi di agrumi.
Qui la sua vita ha una svolta, Perret decide di diventare un vulcanologo, una carriera per la quale si sente improvvisamente predestinato.
Egli non ha alcuna formazione in geologia, ma conosce bene fonti e l’uso dell’energia, della cinetica e della chimica.
A dicembre del 1903, vivendo con una piccola rendita delle “royalties”, che gli derivano dall’invenzione dei suoi motori elettrici, Perret prende casa a Torre del Greco una città di 30.000 abitanti confinante con Resina (ora Ercolano) nel golfo di Napoli, due delle numerose città intorno al Vesuvio.
Perret visita e studia il Vesuvio diverse volte vedendo tutto il repertorio del comportamento del vulcano.
Inventa un diagramma Circolare tascabile, ancora in uso, che con pochi tratti fotografa la situazione dei parametri dei vari fenomeni vesuviani (esplosioni, effusività, frammenti, sismicità, elettricità, periodi di solfatara, degradazione)…………………..
L’impegno di Perret, la sua creatività e inventiva, impressionano Matteucci che, alla fine del 1905, gli offre un posto non pagato di “Assistente Onorario dell’Osservatorio Reale” e Perret ormai appassionato alla vulcanologia e presagendo eventi importanti ed eccezionali del Vesuvio, accetta con grande entusiasmo…………………………………….
Perret diventa famoso nel mondo vulcanologico come fotografo. Raggiunge vulcani situati in diverse zone del mondo, sfidando le eruzioni e con pazienza riesce a cogliere il momento migliore per fotografare i fenomeni vulcanici.
Oltre il Vesuvio ed altri vulcani, come detto, visita in diverse occasioni lo STROMBOLInel 1907, 1912, 1915 ecc.
Ha un ottimo rapporto con gli altri studiosi italiani fatto di stima e cordialità. Anche con le autorità ha buon rapporto anche se durante il periodo difficile della Grande guerra, lui straniero viene sospettato per il frequente uso della macchina fotografica……………………..
Nel 1940 Perret, ormai malandato per la sua defatigante vita, ritorna a New York e quando muore di infarto il 12 gennaio del 1943 molti giornali si ricordano di lui e lo stesso Curato di Saint Pierre pronuncia un toccante e lungo sermone a Perret che è di religione Protestante.
ALCUNI SUOI SCRITTI E GIORNALI CHE PARLANO DI LUI A STROMBOLI:
• post card 02.06.1919.
• F.A. PERRET ASCENDS STROMBOLI VOLCANO; Brooklyn Expert Believed to be Crazy by Frightened Natives. MEDAL FOR HIS BRAVERY Italian Admirers Recognize the Heroism of Matteucci and His Companions on Vesuvius.
• STROMBOLI, Lipari Islands, May 12. -- Frank Alvord Perret of Brooklyn, N.Y., Assistant Director of the Royal Observatory of Mount Vesuvius, has arrived here, and been cordially received by the authorities.
• Notes on the eruption of Stromboli, April, May, June, 1907.
• Report on the recent great eruption of the volcano "Stromboli" nel 1913.
• The new york times 13 may 1907.
• The new york times May 16, 1907.
• The Donaldsonville chief., January 30, 1909.
• The Times Dispatch., June 16, 1907.
• The American journal of science v. 192 1916.
• Volcanological observations Perret, Frank A. (Frank Alvord), 1867-1943.
Ricordiamolo il porf Franco Scoglio e speriamo che nella sua isola gli si dedichi qualcosa!
L'Unità 16 gennaio 1994.
VIDEO
Leonardo Sciascia: mi permetto di ricordarlo con queste parole scritte per un libro di Folco Quillici:
……Certo è, comunque, che la cultura siciliana ha avuto sempre come materia e come oggetto la Sicilia: non senza particolarismo e grettezza, qualche volta; ma più spesso studiando e rappresentando la realtà siciliana e la “sicilianità” (la “sicilitudine” dice uno scrittore siciliano d’avanguardia) con una forza, un vigore, una compiutezza che arrivano all’intelligenza e al destino dell’umanità tutta.
E bastino i nomi di Michele Amari e di Giovanni Verga; di Isidoro La Lumia, Luigi Capuana, Federico De Roberto, Alessio Di Giovanni; di Luigi Pirandello; di Francesco lanza, Nino Savarese, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Giuseppe Tomasi di Lampedusa; di Salvatore Quasimodo, nella cui poesia il tema dell’esilio (l’esilio che generazioni di siciliani, per sfuggire alla povertà dell’isola, hanno sofferto e soffrono) si lega amaro e dolente, ma splendido nella memoria dei luoghi perduti , a quello del poeta arabo Ibn Hamdis, siciliano di Noto.
E questa può anche essere una chiave per capire la Sicilia: che alla distanza di più che otto secoli un poeta di lingua araba e un poeta di lingua italiana hanno cantato la loro pena d’esilio con gli stessi accenti: “Vuote le mani, dice Ibn Hamdis, ma pieni gli occhi del ricordo di lei”.
Nella foto Leonardo Sciascia a Lipari nella saletta delle Lettere con Nino Paino, direttore del Centroi Studi quando ancora era capellone...
DA TORINO IN LINEA DANIELE SEQUENZIA
di Daniele Sequenzia
Leonardo Sciascia - Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989)
L’8 gennaio 2021, la Fondazione Leonardo Sciascia ha messo on line la prima di tante manifestazioni organizzate nell’anno in cui si celebra il centenario della nascita del grande scrittore siciliano. In questa occasione, verrà inaugurato un monumento commemorativo, realizzato da Francesco Puma, e verrà presentata la cartella che la Fondazione Sciascia ha realizzato in collaborazione con la Pinacoteca Alberto Martini, con un’acquaforte del grande artista di Oderzo, che fu uno dei precursori del Surrealismo, dal titolo Le tre sirene e un testo di Leonardo Sciascia.
Innovativo e pugnace Leonardo Sciascia profondamente convinto dell’urgenza di rinnovare la sua Sicilia, partecipa direttamente alla vita pubblica, si impegna in un appassionato lavoro di comprensione e di interpretazione di eventi significativi della vita del Paese (La scomparsa di Majorana, L’affaire Moro).I suoi interventi giornalistici sono polemici e spesso controcorrente (si ricordano in modo particolare quelli sulla mafia, sulla lotta alla mafia e quelli in polemica con Nando Dalla Chiesa, raccolti nel volume, A futura memoria (se la memoria ha un futuro).
Questo suo interventismo polemico sostenuto da una forte tensione etica, in un contesto profondamente marcato da corruzione e servilismo a tutti livelli, dalla giustizia malata, dove la corruzione diventa sistema legale , grazie all’imbarbarimento politico e sociale di una classe dirigente inadeguata, gli procura consenso, ammirazione e stima, ma anche una diffusa e astiosa insofferenza.. “Di me come individuo, individuo che incidentalmente ha scritto dei libri vorrei che si dicesse: «Ha contraddetto e si è contraddetto», come a dire che sono stato vivo in mezzo a tante «anime morte…»
INFO: Fondazione Leonardo Sciascia – Racalmuto (AG)
Ritaglio di giornale di Messina con i primi nati del 1964 con il sottoscritto!
“DITEMI SE CASA MIA STA ANCORA ALL’ERTA” 1954.
Così ha telegrafato, da Melbourne, un emigrante di Salina, chiedendo ansiosamente notizie sul terremoto delle Eolie. L’incubo della “morte bianca” cominciò la notte del 24 dicembre, cui seguì una settimana di passione, fino all’alba del giorno di San Silvestro.
di Luigi Forni
La “psicosi tellurica” è un male che non uccide. Ne ha scorto le tracce terrificanti sui volti degli abitanti di Salina, che è stata l’isola maggiormente provata dagli sconvolgimenti sismici verificatisi nell’arcipelago delle Eolie. Psicosi tellurica vuol dire terrore costante di vedere la terra spalancarsi sotto i piedi, vuol dire ossessione di sentirsi rovinare addosso le mura circostanti. Questo fenomeno, tristemente noto agli esperti di geofisica, è legato al presentimento della morte cagionata dal terremoto, una morte viscida e bianca che striscia nel sottosuolo e quando affiora è troppo tardi per combatterla, ha già ghermito intere famiglie e distrutto le case e gli averi.
L’incubo della “morte bianca” fece uscire dalle case, svegliandoli di soprassalto nella notte del 24 dicembre, uomini e donne della frazione di Pollara, che si diressero in mesti cortei verso il mare, sospingendo e abbracciando, o addirittura issando sulle teste, bambini che di tenero palesavano ormai soltanto l’età, rinsecchiti come spogli, con gli occhi lustri e le guance smorte. Ancora ottanta volte la terra sull’isola avrebbe tremato, nel volgere di sei giorni, devastando le mura e i vigneti coltivati a terrazze, ma per fortuna sempre rifiutandosi di inghiottire vittime umane.
Al primo allarme seguì una triste, drammatica veglia di Natale, punteggiata dai rintocchi cupi e radi provenienti dalla chiesa di Santa Marina. Nelle case vuote , i lumini a olio allungavano sottili lingue di chiarore fumoso sulle immagini dei santi attaccate alle pareti. Quando fu mezzanotte le famiglie all’addiaccio i prostrarono sul tufo minaccioso per celebrare la nascita del Cristo. Il mare mugghiava intorno, mentre un vento astioso, ostinato, spazzava i versetti delle litanie intonate a gran voce da quelle moltitudine dolorante. Anche i centri di Malfa, Rinella, Leni e Lingua erano stati sgomberati, e oltre quattrocento persone si erano asserragliate nelle grosse baracche costruite alla periferia dei paesi, in previsione di siffatte evenienze. Immersa in una angosciosa prova di pazienza, la gente attendeva che le viscere dell’isola, finalmente placate, zittissero. Ogni tanto un boato più forte lacerava l’aria, accompagnato dai tonfi sordi provocati dalle crepe che si aprivano sulle pareti delle case lontane. Allora le donne smettevano per un attimo di pregare, e tutti si ponevano in ascolto, trepidanti. Nello sguardo di ciascuno si leggeva una muta, disperata domanda: a chi, stavolta, sarà toccato? Chi di noi, tornato il sereno, troverà sepolte sotto cumuli di calcinacci le sue cose e i ricordi più cari? Pareva di essere tornati al tempo degli allarmi aerei, quando le parenti delle grotte riuscivano spesso a salvare la pelle dei rifugiati ma non erano mai così massicce da rendere impercettibile la catastrofe che arroventava la terra d’intono.
Il movimento tellurico, inesorabile ma diluito nel tempo, imprimeva le stimmate del dolore sui volti dei pescatori isolani, abituati a combattere a viso aperto un mare infido quanto si vuole, ma sempre chiaro nei suoi scatti d’ira. Tale considerazione dovettero fare le molte famiglie di Salina che presero il largo appena delineatosi il pericolo del terremoto, raggiungendo i più ospitali approdi di Milazzo o di Lipari. Alcuni preferirono rimanere in vista della propria casa, e si spinsero al largo su barche e velieri, sostando per giorni e notti sulla distesa delle acque, fino a quando l’istinto o le altrui esortazioni non suggerirono loro di tornare.
I soccorsi inviati da Palermo e da Messina giunsero solleciti a soddisfare necessità improrogabili: viveri, tende e coperte, per gente che aveva abbandonato il focolare senza nemmeno trovare il tempo di chiudere l’uscio alle sue spalle. In questi giorni cominciano a giungere a salina anche i primi soccorsi, spediti via aerea dall’estero. Sono le testimonianze di un inesausto amore per la terra d’origine, espresse dagli emigranti eoliani, uomini volitivi che appena possono si affrettano a cercare fortuna in località meno ingrate, talvolta in continenti lontanissimi (notevole il flusso migratorio verso l’Australia), oppure anche in Sicilia o nella Penisola. E con i pacchi dono sono giunti a valanga i telegrammi dall’estero, che richiedono più particolareggiate notizie in merito alla sciagura.
Da Melbourne, l’emigrante Salvatore Nicosia ha inviato un cablo così concepito: “Ditemi se casa mia sta ancora all’erta”. La particolarità comune a tutti gli emigranti dell’arcipelago è infatti quello di andarsene nel Mondo nuovo o in questo nuovissimo, come se si recassero a comprare un chilo di zucchero o un pan di burro nella vicina Milazzo, lasciando ogni suppellettile al suo posto, le sedie in bell’ordine intorno alla tavola e perfino il pane affettato nella madia. Questa usanza vuole esprimere fiducia nei compaesani, che cureranno con scrupolo gli interessi dell’assente, ma anche fiducia in più o meno prossimo ritorno. Basta spiare attraverso i vetri delle superstiti case deserte, tozze e basse, per intendere che forse i partenti hanno ragione nel regolarsi in tal modo, chi li conosce conserverà sempre la speranza di ritrovarli assisi dinanzi al desco.
Al dottor Giuffrè, sindaco di Santa Marina, e ai suoi colleghi, primi cittadini degli altri comuni di Salina, tocca ora il compito di rassicurare i fratelli lontani: dopo avere sussultato per una settimana, l’isola ha ripreso a vivere e i lavori di restauro sono stati intrapresi, dovunque c’è un tetto divelto, una parete sgretolata o una falla da tamponare.
Le case di Pollara, un’ottantina, sono le più seriamente danneggiate; fragili perché costruite con impasti di lava e di fango, esse hanno ceduto, già erose nelle fondamenta dai precedenti fenomeni sismici. Ma risorgeranno presto: qui la lotta degli uomini contro l’avversa natura non ha soste, affrettandosi gli uni a ricostruire e restaurare ciò che l’altra seppellisce e danneggia. E fino a quando la morte viscida del sottosuolo si limiterà ad inghiottire le mura, i mobili e le travi, si potrà esser certi che disperata volontà degli uomini continuerà ad avere il sopravvento.
La “morte bianca” di Salina rientrò nel suo guscio la mattina del 31 dicembre, in tempo utile perché gli abitanti dell’isola salutassero in pace il nuovo anno. All’Alba di San Silvestro le mulattiere si risvegliarono, percorse da un traffico vivace; il Vallonazzo, che si sprofonda tra il Monte dei Porri e la Fossa delle Felci echeggiò dei pittoreschi brindisi alla voce, che si rincorrevano da un casolare all’altro.
Come accennato nella rubrica con Gennaro Leone due immagini della colonia marina di Vulcano in momenti diversi con e senza “”muretto esterno” tratte da Parasiliti Le Isole Eolie e l'Industria della Pomice 1935 e cartolina riportata anche in un libro di Renato De Pasquale.
Riproponiamo una fotografia, dai ricordi di famiglia, immagine di gruppo, della colonia marina del Patronato Scolastico di Lipari nell’isola di Vulcano del 1949.
Un breve cenno sui “PATRONATI SCOLASTICI”:
Nati verso la fine del XIX secolo su impulso di privati con lo scopo di incentivare la scolarizzazione anche attraverso l'erogazione di contributi, con legge 4 giugno 1911, n. 487 "Riguardante provvedimenti per la istruzione elementare e popolare" e il relativo regolamento applicativo, approvato con regio decreto 2 gennaio 1913, n. 604 i patronati scolastici vengono formalmente istituiti in ogni comune per fornire assistenza agli alunni delle scuole elementari attraverso l'istituzione della mensa scolastica, la concessione di sussidi per calzature e vestiario e la distribuzione di cancelleria e materiale didattico.
Una prima riorganizzazione dei patronati scolastici viene compiuta attraverso l'approvazione del testo unico sulla pubblica istruzione approvato con regio decreto 5 febbraio 1928, n. 577 e del relativo regolamento generale riguardante i servizi dell'istruzione elementare, portato dal regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297. Dopo la costituzione della repubblica italiana, con il decreto legge 24 gennaio 1947, n. 457 e con la successiva legge 4 marzo 1958, n. 261 viene ridefinito il nuovo ordinamento dei patronati e dei loro consorzi. La normativa viene completata con il regolamento di esecuzione della legge 4 marzo 1958, approvato con d.p.r. 16 maggio 1961, n. 636.
L'art. 2 della legge del 1958 prevede che "il Patronato ha personalità giuridica di diritto pubblico e, al fine di superare le condizioni di natura economico-sociale che rendono difficile l'adempimento dell'obbligo e che anche possono gravemente compromettere il rendimento scolastico, fornisce gratuitamente agli alunni bisognosi libri, cancelleria, indumenti, medicinali; organizza la integrazione alimentare anche sotto forma di refezione scolastica a favore degli alunni sopradetti; istituisce e gestisce dopo-scuola, inter-scuola, ricreatori, colonie; favorisce l'assistenza igienico - sanitaria scolastica e cura ogni altra iniziativa che integri l'azione educatrice della scuola".
Dal regolamento esecutivo della legge del 1958 si rilevano, tra l'altro, le attribuzioni e i compiti degli organi istituzionali preposti all'amministrazione del patronato, che sono il presidente, il consiglio di amministrazione, la giunta esecutiva e il segretario-direttore.
I patronati scolastici e i loro consorzi vengono soppressi in forza dell'art. 4 del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 relativo al "Trasferimento e deleghe di funzioni amministrative dello Stato": le funzioni di assistenza scolastica con i relativi servizi e beni sono attribuiti ai comuni.
Lipari, Buon Compleanno a Ginevra Vadalà per i suoi 16 anni. E complimenti anche a Mamma e Papà...
LA TOMBOLATA
Nel periodo delle feste natalizie dall’otto dicembre sino all’epifania si organizzava in un ex cinema di Canneto “il pidoccchietto” , forse allora soprannominato così perché era un pò piccolo, una tombolata “paesana” potremmo dire. Quel locale era diventato ormai la sede di un gruppo folcloristico, di cui io sono onorato di avervi fatto parte, dove ci si ritrovava per le prove o dove gli appartenenti al gruppo, di tutte le generazioni compreso i dirigenti più adulti, organizzavano altre cose come appunto la tombolata. In fondo alla sala c’era un piccolo palco con sopra il tabellone dei numeri e tavola e sedia per chi doveva chiamare i numeri estraendoli dal “sacchetto” di stoffa.
Lunga la sala erano sistemati in senso verticale dei lunghi tavoli, in realtà ricavati da tavoloni di legno appoggiati a dei cavalletti, rivestiti di cellophane, altrettanto per i sedili tranne qualche eccezione tipo singola sedia o ex sedie del cinema. Vi era tutta la preparazione iniziale, ci si riuniva qualche giorno prima per accertarsi della disponibilità di tutti, si stabilivano quelle poche regole organizzative e dopo la parte materiale, cioè la sistemazione dei tavoli con tanto di discesa in uno scantinato ed aiuto di un falegname per qualche ritocco. I premi venivano attribuiti mediante dei punti che le persone accumulavano in base alle vincite fatte nelle serate (terno, quaterna cinquina, tombola), alla fine di solito per l’epifania. I premi erano di vario genere, piccoli elettrodomestici, prodotti alimentari ecc. Di solito venivano presi da commercianti del paese con l’impegno di pagarli alla fine della tombolata.
Dalle 20.00 circa ogni sera iniziava questo appuntamento, gli organizzatori ci trovavamo un po’ prima, arrivavano intere famiglie, ragazzi, persone adulte qualche nonna, c’era chi era un “cliente” abituale, chi era di passaggio, chi veniva da Lipari o dalle altre frazioni. In un clima allegro tra la confusione, le urla di uno di noi che chiamava i numeri ad ogni vincita, il commento al numero uscito sia da parte del banditore dei numeri, con tanto di microfono sia da parte delle persone in sala, chi pronunciava la frase classica di ogni sera “arriminamu” ( rivolto verso il banditore lo si invitava a smuovere i numeri dentro il sacchetto perché probabilmente non gliene era uscito nessuno che avesse nelle sue cartelle).
C’era chi scherzosamente già al primo numero urlava la vincita e chi si beccava i commenti degli altri perché aveva accumulato tutte le vincite in successione. Ricordo che durante la serata era facile che qualche abitante della zona si rivolgesse a noi per invitare a spostare la macchina che qualcuno aveva parcheggiato di fronte al cancello della propria abitazione. Un classico della serata era l’intermezzo, il banditore si trasformava in presentatore, estraendo a sorte una persona in sala, grande o piccolo non aveva importanza, si faceva un indovinello o un giochetto e se era fortunato vinceva un piccolo premio con nel frattempo, ovviamente, battute e suggerimenti vari da parte del resto dei presenti.
Sul palco a presentare o per meglio dire a chiamare i numeri ogni tanto c’era qualcuno giovane ma di solito era una persona adulta, uno dei nostri dirigenti, il Signor Tanino. Alla fine dopo un po’ di fatica ma tutto sommato divertendoci si arrivava alla serata finale, c’era chi rimaneva più o meno soddisfatto dei premi ma intanto si erano trascorse delle serate tenendo unito un gruppo di persone di tutte le generazioni che aveva un’alternativa in più su come passare la sera in quei giorni di festa.
NOTIZIARIOEOLIE.IT
Da mie ricerche ho trovato queste foto riferite al V Congresso Internazionale di Archeologia Sottomarina che si svolse dal 26 al 30 giugno 1976 a Lipari.
Ringrazio la Sig.ra RICHEZ dell’archivio “DRASSM” del Ministero della Cultura francese per la concessione alla pubblicazione a solo scopo di studio e divulgativo.
Nella seconda foto è presente anche il direttore del Notiziario Bartolino Leone già impegnato nell'attività giornalistica...
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L'ALBUM DEI RICORDI
---Con grande soddisfazione volevo portare a conoscenza che ho trovato il filmato, credo inedito, del 1961, “Avventura a Lipari”, con scene del club mediterranee, di Lipari e di pesca subacquea. Ho acquistato il video restaurato e sarà un piacere poterlo mostrare alla prima favorevole occasione.
L' Incrociatore Bolzano in bassi fondali presso l'isola di Panarea dopo essere stato silurato il 13-08-1942 dal sommergibile inglese Unbroken. "Notare la presenza delle strisce di identificazione aerea presenti anche a poppa"
Le foto sono tratte dal libro "La 173° Sq. RST nella Seconda Guerra Mondiale di Giancarlo Garello - Giorgio Apostolo Editore.
Ho scoperto che presso la Cineteca di Bologna, che già in passato "restaurò" il film/documentario BIANCHE EOLIE, esistono questi due documentari in pellicola 35 mm., ovviamente renderli visibili al pubblico con i moderni strumenti e relative autorizzazioni ha un costo, se può interessare ad Enti, Associazioni, Centri ecc.:
ISOLE EOLIE (regia MARIA ANGIOLA FARANDA, 1954, 9' pellicola 35 mm.)
Visto di censura: Tutti i giorni nei porti principali delle isole Lipari, sbarcano gruppi di gente da tutte le parti del mondo, che vengono qui a passarvi qualche ora, o l'intero periodo delle loro vacanze. Invece da Piscità la gente parte in cerca di lavoro. E le donne sono rimaste sole al paese insieme ai bambini. La vita alle isole è dura e la fonte di maggior guadagno sono le cave di pomice. Però anche nelle isole la vita ha, alle volte, toni allegri nei giorni di festa.
CINEMONDO 357 (1983) 8 min. pellicola 35 mm.
Descrizione: La bandierina tricolore di un traghetto, in corsa sul mare, sventola; vedute della costa dell'isola di Vulcano; un motoscafo arriva a Vulcano; giovani sul pontile di attracco; una targa della centrale termoelettrica dell'Enel a Vulcano, installata il 1a agosto 1974; l'edificio della centrale termoelettrica; un pulmino dell'Enel lungo una strada sterrata sull'isola di Vulcano; veduta di campi e case sull'isola di Vulcano; vedute dell'Hotel Faraglione a Vulcano e della piscina; l'ingresso della Banca agricola dell'Etna; l'insegna in ferro battuto dell'Hotel Garden a Vulcano; un turista, all'esterno di un gruppo di casette, scatta fotografie; l'insegna del ristorante "Lanterna bleu"; gruppi di case a Vulcano; veduta panoramica, da un terrazzo, del mare, della costa dell'isola di Lipari e dei suoi faraglioni; vedute panoramiche di tratti di costa e di insenature dell'isola di Vulcano; l'insegna dell'agenzia di aliscafi della Snav; un aliscafo della Snav appena salpato; il porto di Lipari; serie di vignette che mostrano i ciclopi mentre forgiano il ferro nell'antro di Vulcano; colata di lava di un vulcano (probabilmente l'Etna); una piccola baia nell'isola di Vulcano; le rocce gialle di zolfo dell'isola di Vulcano; pozze di fango caldo a Vulcano; l'acqua calda in riva al mare; un operaio gira una leva che chiude la valvola che regola il flusso di un soffione boracifero; veduta di un parete interna del vulcano sull'isola omonima; fumi e gas salgono da alcune rocce; vedute dei faraglioni di Lipari; tratti di costa delle isole Eolie; serie di vignette e di disegni animati che raffigurano Don Chisciotte e Sancho Panza di fronte a dei mulini a vento; un mulino a vento; tratti della costa di Lipari; l'isola di Salina; un impianto eolico in funzione sull'isola di Salina; altri impianti eolici; vignette e disegni animati mostrano l'inventore Archimede e la sperimentazione della sua scoperta sulle navi cartaginesi, per cui riflettendo i raggi solari veniva prodotta energia in grado di accendere fuochi; il sole dietro uno dei coni di Salina; un impianto di conversione termodinamica ad Atrani; disegni animati che mostrano satelliti nello spazio e astronauti sul suolo lunare; inquadratura di una cellula fotovoltaica; un disegno mostra un impianto di conversione dei raggi solari in energia elettrica; l'isola di Alicudi; fotografie di Alicudi e della costa; le spiagge della pomice a Lipari; un disegno mostra l'arcipelago delle Eolie; accanto alle diverse isole compaiono le icone che rappresentano i differenti impianti di produzione dell'energia; un tratto della costa di Lipari.
Porto delle Genti:anni 50.
---Anna Magnani con Rossano Brazzi e tanti amici.
Diffido chiunque a fare uso di queste foto senza la mia autorizzazione.
Grazie alla biblioteca Comunale di Lipari, da RENATO DE PASQUALE IL MIO TEMPO ricordi e immagini 1990.
Lipari, 1976: congresso di archeologia sottomarina. Anche all'epoca il cronista prendeva appunti...
""Sbarchi" e "Imbarchi" di una volta!! grazie alla Biblioteca Comunale di Lipari, da libro in mio possesso, ed altro ringraziamento agli ormeggiatori e battellieri delle isole Eolie.
Ginostra da 30 anniversario ormeggiatori e battellieri delle isole Eolie.
Anni sessanta sbarco di un quadrupede da testo di Renato De Pasquale.
Le Isole Eolie-Canti. Giuseppe Rizzo Tarauletti, IL POVERO PUMICIARU.
con questa poesia ricordiamo ancora una volta generazioni di lavoratori che con la loro fatica il loro sudore e qualche volta, purtroppo, la morte hanno fatto la storia dell'isola e delle isole se mi permettete.
Copia digitale avuta da una biblioteca a titolo divulgativo e di studio. Rossana - Rivista mensile del Corriere della Sera. 1908.
LA VITA DEI COATTI ALLE ISOLE DI LIPARI.
Al sud del mar Tirreno, tra la Calabria e la Sicilia, sta il gruppo delle isole Eolie e Lipari, chiamate anticamente col primo nome perché una vecchia leggenda ne faceva la dimora di Eolo, re dei venti, e giustificava con la presenza di questo dio le rapide e continue alterazioni delle correnti atmosferiche.
I gruppo è composto di sette isole: Stromboli, Panaria, Salina, Filicudi, Vulcano, Alicuri e Lipari; da quest’ultima, più grande di tutte, prende il nome l’arcipelago che ha intorno a sé una corona di altre dieci isolette minori.
Stromboli e Vulcano hanno il loro omonimo in perenne eruzione, le altre isole invece sono come il vuoto sepolcro di un’antica divinità; il silenzio che le attornia incombe fatalmente e stupisce il visitatore, che si arresta ammirato davanti a quello spettacolo indimenticabile di selvaggia bellezza. Dagli enormi muraglioni di tufo, delle vere montagne di lave frantumate, scorie e pietre di un color rosso basaltico ammantano gli antichi vulcani ora spenti; delle rocce nere e lucenti sbucano qua e là mentre si scorgono ancora le vestigia delle correnti di lava che precipitarono al mare. Frequenti gole misteriose si aprono e lasciano zampillare impetuosamente delle acque minerali i cui vapori solfurei imbiancano e scompongono tufi e lave come nelle zolfare di Pozzuoli, spargendo un odore metallico ma non disgustoso.
Nessun punto pittoresco d’Italia o della Svizzera o dell’Egitto può offrire un quadro più impressionante di questo: avvallamenti dolcemente inclinati verso il mare, monti alti oltre 600 metri che si elevano a picco, creste frammentate di rocce candide e scintillanti sotto il sole dove i mille barbagli delle pomice si frangono come diamanti, vigneti coltivati lungo le falde dei vulcani estinti, olivi meravigliosi contorti e difformi come spasimanti di vite………
Chi desiderare visitare queste isole deve rinunziare a qualsiasi speranza di comodità di viaggio, deve rassegnarsi e andare senza troppa fretta a dorso d’asino, ma in compenso quale incantevole spettacolo! Dalle acque di San Calogero al Campo Bianco è un succedersi continuo di panorami, dove i monti, gli ubertosi declivi e il mare hanno una nota originale che ricorda le rive di Nazaret e la terra di Palestina.
La solitudine e il silenzio sono così profondi così suggestivi, che pare che le onde stesse frangendosi sugli scogli mitighino il loro rombo possente per non turbare l’incanto.
Posta su tre coni vulcanici spenti, accidiosamente specchiantisi sul mare, sia la vecchia città di Lipari che ebbe, un tempo, alta rinomanza e per le sue miniere di allume provenienti dalla natura vulcanica del suolo e per l’abbondanza delle sue sorgenti termali, che furono meta di principi e di nobili desiosi di salute e di riposo.
Un versante dell’isola è aspro e diruto, l’altro adorno del verde-cupo delle carrubbe e della elegantissima vite chiamata malvasia, dalla quale si spreme il profumato vino che corre anche oggi tutti i mercati del mondo. A destra il grande Campo bianco, chiamato così per la pomice candida che si estrae con fatica e che trovasi in commercio sempre più ricercata. Accovacciata sta l’antica Liparus, che i pirati più volte devastarono, ma che Diana sempre protesse in virtù del tempio a lei dedicato. Così per secoli la città potè mantenere i suoi commerci, cioè il vino di malvasia, le uve secche, i fichi, l’olio, la pomice, lo zolfo l’allume, il pesce secco furono una grande sorgente di ricchezza che giustifica il suo nome di Lipara, cioè grassa.
Anche, sotto l’Impero romano era quest’isola destinata come terra d’esilio pei delinquenti politici, ed oggi essa ospita nel suo castello oltre 560 coatti, raccolti tutti nella penisola italiana.
Sopra un’alta roccia che si alza a picco sul mare, mostrando le sue inaccessibili scogliere di basalto, si leva l’antico maniero normanno diroccato, smantellato ma terribile ancora ed imponente. Vi si accede per un lungo andito ad arcate a sesto acuto di meravigliosa fattura e i lastroni di pietra rossastra che formano il pavimento portano ancora l’impronta delle zampe ferrate dei cavalli normanni.
Bisogna con la fantasia immaginare una città squassata dal terremoto o distrutta dai secoli, una seconda Pompei, dove le mura e gli archi atterrati, le vie accidentate, gli alti starti di pietre e calcinacci rendono malagevole il cammino; una città morta, dove delle vigili scolte ancora passeggiano con le armi in pugno……….ecco lo spettacolo che si presenta a chi sale per visitare il castello di Lipari.
Dentro antri grandiosi ma cadenti, stanno delle enormi stanze, scrostate dalla calce, col pavimento di terra battuta, il soffitto a volta, nere, sporche, rigurgitanti d’animali schifosi e che sono adibite a dormitori per i coatti. Sugli spalti secolari non ancora distrutti, tutta una fioritura miserevole e ridicola di piccole fabbricazioni fatte dai condannati con creta e vecchio materiale, con porticine, finestrini, scalette irrisorie che assomigliano quasi ad una malattia vergognosa uscita dalle antiche muraglie del luogo.
Quattro chiese e l’antica cattedrale di Lipari sono chiuse dentro le mura del castello. Le loro porte sono sbarrate con spranghe di ferro e sono nell’interno, assai bene conservate, ricche di buoni dipinti di Alibrando da Messina e di Giovanni Barbera di Barcellona. Queste chiese attestano del luogo soggiorno dei gesuiti e dei padri francescani; nella cattedrale, pregevole e nota agli studiosi d’arte, è la bellissima sacrestia tutta rivestita di legno, finemente intagliato con un soffitto dove gli affreschi di un ignoto pittore sono artisticamente lumeggiati dai riflessi del mare che si frange e spumeggia sotto l’ampio balcone posto a 125 metri di altezza.
Però la parte esteriore delle chiese è in uno stato miserando; l’ira e lo sfregio dei coatti si sono sbizzarriti nella forma più vandalica che si possa immaginare. Gli scalini per accedere sono spezzati, sbocconcellati, corrosi dal tempo e dalla furia umana; le porte qua e là bruciate mostrano i rattoppi e le spranghe di solido ferro poste per salvare i tesori dei reliquari lì dentro conservati; i campanili atterrati, i muri coperti d’iscrizioni oscene ed ingiuriose, la sporcizia che corre lungo tutto il muro esterno è messa in armonia con quel luogo di desolazione e di pena, dove tutti i detriti umani sono riuniti e costretti a vivere in comune in una pericolosa ed immorale promiscuità.
Quale larga messe di esempi agli studi criminali presenta questo luogo! Se qualcuno volesse osservare tutta questa deteriorata produzione umana, potrebbe fare uno studio giuridico sociale non indegno dei nostri tempi, poiché tutti i delitti, tutte le colpe, le psicopatie e le deficienze qui sono rappresentate, è un campo sperimentale che indisturbato svolge la sua fatidica parabola.
Orbene, come vivono questi 560 sciagurati?
Una compagnia di soldati di fanteria, un plotone di guardie di questura, un plotone di guardie di mare, un delegato, un maresciallo e due brigadieri sorvegliano i coatti per quello che riguarda l’evasione e la loro vita nell’interno del castello; per il resto, essi sono abbandonati a sé stessi, ai loro istinti, ai loro vizi, senza nessun criterio educativo, senza nessun obbligo al lavoro, senza nessun rudimentale tentativo di correzione.
Alle sette del mattino suona la diana che li caccia dal dormitorio, la pulizia di questo è affidata al caporale che deve stare attento perché ognuno faccia il suo giaciglio senza asportare oggetti di biancheria e coperte; queste sono cambiate ogni venti giorni e presentano il ributtante spettacolo della loro sporcizia cosparsa d’insetti che come vampiri succhiano il sangue di quei tristi abitatori.
Alle dodici è la distribuzione della Massetta, cioè la distribuzione dei cinquanta centesimi che il governo paga ad ogni coatto per il suo mantenimento. Mezza dozzina di soldati con la baionetta innestata e altrettanti questurini armati di rivoltella si schierano in una stanzetta al pian terreno situata sotto l’avanzo di un’antica torre.
In quella stamberga diruta ci sono due porte; fra l’una e l’altra sono tirati i cordoni e nel mezzo un tavolino sul quale sono schierate 560 mezze lire di rame…. null’altro. Né sedie, né mobili, né alcuna cosa che richiami la dignità dello Stato o quella della legge. Il brigadiere fa l’appello, uno alla volta passano davanti al tavolo e ricevono lo spillatico, continuando poi a camminare escono dall’altra porta. Impossibile dunque il furto, impossibile la ribellione, l’attentato, inutile ogni insidia. Gravi o sorridenti, accigliati od ironici, vanno l’uno dopo l’altro e in quell’impressionante defilè di cinismo e di miseria offrono allo sguardo dell’osservatore quanto avvi di più rivoltante nei detriti della razza umana.
Un lontano barlume di sentimento si manifesta nell’ora di distribuzione della posta.
Certi occhi si fanno attenti e gravi, qualche occhio si vela, una curiosità vivisima accende tutte le facce…..Sono le notizie del continente! Osservai un giovinotto alto e biondo di bell’aspetto che con atto felino si appartò dai compagni per sapere quanto conteneva una lunga lettera che egli leggeva compitando. Altri delusi o irritati, dopo qualche minuto, si disperdeva sghignazzando.
Il resto della giornata essi sono completamente liberi. Quelli che vogliono lavorare possono farlo tranquillamente; infatti moltissimi sono occupati nelle cave di pomice, nei mulini, nel porto e questi riescono a guadagnare anche tre lire al giorno. Ma a che giova? Nessun senso di economia o di ordine è in loro; si notano rarissime eccezioni di invio di denaro alle famiglie o alle donne, che quasi sempre hanno abbandonato sul marciapiede di qualche città; per la massima parte essi consumano quanto hanno guadagnato, mangiano, bevono, giocano, finchè all’Ave maria ubriachi cadenti, senza un soldo e con la bocca piena di bestemmie, si ritirano dentro il castello dove suona la ritirata.
E gli altri, quelli che non lavorano?
Neghittosi, letteralmente coperti di sudiciume, stanno con indolenza stesi al sole lungo le vie di Lipari, o sulle panchine del porto, o addossati alle macerie della rocca, vivono in un pauroso letargo da quale sortono o per rubare o per uccidere.
Un sellaio si è preso uno stanzino in una via della città e, quando non ha bevuto troppo lavora e canta divertendo i passanti con certi topi che ha messo in una gabbia circolare, ed ha ammaestrati. Un napoletano vivacissimo fa il venditore ambulante; con la mimica speciale dei suoi concittadini egli offre al pubblico i più svariati e stravaganti oggetti: un ombrello, non perfettamente nuovo, delle stoviglie da cucina, dei cappelli; ma soprattutto vende nascostamente le scarpe che l’amministrazione dello Stato passa ai coatti perché non vadano scalzi.
Questo commercio frutta moltissimo a Lipari. Ogni sei mesi i disgraziati hanno un paio di scarpe ch’essi vendono immediatamente, comperando invece per pochi soldi delle vecchie ciabatte.
Un tipo interessante è questo abruzzese , maestro di scuola completamente sordo. Per la modesta somma di una lira al mese, egli fa lezione tutti i giorni a quei ragazzi che vogliono imparare a leggere e scrivere. Guardandolo intento al suo ufficio si direbbe col poeta:
La faccia sua era di uom giusto
Tanto benigna anca di fuor la pelle
E d’un serpente tutto l’altro fusto…..
Infatti egli gode fama di uomo astutissimo; è insuperabile nell’arte di combinare dei colpi finanziari; in apparenza paziente e mite, egli passa le sue giornate in una specie di sottoscala, dove su due tavole sostenute da sedie egli elabora le cinque classi elementari suddivise in 22 ragazzi che largamente approfittano della sua sordità per fare un chiasso indiavolato. Calmo, indisturbato, egli intanto macchina delle combinazioni e dei piani che danno poi lavoro ai colleghi del castello.
Molti coatti sono impiegati come servi nelle case dei privati e più specialmente nelle case dei molti francesi che sono appaltatori delle cave di pomice; (Si dovrebbe trattare della ditta Bacot); altri sono barbieri, calzolai, fornai, orefici, pescatori….e si spargono dall’alba al tramonto per le vie della città, svolgendo la loro fatica fra la diffidenza e il disprezzo della popolazione, sfuggiti da tutti senza che mai una parola amorevole o cortese venga loro rivolta.
Essi non sentono che comandi aspri, rimproveri duri e le invettive dei compagni; scalzi mal vestiti, con gli occhi torvi e le teste arruffate essi lavorano, ma con odio, con collera, con furore quasi, e la sera con l’anima satura di fiele si gettano su quel sacco di vecchia paglia, popolata di luridi insetti sognando la coltellata che li liberi dalla vita.
In questo terribile ambiente , fatto di tutti gli avanzi della scostumatezza e della miseria morale, fervono passioni e vizi di una violenza ripugnante. L’usura lo strozzinaggio si esercitano con attività dissanguante causati e mantenuti dal gioco d’azzardo; fra un’ora e l’altra si prestano quattro soldi per verne sei, se ne prestano sei per averne dieci, e quelli che lavorano nelle cave sono i più sfruttati, perché nella loro furia distruggitrice del denaro essi giocano tutta la loro settimana, senza neppure contare quelle lire che faticosamente hanno guadagnate.
Una statistica originale ce li presenta divisi in regioni; ad esempio, i veneti sono più miti, si limitano a lavorare per bere e quando sono presi dal vino si gettano a letto e stanno tranquilli.
I calabresi e i siciliani rubano tutto quello che capita loro sotto mano. Quando nei dormitori, nella infermeria o in città avvengono dei piccoli furti, le guardie agguantano i calabresi e i siciliani certi di trovare fra loro la refurtiva.
I romani e i romagnoli sono sanguinari, l’uso del coltello è per loro una necessità organica. Nei pomeriggi estivi, sugli spalti del castello sono spesso disarmati e puniti perché tirano di scherma con il coltello a serramanico mostrando in questo esercizio una destrezza spaventosa. Ma pochi giorni dopo essi sono ancora in possesso della loro arma preferita; per comperare questo infido compagno essi si sottopongono a qualsiasi lavoro, a qualsiasi privazione.
I napoletani sono gli organizzatori delle molte società di ladruncoli, manutengoli, spacciatori di refurtiva, ecc.; essi esercitano la camorra con quella audacia e prepotenza che li rende poi temuti e rispettati; sono per lo più oziosi, spendono con una superiorità insolente i danari dei loro protetti.
Questa ciurma costretta nel breve spazio del castello diroccato, nella tristezza di quel luogo che contrasta con l’incanto dal panorama stupendo che la natura stende ai suoi piedi, questa ciurma degenerata, purulenta e peccaminosa che vive a spese dello Stato, ogni tanto si permette dei banchetti succolenti, delle grandi feste che solennizzano per lo più il matrimonio di qualche collega.
La popolazione libera sta in guardia contro i coatti, né mai si stanca di protestare, come può, per il loro soggiorno a Lipari, né mai per nessuna sventura o gioia cittadina si fonde a loro; nell’animo di ogni isolano cresce la pianta della diffidenza e del disprezzo; specialmente le donne sanno che ogni padre, ogni fratello sarebbe pronto a togliere da questo mondo se sospettassero soltanto un’intensa con un coatto. Tuttavia una certa quantità di infelici donne vengono gettate dal continente sulle rive di quest’isola incantata, e poiché i giovani coatti possono sposare e avere una famiglia, sempre però ritirandosi soli la sera al castello, così di frequente accadono questi orribili matrimoni festeggiati con grande schiamazzo dalla ciurma ubriaca. Si può immaginare una cerimonia più umiliante di questo mariage che si compie tra il cinismo e i lazzi osceni di quella gente perduta?
Nessun vincolo sentimentale, nessuna considerazione morale lega i due sposi che spesso si conoscono appena e compiono le formalità del rito reciprocamente canzonandosi e chiamandosi con soprannomi ridicoli o infamanti, mentre attorno suona il dileggio più plateale, l’ironia scomposta di quei seicento incoscienti che nelle loro manifestazioni di gioia rievocano la visione di una bolgia infernale.
Né mai è accaduto che una donna si sia redenta, né che scontata la pena, l’uomo l’abbia portata con sé. La depravazione e l’ignominia sono tali, lì dentro, che nessuno pensa di assumere un dovere o di accettare una responsabilità dando il suo nome e la sua firma ad una donna.
Questa diceva il delegato che mi accompagnava è l’università del delitto; qui oltre alla quotidiana delinquenza spicciola, si organizzano, si preparano dei buoni colpi che si tenteranno a pena finita, e le menti sono messe alla tortura per escogitare qualche cosa di eccezionale, di sicuro, che conduca ad un reato degno di ladri superiori ed evoluti.
Per questo quasi tutti sono recidivi, che dopo breve soggiorno fra gli uomini essi ricadono nelle mani della giustizia, la quale li rimanda con nuove e più lunghe condanne.
Eppure nulla, proprio nulla si può fare per costoro? Questi giovani che hanno dai 20 ai 30 anni potrebbero essere tolti ad una strada delittuosa e sono lasciati per mesi ed anni in compagnia di vecchi incalliti nel vizio che indisturbati tengono cattedra quasi tutte le sere, fomentando con la descrizione della colpa e con l’esaltazione del reato tutti i cattivi istinti e le male tendenze degli ascoltatori.
Perché accumulare e abbandonare a sé stesse in un ozio neghittoso, tutte queste energie che potrebbero essere adibite al lavoro? Se questa immensa rocca normanna, oggi rifugio di delinquenza, dove le macerie, il letame e la miseria s’accumulano paurosamente con le più turpi degenerazioni, dove i gufi e le civette fanno il loro nido, il mare corrode e il vento bersaglia, questa rocca dove 560 uomini languono accidiosi e sbadiglianti nell’inerzia, si tramutasse in un’ampia spianata dominante il mare e attorno corresse un fabbricato semplice e sano che avesse della scuola e dell’infermeria insieme, non sarebbe asilo più adatto per correggere ed educare questi traviati?
Se dell’antica cattedrale partisse una larga strada che conducesse verso monte Sant’Angelo e sulle lave, sulle scorie dell’antico vulcano fossero piantati vigneti, ulivi e gelsi….se si tracciassero degli orti, si scavassero dei pozzi e questa umanità degradata si tramutasse in una colonia agricola, non sarebbe forse compito degno della civiltà moderna e di quella scienza giuridico-sociale tanto discussa teoricamente ma che ancora non ci ha dati i frutti della sua praticità?
ROSSANA.
Grazie alla Biblioteca Comunale di Lipari, da: Eolie racconti per immagini di Renato De Pasquale, Aldo Natoli editore.
23 agosto 1924 monsignor Angelo Paino porta a Lipari a Portinente la reliquia di San Bartolo.
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Il banditore Leonardo Greco mette all'asta lo stendardo di San Bartolomeo.
Il chioschetto di don Salvatore Iacono sulla spiaggia di Marina Corta: anni trenta.
Grazie all'editore Sonzogno ed al proprietario del libro. La gentilezza non ha confini e grazie anche per la fiducia che mi è stata data, ecco un risultato sicuramente migliore! Lipari.
Guida delle Isole Eolie a cura di Renato De Pasquale 1956, Vulcano spiaggia di Levante.
Turi Alivu, caratteristico pescatore eoliano.
Fotografie Giulio Conti testo di Emanuele Sgroi storia e immagini di una civiltà marinara
immagine editrice 1977. L'ingresso del palazzo vescovile a Lipari.
Volcanological observations Perret, Frank A. (Frank Alvord), 1867-1943 Vulcanello.
Poesia tratte da: Le isole Eolie Canti, pubblicato da Stem di Messina - Volume secondo - 1959.
Buon 2016. I miei ricordi, credo che il giornale si chiamasse "La Tribuna del Mezzogiorno".
Altri tempi!!!
Ricordi di famiglia sulla civita: 8 aprile 1958, insegnanti, riconosco solo don Giovannino Bonica, Peppino Iacolino, forse oltre mia madre Liliana Barbuto.
Pino di Giovanni: La prima è la preside Isabella Ellen Vainicher Conti, poi l'Avv. Raffaele, tua madre, la prof. Favaloro, il prof. Iacolino e poi sotto Don Giovannino Bonica...me ne mancano due..
Il vaporetto nel porto di Sottomonastero.
Ricordando mio sucocero, Umberto De Fina, con Enrico Favata, ricordo di una Lipari che fu.
Ricordi di famiglia, insegnanti, oltre Liliana Barbuto, mia madre, Maio, Amendola, Mammana, Frato?, Mobilia, Lo Curzio, De Robertis. 30.05.1961
STURIALE C. GUIDE TO THE EXCURSION TO VULCANO 1961.
Gruppo di insegnanti 18.03.1961.
Dai ricordi di famiglia. Taormina 22.04.1963, "gente di Lipari" in visita a Mons. Nicolosi futuro vescovo di Lipari.
Canneto 16.05.1965. In questa foto sono con il mio caro fratellone Bartolo.
Dal 30 anniversario degli ormeggiatori e battellieri delle isole eolie. io ringrazio loro per il regalo, nel cd creato per la loro ricorrenza vi sono i ringraziamenti a chi ha fornito le foto.
Vulcanello.
Nell'articolo pubblicato PIOGGIA, VINO ... E POMICE (per la visione si clicchi su leggi tutto ndd), il Sig. Ezio Roncaglia ci allieta con il ricordo della "pisa " di donn'Antonino Restuccia che l'aveva recuperata, ... "" sup'a Lena, doppu na gran ciumarata "" . Ci ricorda anche i primi palmenti, bene io non ho pubblicato la foto che mi aveva inviato, cosa che faccio adesso come al solito ringraziandolo, permettendomi di aggiungere da internet una spiegazione tecnica con atre due foto. IL PALMENTO A PIETRA.
I vari tipi di palmenti si differenziavano per il sistema adottato per sollevare e abbassare la lunga trave di legno o leva: (1) un verricello ancorato a terra (che tirava e mollava una fune legata a una estremità della leva); (2) una grossa vite verticale in legno che girava in un dado, anch'esso di legno, ancorato alla leva e (3) una grossa pietra sospesa in modo regolabile all'estremità mobile della leva.
Il terzo tipo (palmento a pietra o "pietra torcia") è il più arcaico e se ne avevano esempi anche ad Agerola. Ad uno di essi appartiene la enorme pietra (con gancio in ferro che è esposta all'ingresso del Museo Civico Casa della Corte. Anche nel palmento a pietra vi era un verricello, ma esso non stava fisso a terra, bensì alla estremità della leva. Girandolo tale verricello in un senso (con bracci lignei sfilabili) la fune si allungava e la pietra –toccando a terra- smetteva di tirar giù il palo. Sollevato quest'ultimo con l'aiuto di una pertica terminante a Y, si svuotava la gabbia delle vinacce già spremute e se ne mettevano di nuove; poi -girando in senso opposto il verricello- si accorciava la fune fino a sospendere da terra la pietra, che così ridava pressione sulla gabbia. La pietra esposta presso il nostro museo pesa circa 7 quintali e poteva generare una forza prossima a 3,5 tonnellate sulla gabbia delle vinacce se il palmento aveva una vantaggiosità 5:1 (pietra appesa a 5 m dal fulcro e gabbia a 1 m dal fulcro).
Regalo graditissimo con relativo ricordo e spiegazione del rag. Ezio Roncaglia.
PIOGGIA, VINO ... E POMICE.
Non riesco a " datare " l'anno di questa foto.- Alcuni segnali danno delle indicazioni, altri li contraddicono.
E' certamente vecchia perché non c'è ancora il muraglione, c'è ancora la casa Amendola (ufficio Eolpomice).-
La casa Merlino è ancora versione uffici Saltalamacchia.-
La Chiesa di San Cristoforo mi pare abbia ancora gli scalini sul lato nord del sagrato.
La casa Cassarà, oggi " Giallo & Rosso ", mi pare ancora nella versione Dogana, ex Banco di Sicilia.
La casa Bacot, ed il vicolo Bacot, ... sono ancora nella versione Bacot.
E c'è ancora la casa Sciarrone (oggi costruzione Palano) così com'era negli anni '50.-
Così pure, mi pare, la casa De Pasquale.-
La baracca Restuccia/Geoffray & Jacquet (oggi Ficarra-La Bussola) è ancora nella versione anni '40.-
E si vede nettamente, bellissima, svettante, superba, la ciminiera del Mulino Aurora !
Il mese è certamente estivo o, massimo, di fine estate.-
Lo dicono le barche coperte con teli di sacco e simili come si faceva una volta perché le barche erano solamente di legno (la plastica era ancora sconosciuta) e quindi soffrivano il sole terribilmente.-
Lo dicono i ragazzini a riva immersi o quasi nell'acqua, due dei quali a torso nudo.-
Ma la foto è interessantissima perché documenta un rito ormai scomparso.
Ogni anno, sotto i violenti acquazzoni di fine estate, il torrente Calandra scaricava in mare quantità notevoli di detriti di Pomice.-
Non si dimentichi che il " vallone Gabellotto " nasce molto in alto e raccoglie, da nord, l'acqua di Monte Pilato fino alla fossa di Castagna, da ponente l'acqua di Monte Chirica e da mezzogiorno quella di S. Elmo (quello che noi chiamiamo, forse più giustamente, S. Eremo).-
Tanta acqua, ... insomma.
I detriti scendevano fino a mare con una violenza impressionante e con un rombo che faceva paura, trascinando fango e cespugli, insieme a grosse pietre, autentici massi.-
Alcuni di questi, per il loro peso e per la felice, fortunata sagoma (a goccia) furono elevati al ruolo di "" pisa "" per alcuni palmenti locali.-
Una di queste svolse brillantemente il suo compito, per lunghissimi anni, nel palmento del sig. Antonino Restuccia, ubicato dove adesso è sorta la nuova costruzione del sig. Angelino Favaloro ( ... " formaggino " per gli amici) .-
Il sig. Antonino Restuccia era uno dei fratelli (Bartolo, Felice, Peppino, Erminia) del nonno di Massimo Ristuccia, oggi tanto meritoriamente noto per l'instancabile e pregevole opera di ricerca sulle immagini delle nostre isole, i cui risultati sono quotidianamente e generosamente offerti alla nostra pigra fruizione.-
A chi si chiedesse perché Donn'Antonino (e gli altri fratelli e sorelle, meno Bartolo) si chiamassero Restuccia, mentre Massimo si chiama Ristuccia, occorre spiegare che la differenza nella grafia del cognome (Restuccia contro Ristuccia) .... sta tutta nell'incolpevole pelucchio raccolto in fondo al calamaio dal pennino dell'ufficiale di Stato Civile (insomma dall'impiegato dell'anagrafe) ... che produsse una macchiolina sulla " e " della registrazione del neonato Bartolo : che, così, si chiamò Ristuccia.-
Della sua " pisa " , donn'Antonino Restuccia amava raccontare che l'aveva recuperata, ... "" sup'a Lena, doppu na gran ciumarata "" .-
Sì, ... " a Lena " , perché è così che si chiama la non estesa superficie che sta davanti al torrente Calandra.-
In termini asettici, ma sbiaditi, oggi la indicheremmo ... "" l'area costituita dalla foce, sempre ad estuario, del torrente Calandra "".-
Il nome ... " a Lena " ritengo derivi dal termina "" lenatura "" che nel nostro dialetto indica lo strato di materiale, il sedimento insomma, lasciato dai torrenti nel punto e dal momento in cui perdono la spinta.-
Si tratta di un sedimento che, per la sua compattezza, (dovuta alla perfezione della sua curva granulometrica che solo la spinta progressivamente decrescente dell'acqua è capace di disegnare), esprime elevate proprietà pozzolaniche che gli indigeni ben conosciamo e da cui, quando possibile, ci difendiamo, ... in termini di sollecita rimozione.-
Infatti, una volta privata della componente umida, acquisisce una eccezionale consistenza, almeno corrispondente, se non superiore, a quella del tufo orizzontale.-
Donn'Antonino raccontava che l'aveva trasportata fino al suo palmento, (ossia quasi dall'altra parte del paese), dopo averla imbragata con tavole e sugheri, tanti sugheri, fino a farla praticamente galleggiare.-
Così, annacquata, appena appena a fior d'acqua, l'aveva rimorchiata con la sua barchetta, ovviamente a remi.-
Nel suo racconto, colorito e pittoresco, appariva come un'operazione epica : ma sarà appena il caso di ricordare che, alla fine, le " pise " erano pietre che difficilmente raggiungevano o superavano i 200 kg. di peso !
Ma, allora, non c'era alternativa al trasporto via mare.-
Va spiegato che la " pisa " faceva egregiamente il suo lavoro, non solo e non tanto per il suo peso, ma anche (e, forse, soprattutto) perché veniva sospesa all'estremità libera (l'altra estremità era imprigionata in un incavo nel muro) di una trave di castagno abbastanza lunga e gagliardamente robusta.-
Quindi ( non sapremo mai se scientemente o meno) sfruttava massicciamente il principio della leva !
Lo sfruttava in maniera ibrida perché aveva sì un braccio di leva molto lungo, ma era il fulcro ad operare la compressione dei " raspi " ammucchiati, con furbizia contadina, nella prossimità massima dell'estremità opposta, ossia quella imprigionata.-
E' superfluo ricordare che i " raspi " erano ancora molto ricchi di acini e di succo : la pigiatura con i piedi e con il solo peso dell'uomo, produce una spremitura sempre molto dolce, parziale ed incompleta. –
La trave, dopo avere svolto il suo lavoro per un'anno/stagione, presentava una certa curvatura verso l'alto, quasi una " ruga " a dimostrazione della sua fatica.-
E, allora, l'anno appresso veniva girata con la curvatura verso il basso !!!
Merita una riflessione come l'inventiva della gente supplisse all'assenza di mezzi, di strumenti ... e di conoscenze.-
La prima assenza era una qualsiasi forma di energia, ... che non fosse la forza di gravità.-
Non c'era la corrente elettrica, e non si conosceva l'uso dell'idraulica : il lavoro che faceva la " pisa ", con l'intervento di almeno due uomini esperti ed il ricorso a tecniche rudimentali, tanto ingegnose quanto faticose ( sto pensando ... "" o vriuolu " ), oggi l'avrebbe fatto, senza fatica e con l'intervento di un ragazzotto, un crick idraulico, reperibile sul mercato a meno di 100 euro !
Il mio Papà, che veniva da una famiglia contadina del Pinerolese, diceva che, appena appena fuori dalle isole, (cioè anche in Sicilia, per esempio nel catanese) si usavano, e con successo, i torchi ... !
Ma io ho nettissimo il ricordo che, da noi,, tutti erano pronti a giurare che l'uva pigiata con i piedi degli uomini, (anziché con altre diavolerie meccaniche e marchingegni più moderni), .... dava luogo ad un vino di ben altra caratura e di ben più nobile levatura .... !
Assunto tutto da dimostrare e ... difficilmente dimostrabile.-
E, suppongo, ... mai dimostrato !
A ben pensare, con un tocco di fantasia, paradossalmente abbarbicata alla realtà, ed usando terminologie dei nostri giorni, quella con i piedi delle persone, .... potrebbe essere definita oggi .... "" pigiatura biologica "" !!!
Torniamo alla foto.
Insieme ai detriti, alle tante pietre ed a qualche masso, l'acqua portava a valle, e poi a mare, anche una grande quantità di Pomice in pezzi.-
Materiale pregiato, sia in termini di pezzatura (sempre superiore al pugno), sia in termini qualitativi perché accorpava alla struttura cellulare una densità molto più prossima a 0,5 che ad 1,o : e, quindi, tra il resto, galleggiava gagliardamente.-
Questi pezzi venivano recuperati velocemente, e quasi contesi, dai diversi " raccoglitori " prontamente intervenuti.-
Baldi giovanotti che, coniugando fatica, urgenza ed intelligente destrezza, li prelevavano dalla superficie del mare, a mano, un pezzo dopo l'altro, prima che le correnti li disperdessero.-
La foto mostra infatti, una barca sovraccarica di pezzi e mostra anche i ragazzini che, a riva, fanno a gara a catturare quei pezzi giunti quasi al bagnasciuga.
A proposito dello "storico pezzo" del dottor Michele Giacomantonio sull'autonomia di Canneto, peccato che non vi sia nessun documento o testimonianza di uno dei membri, con le motivazioni del perché della richiesta di "autonomia" di questo comitato.
Con il senno di poi, con i sé ed i ma, non si fa la storia, ma consentitemi alcuni dubbi dopo aver letto sia la memoria storico giuridica dell'avv. Raffaele e quanto commentato dall'allora Sindaco Cincotta:
1) Che i lavoratori della "pomice" fossero sfruttati lo si sapeva e lo si è continuato a sapere anni ed anni dopo anche senza il comune autonomo di Canneto, come mai ciò è avvenuto?
2) Sembra alquanto contradditorio dal punto di vista finanziario che questo comune autonomo avrebbe tartassato i cittadini se i proventi dell'estrazione della pomice entravano nelle sue casse.
3) A fin di bene o di altrettanto interessi personali si invoca l'integrità del territorio e questo potrebbe starci, ma, possibile che tutti i cittadini di canneto e gli altri membri di questo comitato erano "succubi" o si sarebbero lasciati influenzare e comandare solo da chi aveva "interessi meramente privati", vi erano tante persone per bene non legate assolutamente a nessun "industriale" che avevano ben chiaro cosa era il bene comune.
C'è anche da precisare che oltre l'attività principale della pomice vi erano altre fonti di vita e di reddito, minori, allora come la pesca ecc.
Ripeto peccato che non abbiamo testimonianza delle motivazioni e propositi di qualche membro del comitato di allora.
----Con enorme piacere e gratitudine il Sig. Ezio Roncaglia mi ha inviato dei suoi ricordi della Lipari, Canneto che fu; ricordi di persone, cose e tradizioni che voglio condividere.
"Quanto a Canneto si transitava solo dalla spiaggia".
I miei genitori erano entrambi piemontesi di Pinerolo.-
Il mio Papà venne a Lipari nel 1923 a dirigere un'agenzia della ditta Geoffray & Jacquet di Lyon per l'esportazione della Pomice.-
Nel 1926 tornò a Pinerolo per sposarsi e, con la mia Mamma che aveva appena compiuto 21 anni, tornò a Canneto. –
La corrente elettrica qui arrivò solo due anni dopo, ... e solo per qualche ora, in prima serata.-
Si transitava solo dalla spiaggia (greco & levante permettendo) perché ... " u stratuni " , l'attuale Cesare Battisti, aveva un tappo di una quarantina di metri poco prima di Boccavallone.-
Il cimitero non c'era ed i morti si portavano a spalla al cimitero di Lipari. –
Si accedeva ... " a strata vecchia " percorrendo tutto il vallone di Boccavallone, fino alle soglie dell'attuale cimitero di Canneto dove, attraverso un ponte con tanto di stemma fascista, si imboccava la salita di Serra, con l'uscita a Bagnamare.
Si passava da sotto, dall'interno del vallone, anche quando scorreva l'acqua e bisognava scavalcare i rivoli e le pozzanghere, saltando da una pietra all'altra, fino ad imboccare la salita per Serra.-
Non era una scelta, perché non c'era alternativa.- L'alternativa era restare a casa! La bretella che Tu conosci, quella che collega la rotabile per Lipari con la salita della strada vecchia, all'altezza – per intenderci – del deposito dell'immondizia e dell'ingresso del deposito di Palano, per vedere la luce, dovette attendere fino all'autunno 1944 .- Il Governatore F.Z Yeo, con l'infinito potere di cui disponeva, (e che usava con la parsimonia, il giudizio e la saggezza degli uomini di buona volontà, malgrado qualche cattivo consigliere), con mezzo foglietto di carta ed una semplice firma ..... rese realtà quello che due generazioni di cannetari avevano inutilmente invocato ai vari Podestà del Comune di Lipari.- Non so se qualcuno Ti ha raccontato che l'apertura di quella bretella, avvenne quasi in sordina, senza clamori, senza grancassa.-
Noi ragazzi, che andavamo quotidianamente a scuola a Lipari, a piedi, con ogni tempo, (anzi con ogni tempaccio) la salutammo come un autentico miracolo.-
Di fianco alla bretella, fu affisso un modestissimo e piccolo cartello di legno (50 x 50) dipinto di bianco, sul quale, con vernice nera, c'era scritto : "" Vent'anni di vana aspirazione oggi realtà per volere del Governatore F.Z. Yeo "".-
Basta, niente enfasi, niente iperbole, niente genuflessioni, ... niente autocelebrazioni.-.- Il mio Papà, commentando la spaventosa sobrietà di quel cartello, mi disse : questo per voi ragazzi dovrebbe essere una lezione per la vita.- Spero che Te ne ricorderai.- Ci volle una mini epidemia di spagnola (o qualcosa di simile) con tre o quattro morti che stazionavano nelle case, insieme ad una mareggiata imponente che, dopo più di tre giorni , impediva ancora il transito dalla " praia ", ... per indurre un gruppo di cittadini coraggiosi che, capeggiati da Don Turiddu Bonica, demolì qualche muro di alcune catapecchie che impedivano ... " o stratuni " di ... " sperciari " nel vallone di Boccavallone .... e portare le salme nel bel mezzo di un prato colmo di tenere piantine di fave, (terreno credo della famiglia De Mauro), dove ebbero immediata e frettolosa sepoltura, accompagnate da un benedicente parroco pescatore. E' proprio in quel sito che si istituì, in quel momento, la prima cellula di quello che sarebbe diventato, poi, il Cimitero di Canneto.
Lipari 15.06.1963, forse una terza media, in ordine sparso e mi scuso per errori o dimenticanze: ISGRO, MIRABITO, ARENA, PICONE, MOLLICA, IACONO, MAJURI, BIVIANO, CORRADO, AMENDOLA, DE VITA, CARNEVALE, PAJNO, SANTORO.
Il Notiziario delle Isole Eolie, settembre 1962.
Ricordi di famiglia, sulla civita, piazza mazzini, 1956 allora scuola "Magistrale".
La Sicile. Photographies originales de Patrice Molinard. Texte de Jan Louis Vaudoyer de l'academe francaise DEL DUCA 1955.
LE VIE D'ITALIA FEBBRAIO 1933 di Magnino Carlo.
Chi viaggia di notte da Napoli a Messina scorge lontano il chiarore dei lampi che, a distanza di quattro o cinque minuti l'uno dall'altro, si sprigionano dal cratere dello Stromboli, nei così detti periodi di calma di questo vulcano, unico nel suo genere perché, a ricordo storico, non ha mai interrotto la propria attività.
Le conoscenze che il mondo turistico ha di questa isola, malgrado quanto ne dicono tutti i testi di geologi... Continua a leggere
Claudio Nardi. ALLA RISCOPERTA DELL'ISOLA DI STROMBOLI 1978. Foto: Giacomo Utano
di Piero Studiati Berni
LE VIE D'ITALIA N. 3 MARZO 1966
T.C.I. volume La Sicilia 1961. Il centro abitato di Lipari.
Alcuni spunti su SALINA anni 50.
Da L’Illustrazione Italiana dell’aprile 1957: Salina, già s’è detto, è l’unica delle isole Eolie, insieme con Lipari ad avere energia elettrica, fornita da un gruppo elettrogeno, donato trent’anni fa da un emigrato a New York. Tra i vari comuni(Santa Marina Salina, Malfa, Leni) dall’aprile-maggio in poi v’è servizio d’autobus. Una bellissima strada rotabile , bella sia per il fondo che per le vedute che offre, va da Santa Marina Salina a Rin...
L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA (GARZANTI) Aprile 1957
Stromboli una vigna di malvasia. Sullo sfondo, case abbandonate appartenenti ad emigrati in Australia.
da: ALFREDO ADORNATO STRALCI STORICI DEL SECOLO XX I PROTAGONISTI DELLA DIOCESI DI LIPARI
L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA (GARZANTI) Aprile 1957.
Lipari spiaggetta di Portinenti.
Lipari è la più grande delle Eolie (oltre 37 chilometri quadrati): i suoi primi abitanti si fermarono sulla piattaforma rocciosa che domina le insenature, Marina Lunga, dov'è il pontile dell'attracco per le navi da carico e per i postali, e Marina Corta, con la penisoletta del Purgatorio. E' su questa penisoletta che sorge la fabbrica candida della Chiesa delle Anime del Purgatorio. L'aspetto dei luoghi non potrebbe rispondere meglio al nome: una eleganza mansueta di linee, una gravità dolce e confortante; non una bellezza che eccita e scuote, ma in cui l'occhio e lo spirito riposano quietamente.
Lipari è un esempio del "dissanguamento" delle Eolie: il Comune è sceso rapidamente da 14 mila abitanti, ai 12 mila di oggi. Eppure Lipari è una delle isole in cui sono stati fatti i maggiori sforzi per adeguarsi ai tempi. Ha luce elettrica; avrà un acquedotto sul Monte Sant'Angelo, sfruttando, come serbatoio, il cratere spento del vulcano, che distribuirà l'acqua a tutto il centro abitato: l'opera costa 400 milioni, anche questi erogati dalla Cassa del Mezzogiorno; ha scuole elementari, una media e una scuola tecnica commerciale, dotata di un impianto di radiofonia e di magnetofoni, per ovviare alle eventuali assenze degli insegnanti. Il guaio è che tutto costa caro a Lipari, giacchè tutto, o quasi, deve venire dal continente; chi non se la cava lavorando nelle cave di pomice o con la pesca, preferisce il miraggio dell'emigrazione. A Lipari come del resto in tutte le Eolie, la cronaca nera ha ben poco da fare: al massimo qualche furto di alimenti, di cui si può ben intendere la disperazione e la fatalità. Questo è segno di quella particolare civiltà, di cui si diceva, che fa delle Eolie un paese particolare, anche dal punto di vista umano. Eppure proprio a Lipari è toccato il tristo previlegio d'esser prima (1890-1914) sede del domicilio coatto, e poi di ospitare i confinati politici mandativi dal fascismo.
---Vulcano, la posa della prima pietra per la chiesa del porto. Da Alfredo Adornato, stralci storici del secolo XX. I protagonisti della diocesi di Lipari. 29.07.1962, Mons. Re benedice la nuova Chiesa in Vulcano Porto, dedicata alla Madonna del Rosario di Pompei. Era assistito dal canonico Alfredo Adornato, dal canonico Giuseppe Rosingana, da Padre Agostino da Giardini, guardiano dei Cappuccini e dal parroco del luogo sacro Carmelo Sipione.
Cartolina del 1961 con ""errore"" didascalia "Canneto" ma è "Acquacalda"!
da Le Vie d'Italia agosto 1922 pag. 795/800
L'ISOLA DELLA POMICE
LE VIE D'ITALIA - T.C.I. – AGOSTO 1922 di BONALDI Italo.
(un piccolo inciso nell'articolo Canneto veniva chiamato Canneta)
Il nostro Gr. Uff. avv. Italo Bonardi non è solamente un prezioso collaboratore del Touring, quale Segr. Gen. della Delegazione Romana, ed un intelligente ed attivissimo funzionario del Ministero dell'Industria, ma è anche un turista appassionato ed un osservatore attento e preciso.
Tratta da una pubblicazione del Museo Archeologico di Rovereto (la foto è del 1930) accanto ad una lapide con una scritta in caratteri greci ritrovata durante gli scavi sull'isola di Lipari.
Paolo Orsi. Il più grande archeologo italiano, uno dei maggiori della storia mondiale della scienza dell'antichità. Un punto fermo per lo studio scientifico, italiano e non, che fu responsabile della Soprintendenza alle Antichità di Siracusa tra la fine dell'800 e il 1935, anno della sua morte, a 76 anni (era nato a Rovereto il 17 ottobre 1859, quando la città era ancora austriaca).
TOURING CLUB ITALIANO MARINE DEL TIRRENO e delle isole 1964.
De Forti Dulcedo - SUA ECCELLENZA MONS. BERNARDINO SALVATORE RE, cappuccino-vescovo di Lipari. Palermo - Fiamma Serafica, 1963. Il ricordo del Dr. Leonida Bongiorno ispirandosi al Viale del Palazzo Vescovile.
"IL VIALE NON SAPEVA........IL NOSTRO GRANDE CAPPUCCINO......
Colloquio
del Dr. Leonida Bongiorno
Alla memoria sacra del Cappuccino S. E. Mons. Bernardino Salvatore Re – Vescovo di Lipari.
Con la forza di un'altissima fede in Cristo. Certissima come la realtà del sole che splende. Sorta e maturata a trent'anni. Nelle varie fornaci dell'ultima sciagura guerra perduta.
Lipari, notte del 18-19 gennaio 1963.
Tu ancora l'aspetti. Ma Egli non tornerà, Mai più. Sì. Eri il suo confidente. Forse il suo amico migliore. Di quaggiù. E sempre l'aspettavi. Come ancora l'aspetti. Col cancello spalancato. Come due braccia che aspettano. In un'attesa vana. Senza ritorno. Amara.
O vecchio viale delle sue meditazioni e delle sue preghiere, or che lo sai, anche tu stanotte puoi piangere in silenzio il nostro grande Cappuccino perduto. Tu sei il muto testimone dei colloqui ch'Egli svolgeva con la Croce di Cristo. Issata lassù. In cima alla Cattedrale. Stagliata esile nel cielo. Come fiamma di combattimento delle fede. Esposta alle raffiche di tutti i venti. Ma che non si spegnerà mai.
Ora anche tu sei rimasto solo. Deserto. Vuoto. Era lui che con i suoi passi lievi e tranquilli riempiva la tua solitudine. E ti dava calore. Ti dava vita. Anche se la tua eternità terrena è fatta di pietra.
Sì. Lo accogliesti per l'ultima volta l'altra sera. Senza nemmeno accorgerti. Quando giunse dal mare. In una bara. Io era tra la folla. Muta. Dolente. E con Lui accogliesti anche noi tutti. Mentre dal cielo cadeva una pioggia sottile. In quelle ore di profonda tristezza e di accorato rimpianto, anche il nostro cielo lo piangeva. Ricordi, viale solitario? D'un tratto si spensero gli ombrelli. E tutti sostammo in attesa di accedere all'Episcopato. Nel cielo crepuscolare, a occidente, d'improvviso s'aprì una pupilla d'oro e di azzurro. E' tanto simile ad una pennellata di luce in un cielo livido; una polvere d'oro come un faro nella notte ci apparve per pochi istanti.
Era quella la pupilla di Dio. Che certo non poteva aver abbandonato il nostro indimenticabile Cappuccino. Vedetta alpina di Dio tra le migliori vedette in terra. Durante tutta una vita. Interamente a Dio dedicata.
Anch'Egli ora dorme per sempre. Sotto un'arcata del Tempio dell'Isola.
Stamattina t'ha lasciato per sempre. In una gloria di sole. In una gloria di cieli. Dopo cupe giornate di nebbia e di gelo. La sua bara!
La sua bara pareva sospesa sul respiro della immensa folla che lo spingeva muta e smarrita. Con passo triste e lento. Mentre le campane, con rintocchi più gravi e più amari dei passi della folla, disperdevano altissimi quei battiti. Ch'erano i battiti del cuore di tutte le nostre Isole. Che tanto lo amarono. E tanto gli furon devote.
Quando varcammo il tuo cancello, nel cielo di cristallo la spera del sole brillava come un ostensorio. Mentre bassissime, simili a sfumature di seta d'albe remote, striature tinte di rosa rigavano il cielo per poi subito dissolversi e ricomparir quindi di nuovo. Come volute di morbidi voli di gabbiani azzurri nell'immenso arco di un infinito orizzonte.
Sì, viale solitario. Era la corvèe di Dio. Erano gli Arcangeli di Dio. Che nel loro invisibile libero volo lasciavano quelle scie. Gli Arcangeli di Dio! Arcangeli da Dio inviati come scorta d'onore. Al nostro Grande Cappuccino.
E lo lasciai in Cattedrale. Al centro della navata centrale. Quasi ai piedi dell'abside. Dopo la imponente e solenne Messa di Requiem. Dopo le due brillanti orazioni a Lui dedicate. Dopo aver ascoltato il Suo Altissimo Testamento Spirituale.
Tu, viale solitario, ci vedesti insieme per l'ultima volta nelle passate settimane. Quello fu il nostro ultimo incontro. Sai. Anche se agli occhi di tanti e tanti io digo, al par di te io volli sempre tanto bene a questa straordinaria tempra di Cappuccino.
I vincoli di stima e di affetto che mi legavano a Lui erano ben al di sopra delle umane passioni. Politica in testa. Come principale accusata.
Com'è mia abitudine, ti sto parlando col cuore, o viale solitario. Con questo cuore stanco. E certo. Sì. Anche strambo. Ma che non ha saputo mai sentire. Ora no. Non temere. Non ti lascerò solo. Starò con te fino all'alba. Non voglio però che la luce del giorno, col sole che sorgerà tra poche ore, mi colga al di qua della tua soglia.
Continuo a dirti. Dopo l'ultimo incontro con Lui, mentre tu ne eri assolutamente ignaro, dopo la sua improvvisa partenza avevo seguito il suo calvario con ansia e trepidazione.
La più moderna medicina con la più abile chirurgia, spalla a spalla si erano schierate al suo fianco. Per proteggerlo dagli assalti dell'Imperatrice. Che voleva ghermirlo ad ogni costo. Ma le mie speranze di rivederlo qui con noi crollarono. Prima ancora che l'Imperatrice lo ghermisse.
E cadde. Come un'annosa quercia. Sì. Cadde. Fu il venerdì sera verso le otto. Uscendo dalla casa avìta del Timparozzo. Sotto un cielo nero di bufera.
Guardai la scalinata della Cattedrale. Era schierata dalla luce fredda delle lampade che vegliavano in silenzio quella solitudine. E la facciata della cattedrale. Anch'essa immensa. Anch'essa pallida. Anch'essa muta.
Guardai per un attimo il campanile. Confuso nelle ombre della notte. Ripensai la pesante campana che aveva riempito l'ora del vespro di dolorosi rintocchi. Mentr'ero lì. Nella casa avìta. Anch'essa fredda. A svolgere i colloqui d'ogni sera. Con la memoria di mio padre. Al Pozzo, dopo aver percorso i pochi vicoli con le mani sprofondate nelle tasche dell'impermeabile e immerso in una sciarpa di lana fino agli occhi, vidi te. Deserto. Col cancello socchiuso. E le vetrate dell'Episcopio rischiarate sommessamente da qualche lampada.
Nell'aria di tempesta, o viale solitario, vagava l'eco di una triste nuova. Che non tardò a raggiungermi.
""IL NOSTRO VESCOVO E' MORTO!"
Appresi così che aveva concluso la sua giornata terrena alle 12,30 di quel giorno.
Tu ben puoi capire la costernazione e il rimpianto di quelle ore. Tu. Che gli fosti fedelissimo amico. In lui io vidi sempre la quercia frondosa che accolse sempre tutti al suo riparo. Fu il rifugio di tutti. E a tutti diede sempre pane. Pace. Fede. Protezione. Forza.
Passò come un seminatore. Seminando instancabile il bene a bracciate piene. Nel solco tracciato da Cristo. Del resto, anche il suo eccezionale fisico era una quercia antica. Sagomata con l'ascia. E la splendente Croce di Cristo sul suo vigoroso petto era un autentico faro saldo ed eterno sul suo agile e forte passo di missionario. Era proprio dalla sua persona fisica che traspirava tutta la forza del suo Credo. E con la passione, la tenacia e la forza d'un boscaiolo, fu missionario della verità di Cristo oltre gli orizzonti. E oltre i mari. Le sue pupille buone erano lo specchio della sua grande anima. Infondeva a tutti fiducia e conforto.
Al solo guardarlo sorgevano immagini remote di vita arcaica e pastorale. Piena di quiete. Di messi d'oro. Di greggi. Di armenti nei pascoli tranquilli. Di vigne. Di mosti. Di nenie lontane di zampogne. Di cieli sereni. Di deschi profumati del fresco pane appena sfornato. Di calici di generoso vin rosso. Di famiglie patriarcali. Dall'incrollabile vecchio ceppo. Che tracciavano il Segno della Croce sul pane croccante. Prima di romperlo. O di tagliarlo. E a sera nei campi, quando l'eco di una campana portava loro l'ora dell'Angelus, si scoprivano. E segnandosi recitavano un Pater. Alzando gli occhi al cielo.
Queste erano, o viale solitario, le immagini che il nostro Grande Cappuccino suscitava in me tutte le volte che avevo la fortuna di parlargli o di scorgerlo magari da lontano.
Queste immagini ora nella mia mente sono simili a foglie di platani. Impazzite. In un turbine d'autunno.
In te ogni sera, o viale solitario, passando davanti al tuo cancello, io vedrò la sua ombra fatta di luce.
Ora, addio, viale solitario!
Addio vecchio amico delle sue meditazioni e delle sue preghiere. Ma... Cos'è quest'improvviso chiarore? In questa notte fonda? Cosa succede lassù! Guarda! Sotto le mura del Castello. Ai piedi della Cattedrale. Nella roccia buia c'è ora tanta luce. Vedi? S'è aperto un angolo di cielo. Guarda. Guarda.
C'è una falda d'acqua che sgorga. Ha riflessi lucidi d'argento e d'azzurro! E quell'ombra vestita di sole?...Si...Sì!....E' Lui!...Il nostro Grande Cappuccino!
Guarda, guarda o viale solitario quelle braccia ora protese verso di noi! Sono le sue poderose braccia!!
Si! Si! Il suo volto splende e sorride! Ci chiama!
E' beato! Stille d'argento gocciano ora dalla coppa delle sue mani.
Sì! Sì! Viale solitario.... E' acqua lustrale!
Corro da Lui! Da Lui! E se le leggi delle frontiere terrene mi vieteranno quest'incontro che trascende le frontiere stesse della vita facendomi svanire questa realtà come in un sogno, ugualmente io ancora udrò la voce sua!
Poggerò il cuore a quella roccia.
Ed Egli, sempre beato, dalla sua bara sotto l'arco del grande Tempio del castello, con la stessa sua calda voce terrena d'un tempo e di sempre, subito mi dirà che il premio più grande della intera sua vita di quaggiù, è stato lassù, negli alti cieli, il bacio di Cristo!
Tornerò, viale solitario! Tornerò ancora in una notte senza stelle. A parlarti sempre di Lui. Dell'indimenticabile nostro grande Cappuccino.
Ieri, sentinella avanzata di Dio. In terra. Ora, sentinella di Dio. Nell'eternità.
---DE FORTI DULCEDO - SUA ECCELLENZA MONS. BERNARDINO SALVATORE RE, cappuccino-vescovo di Lipari Palermo - Fiamma Serafica, 1963
""notevole, tra gli edifizi sacri che Egli volle costruiti o ampliati, la nuova chiesa dell'Isola di Vulcano, opera realizzata col suo provvido e generoso intervento e alla cui inaugurazione fece udire come al solito la sua parola che sapeva far vibrare di fede ed entusiasmo l'animo degli uditori.""
De Forti Dulcedo - SUA ECCELLENZA MONS. BERNARDINO SALVATORE RE.
Foto riportata su testi sul confino a Lipari, per chi no l'avesse mai vista, da:http://www.inventati.org/resistenza/som.htm
la didascalia della foto riporta:""Lipari (1927), confinati. Seduto in prima fila Augusto Consani, segnato con una crocetta (foto inviata da Gigi di Lembo).
Augusto Consani: anarchico, sindacalista, ardito del popolo (livorno)
Nato a Livorno nel 1883, figlio di Primo e Gemma Poggianti, a vent’anni era già schedato dalla polizia come anarchico pericoloso. Avendo iniziato presto a lavorare presso il pastificio del padre, aveva frequentato la scuola solo fino alla 3ª classe elementare, ma grazie all’impegno di autodidatta e alla passione per la lettura, gli stessi questurini annotarono che seppure «di scarsa cultura […] vi supplisce con una intelligenza abbastanza svegliata, con la facilità di parola e con un fine intuito superiore alla sua età».
Nello stesso anno, secondo alcune fonti, avrebbe incontrato a Livorno l’anarchico Gino Lucetti prima che questi giungesse a Roma per attentare alla vita Mussolini l’11 settembre 1926, con la complicità di altri anarchici e di Vincenzo Baldazzi, ex-dirigente degli arditi del popolo.
Nel novembre seguente è tra i primi livornesi, assieme all’anarchico Virgilio Antonelli, ad essere condannato al confino; giunto a Lipari il 18 dicembre 1926, nel marzo 1927 viene liberato condizionalmente, in quanto ammalato gravemente di tubercolosi, contratta durante il servizio militare, e torna a Livorno.
Di Lembo, Luigi, Gigi, storico, militante anarchico, (Firenze 1947 - Livorno 2011), SIUSA
Luigi Di Lembo, detto Gigi, nasce a Firenze il 7 gennaio del 1947. Entra in contatto con l'ambiente anarchico quando, a seguito dell'alluvione di Firenze del 1966, lavora come volontario per salvare il patrimonio documentario della Biblioteca nazionale. Laureatosi in Scienze politiche sotto la guida di Gaetano Arfè, diventa ricercatore di Storia contemporanea presso l'Università di Firenze, alternando l'impegno universitario a lunghi viaggi in giro per il mondo, molti dei quali compiuti per mare, sua grande passione.
Autore di numerosi studi sulla storia del movimento anarchico e quello operaio, è stato tra i fondatori nel 1994 della «Rivista storica dell'anarchismo» - punto di aggregazione degli storici di ambito libertario - e membro del comitato scientifico fino alla chiusura nel 2004. In questi anni svolge una intensa attività all'interno del movimento anarchico e della Federazione anarchica italiana (FAI) partecipando a numerose iniziative dedicate alla conservazione della memoria del movimento: convegni, presentazione di libri, nascita di archivi e centri di ricerca.
La sua opera più nota «Guerra di classe e lotta umana. L'anarchismo in Italia dal Biennio rosso alla Guerra di Spagna» (Pisa, Biblioteca Franco Serantini edizioni, 2001) ricostruisce la storia del movimento anarchico italiano nel periodo tra le due guerre. Ha collaborato al Dizionario biografico degli anarchici italiani (Pisa, Biblioteca Franco Serantini edizioni, 2 voll., 2003-2004).
Muore a Livorno il 24 marzo 2011.
Epoca del 21 giugno 1964 n.717, EOLIE LE LEGGENDARIE ISOLE DELLE SIRENE foto di Giac Casale testi di Guido Gerosa.
di Giada Tosti: I miei genitori salivano e scendevano dalla nave proprio così!.. Con la barchetta che faceva sponda da Ficogrande!
Di passaggio pranzo con il caro amico Angelo Sidoti e consegna libro:
Mons. Bernardino Salvatore Re.
Canneto, mareggiata 1981.
di MAURO DE MAURO "Con poche ore di viaggio per mare, gli italiani hanno a disposizione per tutto l'anno uno degli ultimi paradisi terrestri: Vulcano, un'isola meravigliosa e ospitale nell'arcipelago delle Eolie dove il turista trova tutto ciò che dà gusto e intelligenza alla vita."
ESCURSIONE ALLE ISOLE EOLIE 1909 L.V. BERTARELLI (“ON MILANES IN MAR”) 1909
(I Coatti)
Dei coatti di Lipari dirò solo ciò che ho intraveduto in due visite brevissime che le circostanze non mi hanno permesso di prolungare ed approfondire, l’una fatta adesso, l’altra già dieci anni or sono in inverno. Nulla aggiungerò. Se il quadro pare troppo fosco per essere credibile non posso che dire: andate a vedere.
Una stradetta bastionata a feritoie si arrampica sul fianco della scogliera che domina Lipari, interclusa da postierle vedove dell’antica saracinesca. Il castello che stava sulla spianata non esiste più. C’è in suo posto, sulla grande piattaforma di 300 metri di diametro, un ammasso di casupole cadenti circondate da una cinta, che servono di prigioni notturne per i coatti.
Questi, che sono attualmente, dicesi, circa 500, alla sera verso le 17 debbono presentarsi in Castello e per la notte vengono rinchiusi nei “”cameroni”” . Al mattino escono e sono liberi di girare in Lipari, con certe restrizioni, ove col permesso delle autorità hanno facoltà di lavorare presso i privati quando lo vogliono e soprattutto quando trovano occupazione. Purtroppo, le occupazioni, che non sono numerose, sono quelle di cavatori, macinatori e trasportatori di pomice, faticosamente adatte per pochi. Lo Stato non fornisce loro che alloggio coatto in Castello, e 50 centesimi al giorno per il mantenimento.
Andai in Castello al cader del giorno, guidato da persona che vi ha le grandi e piccole entrate. Entrando vidi un corpo di guardia di soldati e uno di agenti di pubblica sicurezza, ed una casupola chiusa come un baule coi soliti cassettoni di legno alle finestre, sulla cui portineria serrata solidamente, è scritto “Carcere giudiziario”.
E’ un deposito per i coatti che hanno commesso qualche reato per cui debbano essere sottoposti ad un nuovo procedimento penale. Vi è pure un carcere disciplinare, che rimase a me inaccessibile per i coatti in punizione. Davanti si apre una lunga stradetta irregolare quasi senza pavimentazione, con alcuni vicoli laterali, formata da tuguri quasi tutti di solo pianterreno, dall’aspetto cadente di lazzaretto abbandonato. E’ un po’ una via di Pompei con intonazione infinitamente più triste perché alla solitudine che parla di memorie grandiose è qui sostituito il formicolo di un’umanità immonda e sofferente.
Tale è l’insieme delle prigioni notturne. Ciascuna di quelle casupole è formata da uno o due “cameroni”. Tirato il chiavistello di una porta mezzo sconficcata, mentre una guardia stava di fuori, entrai in un camerone ove i coatti erano già rinchiusi. Mi si affacciò un grande stanzone lurido, basso, in parte senza pavimento, addossato per due fianchi allo scoglio e perciò da due lati senza finestre. Il terzo è quello d’entrata colla sola apertura della porta. Il quarto ha una finestrella senza vetri ed una comunicazione larga ad arco ribassato che mette in una seconda vasta camera, nelle stesse condizioni d’aria mefitica, di mancanza di luce, di sgretolamento generale di miseria trasudante da ogni angolo.
Metà dello spazio era occupato da pagliericci senza lenzuola, a file di tre o di quattro , non soltanto lungo i muri ma anche in mezzo alla stanza: giacigli sconquassati dall’aspetto sudicio, ricettacoli di chissà quali colonie di parassiti.
Come fantasmi in quell’ombra terra, stavano ritti, perché non vi sono sedie né panche, a guardarsi, gruppi di coatti. Ma mano che il mio occhio si andava adattando a quel crepuscolo di cripta mi sentivo stringere il cuore di dolorosa sorpresa. E’ un’abitazione umana questa? – pensavo.
Qualche parola che io dissi sollevò da parte dei coatti un incrociarsi di proteste contro la loro vita. Pareva che attendessero qualcuno di sconosciuto in cui versare la piena delle loro amarezze perché andassero oltre quelle tristi mura, oltre quelle spiagge mute.
Uscii di là per entrare in un altro camerone. Le stesse cose, le stesse parole, la stessa opprimente impressione di dolorosa sorpresa. Quest’altro camerone è composto di due grandi stanze formanti gomito l’una coll’altra. La seconda è cieca, il piano del pavimento sta tre gradini sotto il livello della strada. Mi accorgo che non vi sono latrine ma soltanto dei vasi cilindrici alti 50 0 60 centimetri aperte cloache schifose, che appestano le due stanze ove soffocano d’estate e battono i denti d’inverno venti o trenta uomini.
Ma tiriamo innanzi. La mia guida mi spiega che i coatti se ne hanno i mezzi, si raggruppano in sei, otto, dieci; camorristi con camorristi, mafiosi con mafiosi, teppisti con teppisti, così come la loro mala sorte o le male loro amicizie li legano e prendono in affitto sempre nel Castello, dei cameroni di proprietà privata a quattro, sei lire al mese. La cosa è rimasta per me inesplicabile. Non comprendo come case private, le quali sono identiche nella miseria loro, a quelle che dà l’Amministrazione carceraria debbano venir affittate, soltanto per permettere delle riunioni non certo fatte per il miglioramento morale di quei disgraziati.
Entrai in uno di questi cameroni spaventevoli, davvero ancora più spaventevoli che gli altri, poiché il fatto del dover pagare vi stipa ancor più orrendamente i tristi inquilini. Aveva la camera da me misurata le dimensioni di 3,80 per 2,80 con 2,20 di altezza e conteneva sei giacigli. Essa era piena, con un piccolo passeggio tra le due fila di tre. Nel fondo questa camera aveva una latrina di 2 metri per 2 con 1,80 di altezza: cucina e latrina ad un tempo s’intende senza scolo. La camera ed il retro sono entrambe cieche, hanno per unica apertura la porta, chiusa di notte e ventilata dal solo spiraglio di una finestrella a inferriate di 40 centimetri per 60.
Anche nelle case private non udii che reclami, proteste, lamentele senza fine. Da una delle guardiole chiuse un povero diavolo mi diede un allegro “buona sera”. Lo salutai e gli strinsi la mano. Perché? Non lo so, ma davvero in quel momento non l’avrei stretta ad un quest’urino.
E ancora: perché? Non è più alto la responsabilità di crudeli e inutili sevizie?
Sull’estremo limite della piattaforma del Castello vi è una gran chiesa, la Matrice di Lipari. Entrai a vedere. E’ di una delle solite chiese meridionali , barocche, tutte imbianco candido a fondi celesti, senza valore artistico. Soltanto pittura è interessante. Comparve un pretino giovanissimo e gentile che mi accolse e mi mostrò le cose più sciocche con una compunzione ed una serietà che stentavo a prendere sul serio. Il sagrestano accese le candele alla nicchia di un san Vincenzo artisticamente deplorevole. Mi mostrò anche un pallio in argento di nessun valore ed una “tela di Raffaello dipinta su legno” da un Buonascopa qualunque. Queste sciocchezze abituali alla vista dei monumenti dove non c’è niente da vedere, mi riposarono un po’ lo spirito fisso ai coatti. Il coro invece e una sagrestia tutta intagli di noce, sono abbastanza belli.
Dal portone della chiesa, volto ad occidente, filtrano, strisciando il suolo, gli ultimi bagliori del sole morente, e rifrangendosi nei prismi di cristallo dei lampadari, dipingono sugli stalli severi, immersi nella penombra, vagolanti spettri, ondeggiamento di luci variopinte.
Sotto il coro, in una cripta, stanno ritti addossati alle pareti fredde, gli scheletri trentadue canonici come una macabra pittura cui lo spirito sovreccitato prestasse il rilievo del vero. Orrida visione di femori e di piedi mal composti, di braccia slogate, terminanti in mani cui sono cadute le falangi, di spaventevoli teschi in berretta nera. Di mandibole sgangherate, gli alveoli semivuoti, coi denti superstiti orrendamente sporgenti; minacciosa atavica espressione di guerra e di odio. Ancora penso: homus homini lupissimus.
Dunque da questo castello che alberga tanto dolore, non porterò via che ricordi dolorosi? Ohimè, l’ultima scossa che dovevo ricevervi mi è rimasta sul cuore.
Udite: davanti alla chiesa si stende un piazzale contornato di muraglioni che cadono a picco sul mare e su Lipari. Sulle mura smantellate dell’antico maschio, brucano l’erba meschina alcune capre, e di tanto in tanto chiamano e par che piangano.
A sinistra sorge una tetra infermeria munita di inferriate fino al tetto.
Dallo spalto a cui mi affaccio, immenso è il panorama, immenso e pieno di pace.
Il sole è già sotto l’orizzonte del mare, ma il cerchio delle acque non è ancora netto.
Lipari è sotto la Rocca già annegata nella cinerea nebbia dei fiumi vespertini delle case. Lungo la marina, fin dove l’occhio giunge, un bianco contorno di spume disegna la costa di Lipari e Vulcano.
Lontano, in alto, una vetta dorata e bianca: è l’Etna.
Mie ero andato scostando dalla guida. Un coatto che ci aveva seguiti, era presso di me, un barese dall’aspetto umile, povero e tranquillo; sembrava un contadino; l’occhio fisso, il viso smunto senza espressione.
Gli chiesi dolcemente: “ E così come va, povero diavolo?” Egli mi guardò un momento collo sguardo stesso di meraviglia con cui prima mi aveva guardato compassionare altri, e ad un tratto, come da un incastro tolto precipita l’acqua non più trattenuta, proruppe in parole che erano come il rintocco funebre di un’anima presso a spegnersi. “Come va, signorino? : Qui non si vive : si muore ogni giorno. Dobbiamo mangiare con cinquanta centesimi. Se vi lamentate sono pugni sul viso, calci nel ventre: vi mettono in prigione a pane ed acqua. Madonna del Carmine! Sono qui da tre anni ed ho ancora un anno; ma non ci arrivo. Io morrò e non rivedrò mai più il mio paese. Maledetta mia madre; se non fossi nato, non sarei qui”. E piangeva come un bambino, o piuttosto come un uomo disfatto, e s’interrompeva per bestemmiare. Lagrime brucianti gli correvano sul viso, le sue mani secche non erano giunte a preghiera, ma contorte in un’imprecazione, esse avrebbero inconsciamente attanagliato il collo di un uomo. Quelle lagrime ancora mi stanno sul cuore. Qualunque fossero le colpe di quel miserabile, qualunque anche l’amplificazione sua nel dolersi, provai per lui una pietà scorata. La misura dell’infelicità per lui è colma. Gli posai una mano sulla spalla stringendogliela : non seppi trovare parole di conforto incrostato in quell’anima, che nulla potrà ormai più sciogliernela, neppure, forse, la libertà. Temetti un momento che nell’esplosione di tanta ambascia volesse buttarsi dal muro; ma nulla accadde. Probabilmente quel vinto neppure vi pensava. Il corpo suo viveva, lo spirito era stato assassinato da quatto anni di Lipari. Allora, senza rimorso ormai, posi del denaro, dicendo : va, bevi.
Mauro De Mauro, il giornalista de "L'Ora di Palermo, nel 1964 scrisse un articolo sull'isola di Vulcano.
Foto dal volume immagini delle sicilia del dopoguerra, scattata a Palermo nel 1964. "Aria nuova a Vulcano", un pezzo di storia di Vulcano.
Vecchia foto di Lipari: con in primo piano la Chiesa di San Giuseppe pubblicata da L.B. Bertarelli (On Milanes in Mar) con escursione alle isole eolie del 1909.
Il vaporetto in grado di far tutte le traversate da e per Milazzo.
L'edificio più antico è Villa Stevenson, una casa risalente alla metà del XIX secolo che sorge di fronte alla Pozza dei Fanghi, un laghetto caldo di acque sulfuree, alle quali sono riconosciute numerose proprietà curative per dolori articolari, reumatici e malattie della pelle. La Villa Steveson o Castello dell'inglese, fu abitata da uno dei proprietari dell'isola durante i suoi soggiorni a Vulcano. James Stevenson nel 1870 comprò, dagli eredi del generale borbonico Nunziante, la maggior parte dell'isola di Vulcano, ed accanto all'attività estrattiva si dedicò anche all'agricoltura, impiantando i primi vigneti.
Foto di Piero Di Blasi spedita il 16.08.1955: Panarea, con l'Eolo in transito.
Dopo il bellissimo post di Salvatore Agrip che ringrazio per le belle parole nei miei confronti, dove riporta una bella testimonianza sulla "Pomice", tratta un volume molto bello e completo sotto i vari aspetti, un'altra piccola testimonianza tratta da:ESCURSIONE ALLE ISOLE EOLIE 1909
L.V. BERTARELLI ("ON MILANES IN MAR") 1909
""Lipari vive del suo mare pescoso e commerciale, dei suoi campi di grano, dei ricchi vigneti che producono un vino di forza infernale ed un malvasia pregiatissimo e dell'uva passolina. Vive soprattutto di pomice.
Nei fianchi dei suoi monti vi sono immense formazioni di questa roccia leggera e biancheggiante che dà ai luoghi nomi pittoreschi, come ad esempio Monte Pelato, riscontro ad altri come il Monte Rosa, il Capo Rosso, che dimostrano come la natura mineralogica si imponga qui all'attenzione popolare.
Le cave sono in parte comunali affittate, od in parte di proprietà privata: profonde, caldissime nell'interno; anzi talora raggiungono temperature insopportabili. Sono coltivate con metodi vecchi, industrialmente non lodevoli ed igienicamente pericolosi. La loro interna struttura si assomiglia a quella delle solfare siciliane.
Dura vi è l'opera di estrazione, che si fa col piccone; durissimo il trasporto all'esterno, entro sacchi e recipienti di stuoie e di vimini, al quale sono adibiti anche ragazzi giovanissimi evidentemente senza alcun rispetto alla legge sul lavoro (fig. 8).
Producono abbastanza per tutta Europa ed anzi per esportare oltre mare. Dei vapori sono sempre sotto carico a Canneto o ad Acquacalda, dove in grandi molini, di cui vari appartengono ad una ditta tedesca, si opera una cernita di materiale ed in parte la sua macinazione in mezzo ad un pulviscolo folto, persistente, che si diffonde a distanza come una nebbia intorno agli stabilimenti ed è visibile a più chilometri, quasi questi fossero circonfusi di una nube semitrasparente.
Siccome vi è una tassa comunale di imbarco sulla pomice, qualunque ne sia l'origine, il bilancio comunale di Lipari non ha bisogno di imporre altre tasse. Rara avis! Non di meno non si può dire, almeno da quanto io ho visto, che Lipari si avvantaggi pubblicamente molto di questo fortunato stato di cose. Essa mi è sembrata quest'anno, identica alla Lipari di dieci anni fa, quando un'altra volta visitai le Eolie. Anche oggi trovai l'identica mancanza di comfort e la stessa sporcizia per la quale messo piede nell'Albergo Nazione, che passa per il principale, fuggii in strada inorridito senza saper bene dove avrei posato il mio scarso bagaglio.""
"Particolarmente curiosa è tra i pescatori e i marinai, la credenza di far sparire le trombe marine, chiamate Maniche, Cudi i surici o trombe, per mezzo di alcune misteriose parole: "Forza del Padre, sapienza del Figlio, virtù dello Spirito Santo; ti taglio manina mentre ti decanto". Tutta la gente ne parla con la massima serietà. Queste parole vengono apprese durante la messa della Notte di Natale, alla consacrazione, oppure al Venerdi Santo; ma possono essere dette anche la sera dell'Epifania. Pronunciarle, sia pure in caso di pericolo, è peccato, ma può essere rimesso; mentre costituisce sacrilegio ripeterle in altre circostanze, per cui è impossibile ottenere l'assoluzione"
da: DIE LIPARISCHEN INSEL, ACTHES HEFT: ALLGEMEINERE. (Le Isole Eolie Ottavo Volume Parte Generale a Cura di PINO PAINO).
Dalla provincia di Trapani: il marinaio sale su un posto elevato e, guardando la tromba, si fa il segno della croce e recita: "Lunniri è santu, Martiri è santu, Mercuri è santu, joviri è santu, Vennari è santu, Sabatu è santu, la Duminica di Pasqua, sta cura a mari casca e pi lu nomu di Maria sta cura tagghiata sia".
""A principiare del tempo, remoto, in cui la gente delle Eolie navigava per commerciare le ossidiane, la vita degli isolani è sempre stata legata al mare, amico-nemico....."".
Alfredo Camisa Bartolo Cattafi. ACI 1960. L'aliscafo "Freccia del Sole", un Pt20 che collegava anche le Eolie..
Peppino Muscarà: Roger Moore in un film di James Bond utilizzò lo stesso aliscafo che usciva da dietro uno yacht per scappare.
"Isola di vulcano. rudimentale pozzo azionato da un asinello. arcaiche forme di vita e primitivi strumenti di lavoro sopravvivono ancora nel mondo patriarcale dei contadini eoliani".
IL PLAUSO.
di Salvatore Agrip
L'Amico Massimo Ristuccia ormai da tempo ci fornisce documenti e foto sconosciute che riguardano il passato delle nostre isole, la sua passione per queste ricerche sta arricchendo la memoria storica della nostra comunità, personalmente lo seguo con interesse e ne apprezzo i risultati in particolar modo i documenti legati alla secolare attività estrattiva della pomice. Grazie a lui ho potuto acquistare un libro in una libreria d'epoca in cui viene documentato uno studio per "l'igiene e la sicurezza del lavoro nell'industria della pomice di Lipari", fatto nel maggio del 1955, per conto dell'E.N.P.I. (Ente Nazionale per la Prevenzione degli Infortuni), da parte di una commissione formata, da un medico del lavoro, un ingegnere, un assistente sociale e un tecnico per la documentazione fotografica. Dopo averlo letto con molto interesse e malgrado che l'intestazione fosse riferita all'igiene e la sicurezza sui luoghi del lavoro, tale studio nel suo contesto generale è una vera e propria indagine che oltre ad analizzare i luoghi di lavoro, analizza anche gli aspetti produttivi, sociali e culturali dei lavoratori, tanto che ha richiesto la permanenza del gruppo di studio per diverse settimane sui luoghi e si può definire un vero testamento che fotografa la singolare realtà, estrattiva e di lavoro dei cavatori della pomice, esattamente, sessanta anni fa.
Il libro si compone di sei capitoli;
Nel primo capitolo viene descritta l'industria della pomice e si riportano i dati geografici e geologici, la mineralogia dei giacimenti e le caratteristiche chimico-fisiche della pomice, i prodotti industriali ed impieghi della pomice, gli aspetti economici-commerciali dell'industria, con varie schede inserite. Si cerca di descriverne la forza lavoro e tal proposito si riporta, " Il numero di unità lavorative che trovano impiego in Lipari nell'industria della pomice non è facilmente valutabile ....... buona parte delle lavorazioni hanno carattere stagionale o semistagionale (normalmente il lavoro alle cave si effettua solo nei mesi estivi, quello agli stabilimenti anch'esso nei mesi estivi e solo in misura ridotta e saltuaria nei rimanenti) per cui la mano d'opera ha carattere fluttuante. In via di approssimazione si può , tuttavia, calcolare che nelle cave comunali e private lavorino da 1.000 a 1.200 operai, e da 800 a 900 negli stabilimenti. La mano d'opera di questi ultimi è in buona parte costituita da personale femminile. Alle dette unità sono da aggiungere circa 250 lavoratori iscritti alla compagnia portuale di Canneto-Lipari i quali, quando non trovano impiego per il carico del prodotto da esportare sui velieri e sui piroscafi, ben spesso si occupano dell'escavazione o della lavorazione negli stabilimenti".
Nel secondo capitolo, si descrive la lavorazione della pomice. Nel primo paragrafo, sugli aspetti generali viene specificato che la lavorazione riguarda due grandi categorie di prodotti: la pomice in pezzi, dalla quale venivano ricavati i sagomati di pomice, e la pomice da molitura, distinta in pezzame, granulato e polveri di pomice. Nel secondo paragrafo viene descritto il lavoro nelle cave e tal proposito riporto, "trattasi di gallerie a scalini che seguono il percorso degli strati del giacimento. Ricavate senza mezzi meccanici, risultano in genere rettilinee, con sezione di metri 1,50/2,00 X 1,50, con volta a taglio grezzo, senza armature e rivestimento. Lo strato di pomice raggiunto dallo scavo è sfruttato col piccone e demolito in pezzi di grandezza variabile a seconda della riuscita del taglio. Il lavoro implica lo sgombero dei materiali di rifiuto, praticato con pala e cofano di vimini a spalla. In ogni galleria lavorano da tre a cinque operai........ Nelle cave a cielo aperto, dette taglie, viene usato il sistema di coltivazione a rapina. Esso consiste nel cavare il minerale, sfruttando la naturale pendenza del giacimento ed attaccando dal basso la parete di pomice con il piccone. Il banco di pomice alto fino a 4m. viene indebolito progressivamente praticando alla sua base piccoli scavi (come inizi di gallerie)...... I piedritti di sostegno che ne risultano, sono fatti crollare attaccandoli con aste di legno munite di punta metallica. Si provocava in tal modo il crollo della falda soprastante". Ne terzo paragrafo viene descritto il lavoro nelle baracche, dove avviene la pulitura e selezione, la spezzatura, la limatura, la rotolatura e molatura (con la quale venivano ricavati i famosi topolini di pomice). Nel quarto paragrafo viene descritto il lavoro negli stabilimenti che a suo tempo erano circa una decina, con una manovalanza variabile per ogni stabilimento da un minimo di 20/30 unita a un massimo di 100/130 unita e la lavorazione del pezzame, del lapillo, il trasporto del materiale grezzo e lavorato e i locali di lavoro.
Nel terzo capitolo, si riportano le cause di rischio nell'industria della pomice. Il primo paragrafo parla della polvere nell'industria della pomice e si riporta, "La polvere rappresenta la causa predominante di insalubrità nella lavorazione della pomice. Nessuna fase lavorativa ne è esente. Il rischio varia, tuttavia, notevolmente con il tipo di lavoro e con la fase di lavorazione. Il lavoro negli stabilimenti è molto più polveroso di quello che si svolge nelle cave e nelle baracche........ Nell'interno degli stabilimenti, fonte principale della polvere sono i buratti ed i forni in tutte le fasi di funzionamento. I forni per il pezzame sono alimentati attraverso canali in discesa che lasciano cadere il materiale direttamente, originando il sollevamento di notevole quantità di polvere. Anche il versamento del lapillo dalle carriole a mano sulle piastre dei forni, per la produzione di seconda qualità, dà luogo a formazione di polvere....... Chi di noi ha eseguito la raccolta dei campioni sulle piastre dei forni, sorvegliando da vicino l'apparecchio, ha potuto notare i tappi di polvere che si formano nelle narici già dopo pochi minuti di permanenza". Il secondo paragrafo ci parla della pneumoconiosi tra gli operai della pomice, si fanno dei vari accenni agli studi fatti in passato e in particolar modo di uno studio fatto dall'INAIL nel 1950, anche con l'uso di una stazione schermografica mobile con la quale vennero eseguite oltre mille schermografie, si riporta quale furono gli esiti. "le conclusioni alle quali è pervenuto il Columba sulla scorta dei dati clinici emersi dall'indagine dell'INAIL, per quanto riguarda il decorso e la prognosi della forma pneumoconiotica, conclusioni riferite dal Matteucci nella citata monografia. La silicosi dei lavoratori della pomice di Canneto Lipari è una malattia ad insorgenza piuttosto tardiva ed a decorso abbastanza lento. Riesce di solito gravemente o totalmente invalidante solo nelle forme più avanzate ed anche in queste abbastanza spesso tardivamente, con caduta allora, quasi improvvisa o quanto meno assai rapida delle condizioni del soggetto; I suddetti lavoratori vanno incontro alla reticolazione in genere dopo 10-12 anni di lavoro. La reticolazione evolve con lentezza trasformandosi in silicosi nodulare dopo una decina di anni. Infine, dopo 25-30 anni, si perviene alle forme di silicosi massiva; Non intervenendo complicazioni (in genere bronco-polmoniti) o mancando malattie intercorrenti, il silicotico di Canneto-Lipari muore dopo molti anni o addirittura decenni con il quadro più o meno conclamato dello scompenso cardiaco destro: in piena coscienza, tormentato dalla dispnea, angosciato dalla fame d'aria, disperato nella invocazione della morte liberatrice; Decorso più rapido e maggior gravità presenta la malattia negli operai che sono adibiti ai forni per l'essiccamento della polvere, esposti direttamente all'inalazione di quantità massive della stessa polvere surriscaldata: qui l'insorgenza è precoce, la reticolazione può comparire già dopo tre anni, ed anche meno, di lavoro, dopo 10-12 anni si arriva ordinatamente alle forme massive; continuando la esposizione i pazienti vanno incontro alla invalidità totale o addirittura all'exitus, nel giro di 15-16 anni."
Nel quarto capitolo vengono descritte le forme di prevenzione da adottare, nel lavoro delle cave, nel lavoro delle baracche, nel lavoro degli stabilimenti, nelle operazioni di trasporto e naturalmente la prevenzione della silicosi chiamata "liparosi". Viene descritta la trasformazione razionale degli impianti, la sistemazione dei servizi igienici che sono del tutto assenti e viene citata la nuova legge regionale 4 aprile 1956 n. 23 di polizia mineraria, considerato che il libro viene messo in edizione nel 1958.
Il quinto capitolo è particolarmente interessante per uno "studio sociologico e dei rapporti umani nell'ambiente di lavoro dell'industria della pomice di Canneto Lipari". Il metodo per le informazioni sui modi di essere e di comportarsi degli operai, viene basata su tre strumenti: il colloquio, l'osservazione diretta e le visite domiciliari. Il colloquio viene principalmente imperniato sulla base di un questionario con circa 40 domande e le interviste vengono fatte su due gruppi di operai, il primo composto da 17 elementi appartenenti a una azienda a ciclo ridotto e il secondo gruppo composto da 19 elementi appartenenti ad una azienda a ciclo intero di lavorazione. L'osservazione diretta degli operai al lavoro e nei momenti di riposo è servita come mezzo integrativo conoscenza integrativa allo studio. A tal proposito si riporta,".... non esistono impianti igienici, spogliatoi e locali collettivi. Durante i periodi di riposo e per consumare i pasti gli operai si ritirano all'ombra nelle brevi gallerie di caricamento. Gli stabilimenti sono stati costruiti tenendo presente, sia pure in modo del tutto primordiale, la loro funzionalità e l'economia. Questo fa si che visitando uno stabilimento, anche dei più importanti, se ne riporta una impressione di precarietà e di incompletezza. Tutto concorre a consolidare questa impressione: le scale senza ringhiere, le terrazze prive di protezione, i passaggi improvvisati con tavole insicure, ecc..... Ci siamo sforzati di trovare una spiegazione plausibile, che naturalmente non può essere univoca, di questo stato di cose. Indubbiamente una componente di tale spiegazione è quella economica: le ringhiere e i presidi protettivi, richiedono un impiego di capitale che l'imprenditore considera erroneamente improduttivo. Altra componente non trascurabile è la mancanza di cultura tecnico-professionale nell'imprenditore (nell'industria della pomice è assente del tutto i tecnico). Quando un problema nuovo si presenta, l'imprenditore interviene consultandosi col caposquadra. Conseguentemente la mancanza tecnico-professionale porta alla improvvisazione. Ci si arresta all'essenziale, al minimo sforzo; manca ogni capacità di perfezionamento. Questo senso di -non compiuto-, di -non finito- influisce in modo negativo sull'operato e, in particolare, sul suo rendimento". Le visite domiciliari, infine hanno permesso di osservare l'operaio, fuori dall'ambiente di lavoro e fare anche li delle domande sia a lui che ai loro familiari, per poter avere delle considerazioni comparative. A tal proposito si riporta, "Diverso è stato il comportamento dell'operaio intervistato sul lavoro e intervistato nella propria casa. Il contegno è apparso meno imbarazzante, più sicuro. I rapporti interfamiliari sono stabiliti sul metro dell'autorità del capofamiglia che comanda, la moglie si tiene in disparte, in atteggiamento dimesso. E' il marito che offre il vino all'ospite, che conduce la conversazione. Alle domande che qualche volta rivolgevamo alla moglie, spesso era il marito che rispondeva. Riteniamo che a tutto ciò concorra, oltre alle particolari abitudini meridionali, anche il fatto che la personalità dell'operaio è durante il lavoro repressa e che l'operaio stesso trova nei rapporti familiari un elemento compensatore all'azione prostrante dell'ambiente di lavoro".
L'ultimo capitolo è sulle "Considerazioni finali".
Viene descritto il perché dello stato di fatto e l'aspetto culturale della lavorazione della pomice, facendo dei riferimenti al passato e poi si elencano una serie di iniziative, con riferimento di alcune leggi, per l'ammodernamento del ciclo produttivo e delle esigenze umane e sociali dei lavoratori-cavatori. Infine il libro viene arricchito di circa trenta foto che raffigurano gli operai-cavatori che lavorano e ne spiegano il tipo di lavoro fatto.
TUTTITALIA ed. SANSONI DE AGOSTINI 1960 la Sicilia volume II. ""......La sua produzione, che era di 10.000 tonnellate più o meno cinquanta anni fa, supera oggi le 100.000 tonnellate. La pomice è attualmente la principale fonte di vita di Lipari, e alla sua industria sono legate in diversa guisa 4000 persone. Il porto da cui vien caricato per 8/10 il materiale , cioè Canneto, è il più animato delle isole la sua popolazione – così come nel vicino villaggio di Acquacalda, sulla costa settentrionale, da cui parte 1/5 della pomice – è l'unica che sia aumentata dopo il 1901,........."".
Giuseppe Mercalli: le eruzioni dell'Isola di Vulcano, incominciate il 3 agosto 1888 e terminate il 22 marzo 1890.
Presso la Biblioteca dell'ISPRA, che conserva la preziosa raccolta di libri e carte antiche già appartenenti al Servizio geologico d'Italia, è stato rinvenuto un volume che descrive e illustra "Le eruzioni dell'Isola di Vulcano", che si sono verificate nel periodo compreso fra il 3 agosto 1888 e il 22 marzo 1890. Questa fase eruttiva rappresenta l'ultima attività parossistica, alla quale ha fatto seguito un lungo periodo, che perdura ancora oggi, caratterizzato da fenomeni quali fumarole ed emissioni di vapore sia subaeree che sottomarine.
Autori di questo volume sono Giuseppe Mercalli (in quel periodo Docente di Vulcanologia e Sismologia nell'Università di Napoli) e OrazioSilvestri (Professore di Geologia e Mineralogia all'Università di Catania), con contributi di Giulio Grablovitz (Direttore dell'Osservatorio di Casamicciola) e di V. Clerici (Capo del Genio Civile di Messina).
Scriviamo questo post in onore di Giuseppe Mercalli, del quale quest'anno ricorre il centenario della morte; il 19 marzo 2014, infatti, è stato inaugurato a Napoli presso il Convitto Vittorio Emanuele II l'anno Mercalliano che si concluderà a Milano, città natale di Giuseppe Mercalli, nell'ambito dell'Expo 2015, passando per Roma, Catania, Isole Eolie, Genova e Torino. (Marco Pantaloni e Fabiana Console)
Il volume del quale parliamo in questo post illustra, in maniera completa e approfondita, molti aspetti legati all'attività dell'Isola di Vulcano; inizia con una descrizione topografica e geologica dell'isola e disamina sul "Modo di presentarsi" delle eruzioni succedutesi "dai tempi remoti fino al presente".
Silvestri, Grablovitz e Clerici analizzano poi i diversi fenomeni geodinamici, fisici e meccanici legati alle eruzioni, mentre Mercalli e Silvestri effettuano studi fisico-chimico-petrografici sul materiale eruttato.
Le conclusioni vengono lasciate a Silvestri, che discute "dei fatti osservati e criteri sui quali si può fondare qualche giudizio sul meccanismo eruttivo di Vulcano".
Piero Di Blasi, Le Isole Eolie, pubblicato nel maggio del 1956 dalla rivista mensile del Touring Club Italiano, 'le Vie d'Italia'.
1) La didascalia che accompagnava l'immagine indicava questo scorcio dell'isola come la 'via dei capperi'
2) All'interno di una casa di Panarea, compaiono gli oggetti che testimoniano l'arrivo dei nuovi residenti venuti dalla moderna civiltà industriale italiana.
Sedie in acciaio e tela e stoviglie e piatti in plastica impongono nuovi standard di funzionalità, relegando nassa, vecchie lanterne ed un grappolo di pomodori a puro elemento di decorazione.
3) Un altro scatto di Piero Di Blasi scopre il paesaggio di Panarea nel 1956, con il suo straordinario intreccio di bellezze ambientali - qui con Stromboli all'orizzonte - e con i segni di una cultura materiale isolana destinata presto a scomparire.
Testimonianze su Piero Di Blasi
Dal Radiocorriere del 19 - 25 febbraio 1956, pag. 9 - 11:
Lascia o raddoppia – Mike Bongiorno presentatore con uno dei concorrenti: Bruno Dossena ballerino geografo.
Tra l'altro..........""BONGIORNO - Questa sera noi Le dobbiamo dire due cose molto belle. Nella evenienza che Lei raddoppi questa sera, c'è un gruppo, non so bene quale gruppo sia, che Le offrirà un appartamento, cioè un appartamento dove Lei eventualmente potrà andar quando si sposa.
DOSSENA - Ottima idea ! "Conditio sine qua non" il matrimonio ? L'idea è buona,
BONGIORNO - Nell'evenienza che non raddoppi e caschi, Le daranno questo appartamento. In più abbiamo ricevuto una lettera da un signore che è il proprietario di una magnifica villa in una delle Isole Eolie, dove Lei potrà andare come ospite con la Sua fidanzata per otto giorni.
DOSSENA - Potrei sapere il nome ?
BONGIORNO (Si mette gli occhiali) - Riceviamo tante lettere che non ci possiamo ricordare tutto. Si chiama Piero De Blasi della Panaria. Guardi qui che bella villa. Anche qui se perde..."".
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Da un articolo del Corriere della Sera di Fumagalli Marisa del 13 agosto 1995.
""Ma un habitue' dell' isola, l' avvocato milanese Piero Di Blasi, denuncia il "lato nero" della perla delle Eolie. Assieme a un gruppo di turisti, ha scritto al Corriere lanciando il grido d' allarme: le coste di Panarea sono a rischio. Le imbarcazioni, in spregio della legge, si ancorano a riva, con grave pericolo per i bagnanti, in particolare per i bambini.""
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PANAREA, ISOLA INCANTEVOLE
Nei ricordi di un avvocato milanese in pensione, i trascorsi di un luogo splendido che oggi, per la massiccia presenza dei turisti, ha perso parte del proprio fascino.
3 maggio 2002 - Sono un avvocato milanese in pensione innamoratosi, negli anni '50, dell'isola di Panarea nell'arcipelago delle Eolie quando, portato dal pittore Aldo Cerchiari e dalla moglie Elda, vi scopersi tutti i suoi doni. Diciamo subito che la Panarea di allora non esiste più, è rimasto il fantastico ricordo solo nei frequentatori più anziani.
Automobile Club d'Italia ""Italia Nostra"" Itinerari italiani. Finito di stampare il 30 dicembre 1960. LEA 1961 Roma. ""Lipari, centro delle Eolie (Francesco Pellegrino)"
""......In conseguenza di questo risveglio delle isole, logicamente la principale loro sede, Lipari, si è ingrandita e rianimata; è uscita dai muraglioni del XVI secolo, fra cui era stata raccolta e difesa per così lungo tempo, e si è dilatata sulla piana di alluvione che la circonda ad ovest.
Automobile Club d'Italia ""Italia Nostra"" Itinerari italiani. Finito di stampare il 30 dicembre 1960. LEA 1961 Roma. Lo Stretto di Messina e le Eolie. Alfredo Camisa Bartolo Cattafi
""Il Gran Cratere di Vulcano dal Porto di Levante. Qui un eremita di Lipari avrebbe veduto sprofondare il re goto, Teodorico. La leggenda popolare è raccolta dal Carducci:
Ecco Lipari, la reggia di Vulcano ardua che fuma e tra i bòmbiti lampeggia
de l'ardor che la consuma: quivi giunto il caval nero contro il ciel forte springò annitrendo ; e il cavaliero nel cratere inabbissò."
Un laghetto di acqua bollente a Vulcano. Singolarissimi fenomeni geologici, soffioni di vapore, sorgenti di acqua bollente, vulcanetti di fango, fumarole, emanazioni di anidride carbonica e di idrogeno solforato nella sabbia e nell'acqua del mare, variopinte sublimazioni di Sali sulle pareti delle grotte, sono osservabili su quest'isola, in ristretto spazio, soprattutto nel piatto istmo che congiunge il conetto di del Vulcanello al corpo maggiore.
DA SINISTRA E INDIETRO: BENITO MERLINO, UNA FERLAZZO VICINO A GINA MERLINO RAFFAELE, CONCETTINA PIEMONTE VICINO A ITALO RONCAGLIA E STEFANINO MAZZA, E QUINTINO FERLAZZO, SECONDA FILA, DEI FERLAZZI, ELGA MERLINO(SCHMIDT) CON SUA MADRE OLGA E SUO PADRE SCHMIDT, IL SIGNOR RAFFAELE PADRE DI NELLO RAFFAELE, SEGRETARIO MAIORANA CON ROSETTA DIOGUARDI GIU, FRANK SPEZIALE E A SINISTRA GIU, RICCARDO RAFFAELE, ?, MARIOLINA RESTUCCIA ? E GIUSEPPE RAFFAELE " PEPPINIEDDU" , QUINTINO FERLAZZO, LILIANA BARBUTO, IVANA BARBUTO, AGOSTINO FIOGUARDI, ARMANDINA MERLINO SCHMIDT, FRANCO SCOGLIO, ALDO MERLINO, GIUSEPPE RAFFELE E RAGIONIERE VINCENZO MAIORANA.
Foto di Frank Speziale
Volume "La Sicilia" del 1962 con altre belle foto delle Eolie di allora.
The Brooklyn Daily Eagle New York 30 sep 1951.
Arpad Kirner, ingegnere ed esploratore scientifico.
Nel 1914 l'ingenere ed esploratore Arpad Kirner, compie l'impresa di scendere nel cratere dello Stromboli, dichiarando di essere il primo, la notizia viene riportata più diffusamente anni dopo, nel 1933, da vari giornali e riviste, c'è chi parla di 300 chi di 800 metri in fondo al cratere, resta comunque, per i tempi impresa eccezionale, dagli strumenti usati sembra un film fantastico!
Un filo bianco sottile, una corda di amianto, è salito dritto sopra la mia testa verso il bordo della scogliera. Sotto di me ribollivano lava e fluttuanti fumi. Dondolando alla fine della corda. Venivo abbassato 800 piedi nella bocca di un vulcano attivo! Un casco in acciaio proteggeva la mia testa da rocce volanti. Il mio vestito, le scarpe, i guanti, sono stati tutti fatti di amianto. Legato alla schiena, erano bombole di ossigeno che mi hanno permesso di respirare tra i fumi. Stavo realizzando una avventura scientifica che avevo programmato per anni. I miei amici pensavano che fossi pazzo quando ho annunciato la mia intenzione di esplorare il cratere di un vulcano attivo, a scendere nelle profondità della sua enorme fossa, per fotografare l'infernale sfiato in aria mentre si fumava e brontolavano, per andare dove le esplosioni si susseguono rapidamente e dove, ancora misterioso, si verificano costantemente fenomeni. Nessuno di quelli che mi avevano preceduto in studi vulcanici aveva osato una discesa in un cratere in piena attività. Essi si erano accontentati di semplici escursioni alla bocca del Vesuvio o dell'Etna durante i periodi di quiescenza. Se sono riuscito nel mio piano, sapevo che avrei testimoniato fenomeni visti da nessuno prima. Se sono tornato all'aria aperta alla luce del sole, dopo questo viaggio in un inferno, vorrei riportare campioni, solidi e gassosi, di eccezionale interesse. Così ho deciso di fare lo sforzo. La mia scelta è caduta su di Stromboli, il cono vulcanico in aumento dal nord del Mediterraneo di Sicilia. Perché Stromboli? Perché è l'unico vulcano in Europa, di attività ininterrotta. Qui ho rischiato di morire. Nel suo cratere ero sicuro di trovare lo spettacolo che desideravo. Per me, questo vulcano è una vecchia conoscenza. Avevo studiato molte volte. Avevo scalato le sue pendici, vicino la bocca e sapevo che, di anno in anno, la forma del suo vertice ha subito modifiche. Per scegliere il luogo più favorevole per la mia discesa, ho visitato di nuovo. Poi ho preparato la mia attrezzatura. Tutto era pronto! E 'stato "con la più grande difficoltà che abbiamo issato le attrezzature sul lato di Stromboli, che aumenta rapidamente dall'acqua, senza la minima spiaggia. Nel punto selezionato in precedenza, ho preparato per il test. Sono stato assicurato alla corda di amianto per mezzo di una cintura di cuoio pesante simile a quella utilizzata dagli alpinisti. Controllo della mia discesa stata è gestita dall'alto mediante un verricello impostato diversi metri dal bordo del cratere. Per evitare che la corda venga portata via raschiando contro le rocce, una carrucola è stata messa a bordo del cratere. Molti amici, e alcuni dei nativi dell'isola scelti per la loro forza, mi avevano accompagnato e lavorato il verricello a cui era attaccata la mia corda. Come mezzo di loro segnalazione dopo il mio ingresso nel cratere, ho portato una lampada elettrica a mano. Fili che scende la corda di amianto fornito la corrente per il potente poca luce. Ho capito chiaramente il pericolo da me affrontato mentre scivolavo oltre il bordo del cratere e venivo abbassato lentamente nello spazio. Sapevo che il mio ritorno era problematico. Le mie precauzioni potrebbero rivelarsi insufficienti. Il mio cuore e polmoni potrebbero non sopportare la tensione dei gas e il caldo terrificante. Sospeso nello spazio, non sapevo dove stavo andando né dove avrei posato i miei piedi. Quello che mi aspettava alla fine della mia discesa? Rocce solide? Ebollizione di lava? Un puro, sporgenza scivoloso con il fuoco sotto? Non ho potuto dire. Come io sprofondai nella fossa, ho studiato le pareti del cratere, nero, rosso, giallo, trafitto con fori da cui vapori sulfurei versato. Ho visto sotto di me immense aperture velate in fumo. Quando alzai gli occhi, ho stimato la distanza che avevo disceso e mi sono chiesto: "Sarà la corda sopportare la tensione? Possono mai mi tirare di nuovo? ".. Improvvisamente, la discesa era finita. Sono atterrato su una sporgenza di 800 metri sotto la cima del cratere. La roccia era estremamente calda, ma ferma. Potrei stare in piedi. Ho misurato la temperatura della roccia e ha scoperto che in alcuni luoghi è stata fino a 212 gradi F. L'aria intorno a me aveva una temperatura di 150 gradi ed è stata saturata con vapori sulfurei velenosi. Grazie al mio outfit di ossigeno, sono stato in grado di respirare e così ha iniziato un tour nel fondo del cratere. Scuotere la mia corda, ho deciso per le aperture reali del vulcano, immensi pozzi verticali dieci a trenta metri di diametro.. A intervalli, con esplosioni formidabili, queste bocche gettarono via getti di lava. Le fosse, però, inclinate in modo tale che la lava sempre discese su un lato. Con tempi le esplosioni, sono stato in grado di correre per le bocche e, in alcuni casi, in realtà magra su di loro, tra eruzioni, guardando perpendicolarmente verso l'interno come si guarda in un pozzo. Cosa ho visto lì? Al di là di uno schermo di fumo e vapori stranamente colorati, ho visto un mare incandescente di lava liquida, agitato, bollitura, scosso da convulsioni. Mentre guardavo, questo mare fusa sgorgò. La forza misteriosa che muove stava per espellerlo violentemente. Era giunto il momento per l'esploratore di fuggire dal suo posto di osservazione. Appena secondi passarono prima dell'esplosione è venuto, l'orifizio sputa fuori il suo getto di lava, scagliandola centinaia di metri in aria. Grandi masse fiammeggianti ricadde nel cratere. Il resto, gettato lontano, rotolò e delimitata lungo i fianchi della montagna e immerso! in mare, con un sibilo di vapore. Tre ore passate mentre ho perseguito mie esplorazioni, i tempi il ritmo delle esplosioni, la raccolta di campioni di gas e minerali, studiando i luoghi indimenticabili intorno a me e scattare foto con la mia macchina fotografica. Percependo esaurimento vicino, ho dato i miei amici il segnale predisposto con la lampada a mano per tirarmi fuori. La salita era dolorosa oltre le parole. La mia volontà, tesa al punto di rottura, mi ha abbandonato. La riserva di ossigeno è stata esaurita e sono stato costretto a respirare l'aria carica di fumi sulfurei. Mentre ero trascinato sopra il bordo del cratere all'aria aperta, i miei polmoni tartassati cedettero e ho subito una forte emorragia. Quando mi ripresi, mi sentivo infinitamente calmo. Ero felice che ero riuscito in un'impresa ritenuta impossibile da ognuno. Qualche tempo dopo, accompagnato dal mio amico Paul Muster, ho avuto un'altra emozionante avventura sul fianco dello stesso vulcano. Da un lato è un pendio, un gigantesco piano inclinato di cenere larga più di mezzo miglio, conosciuta come la "Sciara del Fuoco." Giù le rocce e scorie e enormi blocchi di lava, rollio e legata verso il mare. Nessuno si avvicina a questo pendio. Le navi che circondano l'isola si tenevano a distanza di sicurezza. Ordine, Muster e io pepariamo per fare la salita con le telecamere cinematografiche. Ai fini, avevo preparato due armature in lamiera d'acciaio. No ci avrebbero, ovviamente, preservavato da grandi blocchi di lava, ma ci avrebbero protetto dai piccoli scogli che spesso cadevano nelle docce. Abbiamo iniziato la salita. Dopo ore di sforzo doloroso, abbiamo raggiunto un punto in cui abbiamo potuto impostare le nostre macchine fotografiche per fotografare le rocce che scagliati dal cratere di fuoco. Con i nostri film esauriti, ci siamo preparati a scendere di nuovo la pendenza. Un blocco immenso di lava, immerso nella cenere, una certa distanza dalla parte superiore, ci ha dato rifugio temporaneo. Poi Muster ha osservato una roccia nera, una quindicina di metri di distanza, che lo interessava. Lasciare il nostro rifugio, si stese a pancia in giù e si divincolava verso l'immenso cenere. Mentre stavo guardando la sua lenta avanzata, ammirando il suo coraggio, ho sentito un gran clamore che sale dal bordo del mare. Mi voltai di scatto su. I nostri amici, ai piedi del monte piangevano con terrore e cenno verso il cratere. Alzai gli occhi appena in tempo per vedere una gigantesca roccia staccarsi, descrivono un arco immenso attraverso l'aria, sciopero la cenere, li vomitare come un'esplosione, e rimbalzare di nuovo in aria. Inorridito, ho visto che era diretto verso di noi. E 'caduto ancora e ancora. Poi, con un suono infernale, ruggì quaranta metri sopra le nostre teste. La corrente d'aria ci ha gettato violentemente la cenere. Abbiamo avuto appena il tempo di prendere fiato quando nuovi problemi ci hanno assalito. Mossi dal urti successivi, il letto di scorie e pietre coprono il fianco del vulcano cominciava a muoversi. Grandi masse si staccarono, venuti scivolare verso di noi. Senza consultare, Muster siamo arrivati alla stessa idea. Con un unico movimento, ci siamo svestiti della nostra armatura, che abbiamo fatto rotolare giù per il pendio. Poi abbandonandoci alle leggi di gravità, abbiamo seguito nella loro scia. Quanto tempo che alla rinfusa, a rotta di collo scivolo continuato Non lo so. Per qualche miracolo abbiamo né rotto le spalle né fratturato nostri crani. Lacerato da ceneri frastagliate e coperto di sangue, abbiamo raggiunto ai piedi del vulcano. Qui i nostri amici ci hanno portato a mano, vestite le nostre ferite, e ci sono congratulati sulla nostra fuga.
da: Popular Science aprile 1933.
L'Unità 5 gennaio 1996.
Giovanni Platania i fenomeni in mare durante il terremoto in Calabria del 1905. (stralcio del libro UFFICIO PORTO DI LIPARI - Immagine presunta dell'Ufficio Porto di Lipari nel 1905, da internet ebay).
A pag. 16 viene riportato...........""Il mattino dell'8 settembre, a circa 2.40 a.m., ora approssimativa di bordo, mentre eravamo nel porto di Messina, noi tutti del Levant sentimmo una forte scossa di terremoto. Questa scossa interruppe il cavo Milazzo-Lipari.
Al nostro arrivo a Lipari, gli impiegati telegrafici informarono che alcuni pescatori di Lipari avevano osservato un grande volume di acqua spinto in alto e il mare fortemente agitato, verso le 2.40, nella posizione approssimata del segno d'inchiostro nella carta idrografica. Questa dovette una considerevole perturbazione alla profondità di 1100 a 1200 metri...................
""UFFICIO PORTO DI LIPARI"" Lipari 22 settembre 1905
""Nelle isole dipendenti da questo Ufficio non si è verificato alcun maremoto, dall'8 corrente a oggi, soltanto alcuni pescatori di Panaria e di quest'isola, trovandosi in mare presso la costa, dicono di vare osservato un perturbamento del mare nell'ora in cui avvenne la nota forte scossa di terremoto, ma non osservarono alcuna variazione nel livello.""
Da wikipedia:
Il terremoto della Calabria del 1905 fu un grave sisma che si abbatté sulla Calabria centrale tirrenica, devastando una vasta area tra Cosenza e Nicotera, durante la notte tra il 7 e l'8 settembre 1905 alle ore 1:43.[1][2]
Il sisma ebbe una magnitudo momento di 7,06[1] (compresa tra 6,2 e 7,9 secondo vari autori)[2] e un'intensità compresa tra il X e XI gradi della Scala Mercalli.[2] Esso provocò 557 vittime, la maggior parte nell'area del promontorio di Capo Vaticano.[2]
L'epicentro non è conosciuto esattamente, tre ipotesi prevalenti[2] sono 38°80′N e 16.10E (nel mare a largo di Pizzo) [3] 38°67′N e 16°07′E (tra gli abitati di Vibo Valentia e Cessaniti)[1], e 38°63′N e 15°47′E (nel mare tra Capo Vaticano e l'isola di Panarea).[4]
Il terremoto provocò ingenti danni agli edifici ed alle infrastrutture già carenti, devastando il territorio, molti dei danni e delle vittime furono dovute agli effetti sismogeologici quali frane indotte, spaccature, scorrimenti del terreno e liquefazioni dei terreni sabbiosi, variazione del regime delle acque su di un'area estesa per oltre 6000 Km2.[2] Ad esempio Aiello Calabro fu distrutto da una frana di crollo di una grande porzione rocciosa del monte sovrastante il paese.[2]
Il terremoto fu preceduto e seguito da numerosi fenomeni acustici e luminosi, quali forti boati e luci boreali sul mare.
una veduta di Vulcanello unita all'isola maggiore Vulcano da uno stretto istimo lavico.
Foto di Anna Magnani, ricordo di famiglia con dedica a mio padre che qull'anno insegnava a Vulcano.
L'Unità 28 aprile 1983.
Lipari, Marina Corta: fototipia g. Tonelli spedita il 11.08.1901.
I COMMENTI.
Angelo Sidoti: Grande Franco! Un cannetaro Doc.
Tina Speziale: Grande professore e bravissimo tecnico del Genova. Pace.
Nicola Merlo: Orrico e il professore erano due grandi amici.
Sandro Crivelli: Ricordo con commozione quando Franco Scoglio si incontrava con mio suocero nella mia enoteca e si scambiavano quattro chiacchere, due belle persone che oggi non sono più tra noi.
---Die äolischen Inseln (Stromboli, Panaria, Salina, Vulcano, Filicudi und Alicudi) geologisch beschrieben von Alfred Bergeat. 1899.
BERGEAT, Alfred. - Geologo, nato a Passau in Baviera il 17 luglio 1866, morto a Kiel il 30 luglio 1924. Laureato in scienze naturali a Monaco nel 1891, fu a Friburgo (1892) assistente di A. Stelzner e, dopo la morte di questo, a Monaco, libero docente (1896); indi (1899) professore di mineralogia e geologia nell'Accademia mineraria di Clausthal (Harz), nell'università di Königsberg (1909) e di Kiel (1921).
Nel campo della vulcanologia, il B. fece ricerche su rocce vulcaniche e sulla loro origine. Fondamentale il lavoro sulle Isole Eolie.
http://www.societamessinesedistoriapatria.it/biblioteca/analecta/politica%20ed%20economia%20nelle%20isole.pdf
Die äolischen Inseln (Stromboli, Panaria, Salina, Vulcano, Filicudi und Alicudi) geologisch beschrieben von Alfred Bergeat. 1899.
BERGEAT, Alfred. - Geologo, nato a Passau in Baviera il 17 luglio 1866, morto a Kiel il 30 luglio 1924. Laureato in scienze naturali a Monaco nel 1891, fu a Friburgo (1892) assistente di A. Stelzner e, dopo la morte di questo, a Monaco, libero docente (1896); indi (1899) professore di mineralogia e geologia nell'Accademia mineraria di Clausthal (Harz), nell'università di Königsberg (1909) e di Kiel (1921).
Nel campo della vulcanologia, il B. fece ricerche su rocce vulcaniche e sulla loro origine. Fondamentale il lavoro sulle Isole Eolie.
Una veduta dell'isola di Vulcano tratta da 'Le Vie d'Italia' del TCI nell'aprile del 1964.
di Sandro Saccheri
I Carangidi come le ricciole sono pesci curiosi, a me è successo una cosa simile a 30 metri sulla Secca del Capo (1,5 miglia a Nord Est di Salina) ma non avevo la macchina fotografica. Stavo ripulendo la secca dalle reti abbandonate!
Panarea, sbarcadero, spedita il 12.08.1957, ed. S.Trimboli.
La presente edizione riproduce la prima parte del volume Croisière en Adriatique et en Méditérranée della contessa Le Bault de La Morinière de la Rochecantin preceduta da una presentazione, sotto forma di lettera, di Guglielmo Ferrero (storico, giornalista e scrittore).
Di questo volume l'unica edizione, del 1907, è conservata presso la Bibliothèque Nationale de France, attualmente disponibile, in formato PDF, anche sul catalogo elettronico Gallica, della stessa Bibliothèque.
La contessa Le Bault de la Morinère de la Rochecantin fu una grande amante dei viaggi dai quali poi si ricavarono dei libri. In questa "crociera" vi sono anche diverse tappe in Sicilia tra cui anche a Lipari e Vulcano, come da stralcio riportato, con diverse immagini, peccato che non ve ne siano di Lipari.
Interessante quelle della barche di pescatori di Palermo verosimilmente simili a quelle che si trovavano a Lipari.
http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k56571789
La Stampa 14 agosto 1968.
di Ugo Buzzolan
Vulcano finalmente aperta al turismo L'isola era stata lanciata nel 1950 dal film di Anna Magnani - Ora ha dichiarato guerra alla capitale Lipari: vuole essere Comune a sé, affrontare direttamente i suoi problemi - Gli ospiti d'agosto però non s'accorgono di questa tensione (Dal nostro inviato speciale) Isole Eolie, agosto.
Navigando da Milazzo, l'isola di Vulcano è la prima delle sette Eolie che s'incontra. Più indietro c'è Lipari, Salina resta nascosta da Lipari; Alicudi e Filicudi, a manca, sono invisibili, e solo nelle giornate di sereno si profila a dritta la piccola Panarea e più in là la nera sagoma triangolare di Stromboli fumante. Vulcano, dunque, è la più vicina alla costa siciliana, non dista che una ventina di chilometri. Eppure è stata, delle sette, l'unica disabitata per secoli e secoli. « Orrida, caldissima, deserta » la definì il geografo Strabone nell'anno 10 dopo Cristo. Nel 1340 il generale borbonico Nunziante vi impiantò un'industria per l'estrazione dell'allume e dello zolfo. Furono fabbricate case per i minatori e sulla sommità dell'isola si stabilirono famiglie di contadini. Più tardi l'industria fu rilevata dallo scozzese Stevenson che nell'isola si costruì un bizzarro castello merlato (del quale oggi re¬ stano gli ultimi avanzi). Ma nel 1888 una nuova violenta esplosione provocò gravi danni, mandò in rovina la miniera e fece fuggire lo scozzese. L'isola ripiombò nella solitudine. Il suo destino pareva segnato: frazione di Lipari, dalla quale è separata dal canale Bocche di Vulcano largo un chilometro, sarebbe servita come nel passato all'approdo per le barche da pesca e, nella parte più alta, a pascolo per capre e vacche. Invece il destino di Vulcano ha subito in questi ultimi anni un cambiamento radica e vertiginoso.
Abbiamo già avuto occasione di dire che nel 1950 Anna Magnani girò qui il film Vulcano per fare concorrenza a Stromboli di Rossellini e della Bergman; e che da allora l'isola fu conosciuta e si aprì al turismo. I visitatori poterono constatare che — col cratere ben tappato e in riposo da sessant'anni — la definizione di Strabone non era più valida: orrida no, perché i suoi colori, i suoi scogli, la costa frastagliata e forata di caverne, le baie incantevoli, i fondali, la presenza di Vulcanello (piccolo vulcano emerso dai mare nel 183 avanti Cristo) ne fanno un luogo di bellezza aggressiva e straordinaria; caldissima no, perché anche in piena estate dolci brezze ne mitigano la temperatura; e deserta men che meno in quanto ha una popolazione di residenti e, in stagione, centinaia e centinaia di villeggianti. A questo punto parrà strano, ma in un ambiente così meraviglioso, così distensivo e idilliaco, dobbiamo parlare di guerra. Da mesi la popolazione residente (413 unità) ha dichiarato guerra alla capitale dell'arcipelago, Lipari. Vulcano non vuole più dipendere da Lipari, vuole essere comune a sé, amministrarsi da sola, affrontare direttamente i molti problemi interni e risolverli a modo suo, con i suoi soldi e con rapidità. Accusa Lipari di essere lente, burocratica, accentratrice, egoista, e di ostacolarle lo sviluppo economico. Esige un porto che sia un porto, un molo solido e definitivo, la posta e il telegrafo non al Piano (sette chilometri a monte) ma sulla costa; una pompa di benzina che serva ai motoscafi (i quali sono costretti ad andare a Lipari per non restare all'asciutto); un forno per il pane (che deve essere trasportato da Lipari); e, trascurando altre richieste minori, un più razionale e pronto e abbondante approvvigionamento dell'acqua, bene raro e prezioso nelle Eolie; e infine l'esigenza più importante, l'elettricità di cui Vulcano al pari di Stromboli, Panarea, Filicudi e Alicudi è sprovvista (mentre hanno la luce Lipari e l'altro comune autonomo dell'arcipelago, l'isola di Salina). Abbiamo detto guerra. Colpi di colubrina — come ai tempi dei pirati, qui sino al XVII secolo attivissimi — non ne sono ancora stati sparati. Ma le proteste hanno assunto proporzioni rilevanti, quasi clamorose. Alle elezioni di maggio i vulcanesi (salvo 21, che hanno mutato proposito o che sono stati obbligati a mutar proposito negli ultimi cinque minuti) non hanno votato: con solennità è stato confezionato un grosso pacco pieno di schede bianche che è stato inviato in segno di protesta a Roma, direttamente al Presidente della Repubblica. Il 23 giugno, alla presenza del dott. Guido Monforte notaio in Messina, rappresentanti di Vulcano hanno stilato una focosa istanza rivolta all'Assessorato Enti Locali della Regione siciliana con cui si chiede ufficialmente l'autonomia comunale. Nell'istanza si leggono frasi come « Tra Vulcano e Lipari esistono diversità di consuetudini, dl tradizioni e persino dl cadenze dialettali ». Evidentemente quel chilometro di distanza fra un'isola e l'altra è un vero oceano in quanto si precisa che « la popolazione di Vulcano non ha alcun legame spirituale né affettivo con la popolazione di Lipari»; e si conclude lanciando una specie di grido di dolore, affermando cioè che « oggi Vulcano è oppressa e sfruttata quasi fosse una colonia; e oppressi e sfruttati si sentono i suoi abitanti ». A Lipari si sorride o si cerca di minimizzare. I problemi delle singole isole — dicono a Lipari — vanno esaminati e risolti nel quadro generale dei problemi delle Eolie, afflitte dai cosiddetti « mali di crescenza »: le autonomie comunali non provocherebbero che disordini, contrasti, maggiori spese, maggiore burocrazia. I punti di vista sono diametralmente opposti. La guerra è appena cominciata e non è da escludere che coinvolga anche le altre isole « soggette » a Lipari. Tuttavia di questa atmosfera di ostilità e di offensive a base di carta bollata e di atti notarili è difficile, se non impossibile, accorgersi. Il turista, poi, la ignora del tutto. E gli stessi vulcanesi e liparesi vivono in ottima armonia dandosi pacche sulle spalle e andando a bere assieme. La questione è che siamo d'agosto. Dopo il vuoto di giugno e l'assai limitata floridezza turistica di luglio, l'agosto sta segnando il massimo dell'attività; e si prospetta dalle prenotazioni un buon settembre, quel settembre che qui forse è il mese migliore, il mese del mare piatto come una tavola, dei colori più teneri, delle stellate più splendenti. Ora c'è l'armistizio. Se mai, la guerra riprenderà nel tardo autunno.
Carte Postale Stromboli En activité, V. 1914 da Marsiglia x Francia.
LE EOLIE DI GIAN PAOLO CALLEGARI.
Nel 1952 lo sceneggiatore di "Stromboli terra di Dio" pubblicò su "L'Illustrazione Italiana" un reportage ricco di notazioni su vita e costume degli isolani. Ad illustrarlo, le immagini del fotoreporter Federico Patellani.
The Brooklyn Daily Eagle 15 may 1949, articolo che parla del film "Stromboli" di Roberto Rossellini con Ingrid Bergman.
Canneto foto di Peppino Costa del 1955.
Lipari Marina Lunga 1970, foto Trimboli.
Altra rarità. Eruzione dello Stromboli del maggio 1907, riportata da un giornale americano:The Pacific commercial advertiser May 10, 1907.
Rinella Arrivo Postale, originale datata 10.11.1959, foto cappadona Leni.
Lipari e Vulcano: foto d'epoca, anni 50.
Bel documentario spagnolo su Lipari e Vulcano:
http://www.qtravel.es/qtraveltv/islas-eolias-italia/
01.01.1964
Al nostro prezioso "storico" collaboratore auguri di buon compleanno dal Notiziario.
---Almanacco del commercio, volume francese del 1846 che cita, tra l'altro, come Lipari e Salina siano rinomate per la pietra pomice e per il vino.
Articolo importante testimonianza del lavoro della pomice e dei lavoratori da "La Stampa, mercoledi 12 aprile 1961
Dal nostro inviato speciale Francesco Rosso
Lipari, aprile. Le cave di pomice esplodono con bianchezza delirante nel sole già spuntato, piccole macchie scure arrancano sulle pareti della vertigine levigata simili a formiche dannate a scavare il vuoto, nuvole di polvere bianca salgono come incenso opaco nel cielo limpido. Così i turisti vedono le montagne di pomice: un remoto, drammatico angolo di mondo lunare confitto nel cuore di Lipari, isola di luce azzurra.
I cinquecento operai che trascorrono otto ore del giorno in quel rovente biancore le guardano con occhi diversi. Per loro le montagne di pomice sono l'inferno quotidiano; ma lo accettano quasi con gioia, perché soltanto lì trovano una fonte di vita, non dalle molte suggestioni luminose di Lipari, paradiso che non sfama.
La pomice è la sola ricchezza di Lipari; e per un'isola in cui l'agricoltura dipende dalla pioggia – e durante nove mesi dell'anno cadono poche gocce d'acqua dal cielo sterile – dove la pesca è ancora praticata coi sistemi di San Pietro, le aride montagne diventano più preziose dell'oro, perché sono la sola fonte di lavoro. La pomice liparese, mi assicurano, è di qualità pregiatissima e ne esportano circa due milioni di quintali l'anno in tutto il mondo, per un volume d'affari che non sono riuscito ad accertare, ma che deve essere cospicuo se nel 1960 il comune ha incassato più di 57 milioni di tasse dai proprietari delle cave. Le paghe degli operai si aggirano su una media di 1500 lire al giorno, che per molti liparesi sono la ricchezza; chi arriva ad impiegarsi nelle cave si considera toccato dal dito di Dio. Il cavatore di pomice ha la mentalità dei minatori improvvisati, non bada ai rischi e gli infortuni sul lavoro sono frequenti, spesso mortali. Le montagne si elevano come orridi strapiombi immacolati fino a più di trecento metri e gli operai si arrampicano avanzando un passo dietro l'altro, lentissimi, scalfendo a poco a poco le pareti levigate a colpi di piccone e facendo scivolare a valle la breccia polverosa. Restano lassù otto ore al giorno, coi piedi appoggiati su fragili sporgenze della friabilissima parete quasi verticale, in posizione di equilibrio instabile che gli spacca la schiena.
Nei mesi estivi, quando il sole saetta implacabile, lavorare lassù è pauroso. La roccia libera un calore intollerabile, la polvere cocente soffoca, la sete tortura, ed i meno forti cedono. Un capogiro, uno sforzo maldestro per muovere sulla liscia parete le gambe impiombate di stanchezza, e la voragine si spalanca sotto gli ignari, che - storditi dall'insolazione - hanno già perduto conoscenza ancor prima di iniziare il volo di trecento metri verso l'abisso d'ombra. Ho domandato in giro quanti operai muoiono in media ogni anno cadendo dalle montagne di pomice, ma nessuno ha saputo, o voluto dirmi una cifra, "Sono parecchi", rispondevano tentando di eludere l'argomento. Gli stessi operai, che sono continuamente esposti al rischio mortale di cui sono state vittime i loro colleghi, preferiscono non parlare delle disgrazie per ragioni di opportunità. Essi temono, come è già avvenuto in altri settori di lavorazione della pomice, che sia introdotta la meccanizzazione anche nell'opera di scavo, avvenimento che li dannerebbe alla disoccupazione.
Evitano, perciò, di parlare delle sciagure mortali soprattutto coi giornalisti; ma per quanto comprensibile, il loro silenzio non può nascondere la drammatica realtà, né impedire che le autorità intervengano; infatti, mi hanno detto a Lipari che per eliminare i pericoli cui sono esposti i lavoratori ad ogni istante, l'Ispettorato per le miniere ha imposto ai proprietari di cave l'impiego delle ruspe, grosse macchine che piazzate sulle cime delle montagne farebbero il lavoro alla rovescia, scaverebbero dall'alto anziché dal basso come avviene ora col lavoro umano. Se gli operai che aggrediscono la montagna a colpi di piccone per frantumarla in briciole di pomice sono esposti alla morte violenta, gli altri che sono addetti alla trasformazione del materiale negli stabilimenti in riva al mare sono minacciati dalla morte lenta per silicosi. Per otto ore del giorno essi vivono in una densa, impalpabile nuvola di polvere bianca che toglie il respiro, arrossa gli occhi, penetra ovunque, soprattutto nei polmoni. Per legge, gli operai dovrebbero portare una maschera protettiva, ma i filtri si intasano dopo mezz'ora e quegli infelici, sentendo il respiro diventar faticoso, se la tolgono esponendosi alla minaccia della silicosi. Si consolano pensando che se si ammalano di tubercolosi, come purtroppo accade, l'Istituto per gli infortuni penserà a farli curare e a dargli una pensione. La miseria può indurre anche a questi calcoli tragici. L'Istituto per gli infortuni provvede, infatti, alla tutela dei lavoratori ma in misura che lascia sgomenti.
Le tabelle sono quelle che sono, una serie di calcoli fatti a tavolino da esperti in molti rami delle scienze traumatologiche, ma senza rapporti con la realtà. Giuseppe Favaloro, un giovane di vent'anni che lavorava alle macchine impastatrici di pomice, ha perduto l'indice ed il medio della mano sinistra in un ingranaggio. La sciagura avvenne il 9 ottobre dello scorso anno: due giorni addietro, dopo oltre sei mesi, ha ricevuto una lettera in cui gli si dice che, avendo gli esperti stabilito che la sua efficienza è ridotta del 24 per cento, gli viene corrisposta una pensione di 4400lire al mese. Gli comunicavano anche che gli avrebbero trattenuto cinquanta lire al mese come quota per l'Associazione fra lavoratori infortunati. A quale altro lavoro possa dedicarsi il giovanotto con quella mano monca, la lettera dell'Istituto per gli infortuni non lo dice. Per norma, Giuseppe Favaloro dovrebbe vivere con la pensione.
Ho citato questo caso fra i tanti perché quel giovane era tra i più loquaci, ma moltissimi degli operai che lavorano nella pomice hanno dentro qualcosa che non vogliono lasciar emergere. Non si lagnano delle paghe, che sono quelle contrattuali, né dei loro datori di lavoro, gente del luogo che non sgarra dai imposti dalla legge, ma per le molte remore create da una burocrazia elefantiaca. A Lipari molte cose non funzionano perchè a Palermo ed a Roma sanno soltanto erigere barriere. Torno ai pescatori, gente che si nutre di miseria da sempre. Da dieci anni, l'arcipelago delle Eolie è meta di un modesto turismo che non porta gran ricchezza, ma qualche briciola in più la lascerebbe, se le iniziative fossero libere di svilupparsi.
I pescatori avevano trovato modo di aumentare gli scarsi proventi della pesca rubando le ore al sonno e trasportando, senza la particolare licenza, i turisti con le barche in gita a Lipari a Vulcano, Stromboli, Panarea, Salina eccetera. Per qualche tempo le autorità portuali hanno chiuso gli occhi; poi li hanno improvvisamente spalancati per le beghe di alcuni pescatori che litigavano nel tentativo di contendersi i clienti, ed hanno vietato ai proprietari di barche di trasportare i turisti. Inoltre, poiché svolgono questa modesta attività secondaria per due mesi all'anno, le consuete autorità minacciano di non consegnare più la nafta ai prezzi ridotti per la pesca. Se i già miserabili pescatori di Marina Lunga e di Sopra la Terra dovranno pagare il carburante ai prezzi normali, potranno morire di fame. Pensavo a queste cose discorrendo con gli operai della pomice, nel turbine di polvere che mi aggrediva fino a soffocarmi. Fra le colline di detriti che sprofondano abbacinanti nel calmo mare azzurro, una pianta cresceva come un arboreo fantasma di remoti paesaggi nella bianca allucinazione. Era una scheletro dell'albero, senza una foglia, e la polvere di pomice aveva ricamato sul tronco e sui rami una trina candida che splendeva nel sole. Quell'albero mi apparve come il simbolo dei cinquecento uomini che in quel momento si affannavano a scalfire la montagna, a riempire sacchi, a rimuovere cumuli di granello, a trasportare i pezzi di pomice fino ai pontili dove attraccano le navi; erano simili a statue di gesso. Domandai a un assistente dove finisse tanta pomice, a quali usi fosse destinata, ed il mio interlocutore, uomo dotato di indubbio spirito ironico, rispose: " in una certa misura a far belli uomini e donne". Le scarse conoscenze che ho in materia mi consentivano di considerare la pomice un abrasivo, non potevo immaginare che potesse anche trasformarsi in componente di prodotti di bellezza, ma il giovane assistente minerario mi assicurò che la pomice di Lipari, di qualità finissima, è impiegata nei dentifrici, in speciali saponi di cui si servono le donne per depilarsi le gambe e, trattata con una certa formula e ridotta a sottili forme ovoidali, è usata dalle manicure per le dita e le unghie delle loro clienti.
Alzando il capo verso le pareti a strapiombo su cui gli operai di Lipari avanzano di mezzo passo ogni ora scalfendo con il piccone il levigato lastrone dal quale possono precipitare ad ogni istante, mi domandavo se quegli uomini sanno che parte della loro fatica si trasforma in prodotti di bellezza. Forse lo ignorano, perché la loro toeletta è piuttosto elementare; considerano il dentifricio una costosa superfluità, le loro donne hanno dita e unghie indurite per il lungo grattare fazzoletti di terra in cui far crescere qualche ortaggio, e se hanno gambe villose, quasi le ostentano come segno di forza. In questa isola dai molti aspetti, esultante e bella come un miracolo intatto della natura e triste fino al dramma, gli uomini della pomice sono duri anacoreti chiusi nel loro deserto bianco, estranei alla sensuale indolenza che è la componente fondamentale del carattere isolano, talvolta dionisiaco, spesso allentato in un sonnacchioso edonismo venato di accidia.
Articolo su studioso e fotografo dello Stromboli, qui l'articolo. The times dispatch., June 16, 1907.
Vulcano - Vulcanello 1979.
Saint-John Perse (pseudonimo di Alexis Léger; Pointe-à-Pitre, 31 maggio 1887 – Hyères, 20 settembre 1975) è stato un poeta, scrittore e diplomatico francese. Fu insignito nel 1960 del Premio Nobel per la Letteratura «per l'ambizioso volo e le evocative immagini della sua poesia». Tra il 14 ed il 31 luglio 1967 realizza con altri amici una crociera nelle eolie e trascrive su un quaderno il diario del viaggio. La crociera avviene con il "bateau Aspara".
Il mensile "Bell'Italia", nel 1992 dedica un reportage alle isole Eolie. Ancora c'era qualche "lingua" di spiaggia bianca di pomice.
Il viaggio dura un paio di ore o poco di più: e appena fuori del capo, già s'intravvede il profilo dell'isola dello Stromboli; ma i passeggeri sono rintanati nelle scalette o giù in basso, nelle corsie di seconda classe, dove si soffre meno. Sul ponte e rimasto solo un signore, e a lui mi rivolgo per scambiare quattro chiacchiere: è il professore Bernabò Brea che soprintende
agli scavi archeologici nel Mezzogiorno. Allora, quando feci il viaggio di lipari , era assente, il museo non era ancor aperto al pubblico e la sua aiutante, Madame Cavalier si diceva fosse alquanto scorbutica coi giornalisti, e certo non invogliava a chiedere una deroga alle disposizioni: e dunque ora si sarebbe potuto visitare questo museo? Si, naturalmente, e se lo avessi voluto, lui stesso cortesemente si offriva per accompagnarmi.
Fu così che, all'arrivo, potei fare la conoscenza della sua famosa aiutante, Madame Cavalier: e a me parve tutt'altro che d'umor difficile, che anzi, percorrendo assieme quei cameroni che una volta servivano per l'alloggio dei confinati, e che ora hanno mirabilmente trasformati in museo, e avendole chiesto se i metodi in uso in certe altre zone, a Cerveteri, ad esempio, con sonde elettriche e assaggi acustici fotografici, più che a esplorale quella data zona archeologica non servissero a saccheggiare le tombe, per tutta risposta e come non avesse rilevato l'indiscrezione della domanda, veniva descrivendomi le ansie e, al tempo stesso, le gioie dell'esplorazione del sottosuolo con scavi sistematici dell’intero giacimento, senza peraltro ricorrere a strumenti scientifici moderni, ma semplicemente operando con estrema pazienza e con metodi che essi stessi andavano perfezionando di giorno in giorno. Così operando erano riusciti a ricostruire la successione delle culture umane dal periodo neolitico a quello del bronzo, del ferro, fino al periodo greco, tanto che ora, in quel loro museo si poteva abbracciare, in maniera unica, cinque millenni di storia della civiltà.
Il professore intanto s'era messo a parlarci dei periodi di prosperità e di decadenza delle isole Eolie, e ci andava sottoponendo frammenti di vasi in ceramica impressa oppure dipinta a bande rosse e nere, o ancora d'impasto bruno; eppoi lucerne, tazze. orci, maschere di personaggi della commedia attica e ateniese; e infine gioielli di diversa fattura, statuette, scarabei: oggetti che così come erano disposti nelle varie sale, rappresentavano la documentazione precisa della successione stratigrafica di quella area archeologica che comprende il milazzese e le isole Eolie: Filicudi, Panarea, Basiluzzo e, principalmente Lipari.
In tal modo dunque, questi scienziati che avevan dedicato la loro vita a frugare sottoterra alla ricerca di mondi scomparsi, indirettamente rispondevano a un laico che con poca discrezione li aveva richiesti d'un giudizio su metodi di ricerca che forse non li convincevano che per lo meno non avevano voluto essi stessi adottare: e ciò mi richiamava alla mente un racconto che lessi anni fa, d'un astronomo e di un tale suo conoscente che avendogli chiesto la conferma di non so quale cosa spiacevole che gli era occorsa, per tutta rispostagli s'era messo a parlare dei milioni d'anni che la luce d'un dato astro impiegava per raggiungere la terra.
Cassa del Mezzogiorno.
L’isola di Vulcano dista poche miglia da Lipari, ma è poco conosciuta ai turisti per le difficoltà di comunicazione: il vaporetto non fa un servizio giornaliero e, nella stagione cattiva, può anche capitare di rimanervi segregati per qualche tempo.
L’altra volta che ci venni, tre anni fa, m’era parso il posto ideale per trascorrere qualche giorno in pace e in libertà, senza dover sentire gracchiar le radio e nemmeno poter leggere i giornali; e così, lasciata a Lipari la compagnia del vecchio Bongiorno, il papà di noi tutti quand’eravamo confinati, e gli altri amici che m’avevano accolto festosamente, m’imbarcai su un fuoribordo per godermi colà quei pochi giorni che mi rimanevano di vacanza, e magari e magari far qualche bagno d’acqua solforosa che m’aveva detto esser miracolosa per i primi acciacchi della vecchiaia.
Subito nei pressi dello sbarcatoio, c’è una dozzina di casupole malmesse: il paesino è in alto, a poco più di un’ora di cammino, nella estrema punta dell’isola; mentre di fronte all’insenatura fatta dalla sottile striscia di sabbia che unisce Vulcano a Vulcanello, sapevo che si poteva trovar alloggio in due pensioncine, dove si mangia del buon pesce fresco è il vino che servono è della Perrera, un vino d’un bel rosso corallino, generosissimo. E difatti, trovata ancor chiusa la prima pensione, bussai alla seconda, quella di Giuffre, dove subito mi accolsero cordialmente; e, deposti i bagagli, prima ancora di pranzo, corsi indietro, sulla penisoletta a godermi lo spettacolo di Vulcanello, coi colori strani e violenti delle sue roccie, e, di lassù, alle ultime luci del tramonto, la vista incomparabile dell’arcipelago. Ora, mentre m’incammino per quei luoghi un tempo deserti, avevo notato con meraviglia un gran fervore di opere; già s’era costruito un albergo e un altro se ne stava costruendo e come se non bastasse, una squadra di operai s’indaffarava a trasportar dei massi che poi venivano accatastati un sull’altro, costruendo in tal modo un muretto basso sulla sabbia, esattamente come fanno i ragazzi quando giocano sulle nostre spiaggie. E chiesto cosa significasse quel loro gioco, mi venne risposto che si trattava d’una vera strada carrozzabile; e che gli stecchi che vedevo affiorare ogni tanto dalla sabbia, erano un rimboschimento che avevan fatto e che naturalmente non aveva attecchito: “E così - borbottava un di loro - ci sarà ancora lavoro per quest’altro anno…..”.
Infine, prima d’andarmene, avevo chiesto chi finanziasse con tanti milioni quel lavoro di Sisifo, e m’ero sentito dire, in tono compiaciuto, che si trattava della Cassa del Mezzogiorno.
Negli anni 70 fu girato a Vulcano - Lipari anche un film con Lilly Carati e Ilona Staller "Senza buccia", con comparse liparote.
Articolo La Stampa del 09.04.1961.
Un destino desolato di povertà e di sofferenza è la sorte dei bambini nell'incanto di Lipari Italiani "dimenticati,, dalla nazione dopo cent'anni di vita unitaria Un destino desolato di povertà e di sofferenza è la sorte dei bambini nell'incanto di Lipari L'accorato appello a "Specchio dei tempi" di don Paino, parroco di Sopra la Terra, denunciava una realtà meno tragica del vero - Duemila persone abitano nelle casupole sgretolate di quel borgo: otto-dieci per stanza, senz'acqua, in confusa promiscuità - Sono pescatori, ricchi soltanto di figli; molte famiglie guadagnano 135.000 lire all anno - I bambini crescono per strada; appena capaci di reggere il timone e gettare le reti, vanno in mare - Nella dura fatica dimenticano quel poco che hanno imparato a scuola, ridiventano tutti analfabeti; attorno ai 17 anni formano, di solito, una nuova famiglia - E' una condizione di primitiva e fosca miseria, immutata nei secoli « Specchio dei tempi > ha risposto all'accorata preghiera di don Onofrio Paino, parroco di Sopra la Terra a Lipari. «Aiutate gli infelici bambini del mio quartiere (aveva scritto). Mandate' un giornalista, che descriva la disumana miseria di quest'isola e constati come gli altri italiani non hanno fatto nulla per alleviare la pena di questi fratelli ». Un inviato de La Stampa è giunto nell'isola e racconta oggi quello che ha visto. Speriamo che l'agghiacciante testimonianza risvegli In tutti— governo, autorità, opinione pubblica, cittadini d< ogni regione — una concreta, solidale volontà di fare finalmente qualcosa. L'Italia unita ha cent'anni: è giusto, è lecito che degli italiani siano lasciati in una miseria cosi disperata e antica? Il modo più serio per celebrare il centenario, consiste nel cancellare queste macchie, nel riparare a queste colpevoli dimenticanze. (Dai nostro inviato apeciale) Lipari, 8 aprile. Avrei desiderato svolgere questa indagine sul tema che i poveri soffrono anche in paradiso, ma accostandomi alla nuda, vera povertà, e non solo materiale, ho sentito le parole farsi inefficaci, offensiva ogni esposizione che non sia documento. Come si potrebbe descrivere la condizione dei coniugi Maria e Salvatore Puglisi, entrambi di qùarant'anni, lui pescatore a 500 lire al giorno quando il tempo consente alle barche di scendere in mare, se non dicendo brutalmente che vivono, mangiano, dormono in una camera di quattro metri per quattro, quasi interamente occupata da due letti, in uno dei quali dormono i coniugi e nell'altro, insieme, i loro quattro figli, un ragazzo di 21 anno, una giovinetta di 16 e altre due bambine di 12 e 10 anni? Sbarcando a Lipari, queste cose non si vedono. Si corre alacri e leggen -verse l'isola in cui la giovinezza del mondo ancora ride con freschezza luminosa, dove cielo, mare, colli e declivi intrisi del profumo della zàgara in fiore sembrano i componenti ideali per una ispirata felicità terrena, e non si può, o non si vuole immaginare che il paradiso terrestre ospita anche due inferni: uno è bianco fino al delirio, le cave di pietra di pomice di cui dirò altra volta; uno nero, gremito di casupole sgretolate dal tempo, con le facciate dipinte in rosa, o in tenero verde, e gli interni anneriti dal fumo di sbrecciati camini, e da secoli di respiri affannosi di esistenze opache. Lipari accoglie i turisti con molte seduzioni, linda e agghindata come tante stazioni balneari alla moda, ma lo schermo è troppo fragile per nascondere l'altra realtà dell'isola. E' sufficiente un po' di calore umano, il desiderio di accostarsi a questi uomini che sembrano germinati dalle pietre vulcaniche, di cui pare abbiano assorbito fin l'ardente e greve aridità, per comprendere come si può essere infelici anche in paradiso. Dai due moli, i visitatori entrano per le porte grandi di Lipari, tra nobili case dai rigonfi balconi in ferro battuto traboccanti glicine e gerapi, fra sontuose scenografie di chiese barocche, e pochi pensano di spingersi al quartiere Sopra la Terra, che si addossa alla città luminosa come un grumo di tetra miseria. Ci sono andato per incontrare don Onofrio Paino, parroco del quartiere. Il sacerdote aveva scritto una patetica lettera a « Specchio dei tempi » per chiedere che qualcuno lo aiutasse a costruire un asilo in cui accogliere i bimbi di Sopra la Terra, le offerte sono arrivate generose, e « Specchio dei tempi » ha già spedito una somma cospicua a don Paino, ma la povertà di cui l'angosciato sacerdote settuagenario parlava nella sua lettera era solo un modesto campionario di ciò che ho veduto. Il quartiere è attraversato da una strada principale, via Marte, larga 4 metri e lunga 150; ai lati, per una profondità complessiva di 60 metri, altre case si affacciano su scuri vicoli tutti stranamente dedicati a divinità pagane; via Saturno, Venere, Giove, ecc. Su un'area di complessivi 9000 metri quadrati si intasano circa 2000 persone, i casi di gente che vivono in sei, otto, dieci in una sola camera sono molto numerosi. Don Paino si preoccupa dei bambini liparesi e il suo progetto parte da una visione esatta della realtà, perché è impossibile tentar di cpatruire $19*:^umanit*v,nno»J va se nonxreànòlp iMi /giovanissimi l'esigenza di una dignità, e, soprattutto, di una moralità che ora non sono nemmeno intravedute. I bambini di Sopra la Terra sono un esercito, nella sola via Marte ve ne sono 150 dagli 8 anni in giù, un bimbo per ogni metro di strada; in tutto il quartiere ve ne sono circa 400. Ho calcolato i bimbi degli 8 anni perché oltre quell'età sono già considerati adulti; appena sono in grado di reggere il timone, aiutare a innescar ami, a manovrare reti, i genitori li portano in mare, alla pesca. Escono nel pomeriggio alle tre e rientrano la mattina dopo, verso le cinque.. Mi sono fermato a conversare con Orazio Puglisi, un ragazzo di 11 anni col volto bellissimo già oscurato da ombre maliziose. Da quasi tre anni accompagna il padre nella pesca notturna, ha frequentato la terza elementare e spera di non dimenticare il poco che ha imparato. Il ragazzo, forse, era sincero dicendo che continuerà a esercitarsi nel leggere e scrivere, ma sarebbe illusione sperarlo, tutti i giovani sui vent'anni coi quali mi sono intrattenuto a conversare, e che hanno fatto la trafila di Orazio Puglisi, sono tornati totalmente analfabeti perché le condizioni di vita cui sono costretti gli impediscono ogni applicazione che non siano il lavoro e le manifestazioni di un'esistenza elementare, pressoché animalesca. Quasi tutti gli abitanti di Sopra la Terra sono pescatori e trascorrono in media quindici ore del giorno sul mare; le altre le passano a prepararsi per la spedizione successiva. Ho domandato al padre di Orazio Puglisi in quali ore può dormire il suo figliolo undicenne e mi ha risposto: «Dorme un po' in barca, dopo gettate le reti, un paio d'ore la mattina presto ». Forse, la fatica e l'estrema giovinezza tolgono ogni sensibilità al bambino buttato sul letto con gli altri fratelli, altrimenti che sonno potrebbe essere il suo accanto al letto dei genitori? In pochi anni ha veduto il già esiguo spazio che gli era riservato affollarsi di due sorelline. I bimbi di Sopra la Terra non hanno l'ignara gaiezza dei bambini ; anche se il cielo ride sopra le loro teste e la luce dilaga sui colli vicini, hanno negli occhi ombre di precoce malizia e pieghe ambigue nel sorriso che dovrebbe fiorire innocente sulle loro labbra fresche. Non dimenticherò la undicenne FnabAlnntdlrrdtdzsfipmarnnezrDfcrnleanisfsv Franca, grandi occhi saraceni, già conscia di molti aspetti della vita ed un'acerbf-j^ftretteria- nell'incedere. A quell'età, i bimbi di Sopra la Terra sono già adulti, non nel corpo ancora gracile, ma nella mente sollecitata anzitempo dagli istinti naturali di ciò ohe sentono durante i loro sonni accanto ai genitori. I ragazzi di Sopra la Terra si sposano presto, in media sui 17 anni, e buona parte dei matrimoni avvengono dopo la «fuga» dei fidanzati. Un tempo, se i genitori si opponevano alle nozze, il fidanzato rapiva la ragazza per rendere inevitabile il matrimonio; oggi la «fuga» avviene col consenso dei parenti che desiderano veder normalizzare una situazione sentimentale già visibile agli occhi di tutti, e poiché la sposina, secondo la tradizione, non potrebbe andare all'altare in quelle condizioni col virginale fiore d'arancio fra i capelli, viene simulata la «fuga» anche per evitare le ingenti spese nuziali cui ogni famiglia, per quanto miserabile, si sentirebbe obbligata per non sfigurare. Su dieci matrimoni celebrati l'anno scorso a Sopra la Terra, sei sono avvenuti dopo la « fuga», e quasi subito allietati dall'erede. Come ho già detto, gli abitanti dell'infelice quartiere sono ricchi soltanto di prole, che continua a crescere nelle condizioni dei genitori, dei npnni . e dei, bisnamji. ;tPbt questa gente, nulla è mutato dalle origini del mondo, sono quasi tutti analfabeti e se alcuni hanno la radio in casa, non l'accendono, la considerano un ornamento non diverso dai fiori di plastica posati dinanzi all'effigie di San Bartolo, patrono di Lipari e tanto venerato che, per bestemmiare, i pescatori liparesi. dimenticano il buon Dio e la Madonna per scagliarsi contro il loro santo più familiare. Ho domandato ad alcuni ventenni, tutti sposati e con figli, se hanno sentito parlare del centenario dell'unità d'Italia; mi .hanno risposto stringendosi nelle spalle, forse, anche la parola Italia non ha per loro un preciso significato. Sarebbe assurdo pretendere che lo sappiano perché, per loro, Sopra la Terra è l'universo nel quale vivono soffrono e imprecano inutilmente. Nella lettera a «Specchio dei tempi » don Onofrio Paino aveva scritto: « Roma è lontana, la politica non ha bisogno di noi, la vita dei ricchi non pensa a noi » e nulla è più efficace di quelle parole per dire quanto non è stato fatto per questa gente. Non si può negare che l'amministrazione comunale abbia tentato iniziative per risanare il quartiere, ma con scarsi risultati. Un gruppo di case popolari con 24 alloggi sono state costruite vicino all'ospedale civile proprio per i pescatori, ma il giorno in cui saranno terminate, pochi potranno occuparle perché, -per quanto basso, l'affitto costerà almeno diecimila lire al mese. I pescatori di Sopra la Terra che non sono proprietari di barche, e sono la maggioranza, guadagnano 500 lire al giorno, ma nell'anno vi sono i mesi invernali, le notti di burrasca e lutta piena che impediscono allei barche di scendere in mare; calcolando con larghezza 270 giorni di lavoro, guadagnano 135.000 lire l'anno, e l'affitto dell'appartamento gli costerebbe 120 mila. Perciò, i pescatori di Sopra la Terra continueranno ad abitare nelle tetre camere del loro quartiere, coi letti uno a ridosso dell'altro e fratelli e sorelle sotto le stesse coltri. Il nome del quartiere è tragicamente allusivo, la vita di tante per¬ sone è-davvero sopra la ter- FàT un opaco germinare^ df [esistenza che diventerebbe intollerabile se solo un barlume di luce folgorasse queste menti intorpidite da una fosca ignoranza. Coi molti che hanno risposto a « Specchio dei tempi » inviando offerte per costruire un asilo in cui accogliere i bimbi di Sopra la Terra, alcuni hanno scritto direttamente a don Onofrio Paino lettere di biasimo. «Fate come i settentrionali, — dicono presso a poco le lettere, —r costruitevi da soii le scuole, non aspettate sempre tutto da Roma. Vi lagnate della sporcizia dei bimbi, ma l'acqua non vi manca, imparate almeno a lavarvi». A Lipari c'è tanta acqua, è vero, ma ostile e infida; l'acqua del mare che logora l'esistenza dei pescatori; di acqua vera, quella che potrebbe trasformare l'isola in giardino se si potesse irrigarla, ci sono poche gocce al giorno per cuocere gli scarsi pasti di pesce e lavare i coloriti stracci che formano l'abbigliamento; le navi cisterna portano 25.000 tonnellate di acqua l'anno per tutto l'arcipelago delle Eolie, una popolazione che sfiora i 13.000 abitanti, ai quali bisogna rie di- casipole dirute, ma [non « àncora questo fl sudi "! aggiungere le migliaia di. turisti che d'estate affollano le isole. Facciano i conti i biasimatori e vedano di quanti litri d'acqua dispongono i liparesi. . I bimbi di Sopra la Terra sono sporchi, giocano tutto il giorno tra i rifiuti che si accumulano accanto alle abitazioni, ruzzano come cuccioli randagi tra le mace ciume che preoccupa. Eravamo sul molo, dinanzi al mare azzurro e immenso. Un gruppo di bambini erano buttati su fasci di corde, alcuni dormivano al sole, altri sonnecchiavano, come fossero più che delusi e stanchi, già vecchissimi. Li interrogai dopo che Aldo Moisio li ebbe fotografati; avevano tutti undici anni e attendevano l'ora di partire per la pesca. Gli domandai se ricordavano ancora qualchecosa di quanto avevano imparato a scuola e mi risposero alzando le spalle, come a dire che non li annoiassi con quelle superfluità. Appoggiandosi' a due rozzi bastoni, una bambina poliomielitica arrancava dietro a una schiera di monelli che correvano verso la spiaggia. Si chiamava Maria, aveva dieci anni. Le domandai se andava a scuoia. «Non voglio andarci», rispose seccamente, quasi con ira. L'aspra vocetta di quella bimba infelice mi sferzò come una condanna; chi potrà offrire ai bimbi di Sopra la Terra condizioni di serenità infantile che preludano a una esistenza di umana dignità? Francesco Rosso Maria, la piccola poliomielitica di 10 anni, arranca, appoggiandosi a' due rozzi bastoni, dietro una schiera di monelli «he corrono verso la spiaggia (f. Moisio) I bambini di Sopra la Terra crescono per strada, come cuccioli randagi, fra le macerie di casupole in rovina L'arcipelago delle Lipari (detto anche delle Eolie) si trova nel Tirreno, ad una oinquantina di chilometri a nord della Sicilia. E' compoeto di sette isole principali: Vulcano, Lipari, Salina, Filicudi, Alicudi, Basiluzzo e Stromboli. Di origine vulcanica, hanno la superficie complessiva di 115 kmq. (meno del territorio comunale di Torino). La abitanti. Uniohe risorse la pomice; la terra è brulla, uva e carrube) che basta popolazione è di 13 mila pesca e l'estrazione della cresce poca frutta (fichi, appena al consumo locale
LaStampa 09/04/1961 - numero 85 pagina 7
Articolo della Stampa del 14 ottobre 1931. "Colloquio a Lipari con l'avv. Riccardo Gualino.
Fu un finanziere e industriale attivo sui mercati internazionali, uno dei maggiori dei suoi tempi, collezionista e importante committente di architettura moderna, mecenate attivo in campo teatrale e musicale e produttore cinematografico. Proveniente da famiglia biellese di imprenditori orafi, si dedicò al commercio dei legnami rifornendosi con imprese di disboscamento in Romania e costituì, sempre in campo edilizio, l'Unione Italiana Cementi a Casale Monferrato assieme a Werner Abegg.
Noleggiò e costruì flotte di navi per il trasporto del carbone dagli Stati Uniti, fondando a Torino la SNIA (Società di Navigazione Italo Americana) che poi trasformò in Snia-Viscosa creando in Italia grandi stabilimenti per la produzione di filati artificiali.
Ebbe un ruolo importante anche nella Fiat, di cui fu anche vicepresidente (nel momento in cui Agnelli fu vicepresidente della Snia-Viscosa). Nel 1920, quando la Fiat subisce il tentativo di acquisizione ostile da parte dei F.lli Perrone di Genova, che controllavano l'Ansaldo (siderugia) si schiera a fianco di Giovanni Agnelli condividendo con lui il pacchetto di controllo. Creò altre imprese nel campo della chimica (Rumianca), dell'industria del cioccolato (Venchi Unica) e cinematografica (Lux Film), ed anche nell'attività bancaria e finanziaria, la Banca Agricola Italiana, poi confluita nell'Istituto San Paolo di Torino.
Fu anche, assieme alla moglie Cesarina un grande mecenate e amante delle arti, amico del critico d'arte Lionello Venturi, che coinvolse in molte attività, e sostenitore di molti artisti, tra i quali il pittore Felice Casorati. Raccolse un'importante collezione di arte antica, con i consigli del famoso critico, che passò poi in parte alla Galleria Sabauda di Torino e in parte, a seguito del fallimento dell'imprenditore, alla Banca d'Italia. Importanti sono le dimore da lui fatte edificare: il Castello di Cereseto nel Monferrato, opera dell'Ingegnere Vittorio Tornielli e Villa Gualino, sulla collina di Torino, commissionata agli architetti romani Busiri Vici oltre ai Castelli Gualino a Sestri Levante, sempre ad opera degli stessi architetti.
A partire dal 1925 si occupò anche di teatro con apprezzabile successo. Nel 1925 Gualino acquistò lo Scribe e, a seguito di un attento restauro coadiuvato dal critico d'arte Lionello Venturi, lo inaugurò il 26 novembre dello stesso anno, rinominandolo Teatro di Torino.
La crisi del 1929 trovò Riccardo Gualino eccessivamente esposto in speculazioni finanziarie. Avverso al fascismo, non fu aiutato dal governo a superare il crollo del suo impero finanziario ed industriale e fu inviato al confino a Lipari, nel 1931 e l'anno successivo a Cava de' Tirreni con l'accusa di bancarotta fraudolenta.
Colpito dall'interdizione a esercitare cariche amministrative, esercitò ugualmente il controllo della Rumianca e della Lux Film con Mario Palombi Procuratore, fondata in Francia. Futuri grandi produttori come Carlo Ponti, Dino De Laurentiis e Luigi Rovere considerarono Riccardo Gualino come il loro maestro.
Morì nella sua villa di Firenze nel giugno 1964 per emorragia cerebrale e fu seppellito nel cimitero del Santuario di Oropa.
Di lui si occupò anche la stampa estera, vi sono ad es. articoli di giornali francesi: "La Croix del 07.08.1931", "La Croix 31.12.1931", "L'Echo d'Alger 26.01.1931", "L'Echo d'Alger 11.01.1934".
Vi sono diverse pubblicazioni su di lui, tra l'altro alcune sue memorie li scrisse proprio a Lipari tra il 31 ed il 32, esiste un libro "Solitudine. L'esperienza del confino durante il regime fascista".
Di lui mi risulta che se ne occuperà in modo più approfondito il Centro Studi nei suoi volumi sul confino politico a Lipari.
CONTROCORRENTEOLIANA
Il capitalismo italiano ha posseduto un geniale fondatore poco conosciuto ai liparoti, il biellese Riccardo Gualino fondatore della Snia come compagnia per il trasporto del carbone dagli Stati Uniti all'Italia che poi trasformò in azienda tessile-chimica (il rayon), fondò anche la Rumianca, la società dolciaria Venchi Unica (finita poi al siciliano Sindona), la Lux Film (Carlo Ponti e Dino De Laurentis lo hanno sempre considerato come il loro maestro), e la Banca Agricola italiana che venne assorbita dal San Paolo di Torino. Riccardo Gualino, l’uomo che salvò la Fiat agli Agnelli dai Perone, amava l’arte e l’indipendenza. Il 19 gennaio 1931 Mussolini lo fece condannare a 5 anni di confino a Lipari e le sue aziende fallirono. Si racconta di una sua venerazione massonica per Badoglio e di sue iniziazioni in un magazzino “du strittu luongu” trasformato in tempio. Tornato in libertà, riuscì a dirigere, quel che restava del suo vasto impero, dalla Francia e ricordava sempre l’immagine del castello di Lipari di cui fu trovata traccia nella famosa Villa Gualino di Torino.
18.11.1969
""Cronaca del 1972"" StampaSera 29.11.1972.
Cartolina di Vulcano originale spedita il 25 7 1985. Oreste Ragusi.
Interessante il video documentario di Julie Bertuccelli.
Bella cartolina datata 1959, bella Lipari!
""....Questa pietra sembra di origine vulcanica; si trova in gran quantità nelle isole di Lipari, Vulcano e le altre isole dell'arcipelago. Quasi tutto ciò che è diffusa nel commercio appena Campo Bianco, a tre miglia dal porto di Lipari. Si trova ancora in molti altri luoghi: a Andernach sul Reno, Los Angeles Herald 15 March 1894. La fonte principale da cui si ottiene per scopi commerciali è Campo Bianco, una delle isole Lipari, dove forma una collina di quasi 1.000 metri. Nelle arti pomice trova largo impiego, per lo più in uno stato polverizzato, come materiale di lucidatura per l'avorio, legno, vetro, marmi, ecc. E 'anche usato nel grumo per la macinazione e la rasatura di superfici metalliche, in pelle, ecc. e nel preparazione di pergamene, ecc.
Atlas nautique du monde composé de sept cartes manuscrites sur vélin] [signé] Joan Martines en Messina, anny 1582 (2).
---Tramonto su Stromboli, in una fotografia non firmata pubblicata sul numero 76 della rivista 'Sicilia', edita da S.F. Flaccovio Palermo nel 1975.
L'isola delle Eolie fece da scenario alle pagine conclusive del romanzo 'Viaggio al centro della terra' di Jules Verne.
Lo scrittore francese - appassionato navigatore - ebbe con tutta probabilità modo di conoscere personalmente l'arcipelago eoliano, traendo ispirazione per la sua scrittura.
Reportage fotografico da
http://reportagesicilia.blogspot.it/2012_03_01_archive.html
The Donaldsonville chief., January 30, 1909 Questa foto di Stromboli è di uno dei primi esploratori di un giornale americano.
---Grazie alla Visiotrade ed all'amico Angelo Sidoti per il contributo dato al Team Romagna Judo.
Foto scattata durante il 27* Trofeo Internazionale Romagna Judo 2014.
Giornale Le Figaro del 30.05.1931. Crociera nel mediterraneo con tappa anche a Lipari, "Sulla scia di Ulisse".
Una foto storica, un pezzo della storia della scuola di lipari!
di Maurizio Pagliaro
Caro direttore, la prego di voler pubblicare questa mia mail, per la mia personale curiosita' di sapere il nome di 2 soggetti nella foto che non riesco ad identificare. Nella foto di Ristuccia, mi sembra sia un consiglio di professori, si vede da destra: Caterina Conti, Leonida Bongiorno, "penso Ninni Megna, il professore di matematica Emanuele, di cui non ricordo il nome, non riconosco la professoressa tra il professore Emanuele ed il preside Megna, padre Alfredo Adornato ed un'altra professoressa? di cui non so il nome. Se c'è qualcuno in grado di dare nome ai 2 soggetti lo faccia.
di Massimo Ristuccia
In merito alla mail del sig. pagliaro circa la curiosità sulla foto "un pezzzo di storia scolastica di lipari", la prof vicino al preside Megna è mia madre Liliana Barbuto, comunque un elenco più aggiornato fatto da una cara persona; da sinistra prof. Marchese, padre Adornato, prof. Megna, prof.ssa Barbuto/Ristuccia, .........prof. Lisuzzo, prof. Bongiorno, prof.ssa Conti.
di Roberto Foti
Il professore fra la madre di Massimo e Pippo Lisuzzo è il professore di matematica Emanuele, di cognome, non ricordo il nome.
di Antonio Famularo
Edizione straordinaria... S.O.S Maurizio Pagliaro.
Carissimo Maurizio, in relazione alla bellissima foto d'epoca relativa ai professori riuniti in consiglio presso l'indimenticabile Scuola Media di Santa Lucia, l'Insegnante a destra del carissimo Alfredo Adornato è la Prof. Linda Marchese (di Canneto, insegnante di Musica) e l'Insegnante tra il Prof. Ludovico Emanuele e il Preside Megna (ricordi i suoi pizzicotti alle orecchie?) è la Prof Emilia Iadevito, eccellente Insegnante di Italiano e una bellissima Donna! Manca il Prof. Giuseppe Lisuzzo (!). Anni formativi e...struggenti!. Scorrendo le immagini della mia memoria effettivamente il prof. Lisuzzo c'è! Non ho conosciuto la madre di Ristuccia, ma l'insegnante della quale mi ricordo era la prof. d'Italiano, Emilia Iadevito, e ho pensato che fosse lei. Comincio a perdere colpi!
Vi seguo sempre con tanto affetto. (Sto scrivendo altro materiale per il Notiziario) Con tanto affetto e la stima di sempre.
P,S, L'invito di venire a trovarti a Vulcano è sempre valido? (Ad agosto son venuto solo per pochi giorni e mi è mancato il tempo per venirti a trovare. Ti prometto che rimedierò... forse per le vacanze di fine anno).
di Maurizio Pagliaro
Grazie a chi ha collaborato a ricordarmi i miei anni migliori. Si ora riesco ad identificare il professore, di Disegno, Lisuzzo ,e non come pensavo il compianto Ninni Megna, e la professoressa, di Canto e Musica, Marchese di Canneto.
Le isole Lipari della mitologia, la dimora di Eolo, il sovrano dei venti, e la scena del suo incontro con Ulisse, alle isole Lipari di oggi è molto lontano grida davvero. Non ci sono alberghi, e le isole sono pressoché sconosciuti ai turisti, mentre i 13.000 abitanti sono quasi in uno stato di semplicità primitiva e patriarcale. Essi gara i loro servizi su base volontaria come guide e rifiutare il pagamento, per quanto riguarda tutti i visitatori, come i loro ospiti. L'asino è l'unico mezzo di locomozione. I cavalli non sono noti in tutta l'isola. (Marpose Gazette 01.11.1902).
---Prendendo spunto dalle foto che seguono e da quella successiva, tratte da un vecchio depliant in francese della Pumex, un pezzo di storia importante economica e sociale dell'isola, vorrei lanciare l'idea, avuta con dei cari amici, perchè non realizzare una STATUA, non particolarmente appariscente ma significativa, in onore dei cavatori di pomice, magari da posizionare nella piazza di Canneto, dopo tante testimonianze letterarie e visive, una testimonianza indelebile che accompagni la loro memoria per sempre, intere generazioni in quasi più di due secoli hanno dato anche la vita con le conseguenze polmonari in quelle cave. Mi auguro che l'idea della STATUA in loro onore possa trovare un ampio consenso e condivisa in tutte le sedi.
LE REAZION I NEL WEB.
Tina Spano: Si, da realizzare.
Bartolo Natoli: Assolutamente, d'accordo! Devo ricordare che sullo slargo della curva che immette nella bratella che porta alla spiaggia di Porticello era stata iniziata un'opera simile, se non ricordo male, dall'amministratore della Pumex Dott. Enzo D'Ambra. Francamente non ricordo e non so perche' tutto si blocco. Ma allora tutti noi che lavoravamo in Pumex ne eravamo entusiasti (non e' il mio caso, ma molti lavoratori avevano avuto parenti caduti). Oggi che ci chiamano gli Ex Pumex, potremmo essere in prima linea su questa iniziativa. Non dimentichiamoci dei morti, ma non abbandoniamo i vivi, che malgrado le promesse di una riconversione lavorativa ancora sono abbandonati a se stessi. Io mi ricordo, da Responsabile della produzione, la toccante messa annuale al Reparto Mulino e l'immancabile presepe dei lavoratori che veniva realizzato "nel Mulino" dai soliti volontari con a capo il carissimo Luigi Carlo Merlino. Qualche volta, che avro' meno amarezza per la chiusura di un azienda avvenuta per motivi ancora ai piu' oscuri, contattero' il caro Massimo Ristuccia, che non conosco personalmente, ma ammiro per il suo legame con la sua terra.
---Documento francese storico e a seguire The Washington Herald 10 july 1921.
Anche questo articolo è interessante. Studio del 1975: Letters to Nature 257, 474-475 (9 October 1975) | doi:10.1038/257474a0; Accepted 21 July 1975 Excess of atmospheric neon in pumice from the Islands of Lipari PETER BOCHSLER* & EMANUEL MAZOR The Weizmann Institute of Science, Rehovot, Israel *Present address: Physikalisches Institut, Universität Bern, Switzerland.
LORD RAYLEIGH1 reported an excess of neon (over argon) in pumice from the Lipari Islands. Dymond and Hogan2 have reported excesses of neon in mid-oceanic tholeitic basalts and have suggested that they indicate primordial neon. As the search for primordial gases in terrestrial rocks has an important bearing on our understanding of the formation and thermal history of the Earth, we decided to look at the isotopic composition of the neon in pumice from the Lipari Islands. We collected fresh specimens from the largest quarry on the islands and extracted the included gases by crushing in a vacuum line and by stepwise heating. The five noble gases were measured in a mass spectrometer.
----Molto interessante l'articolo del "The Brooklyn Daily Eagle di New York del 13 maggio 1907, che parlando dell'eruzione dello Stromboli descrive anche le case Eoliane.
Anni 80. Questa foto l'ho avuta dal collega Carapacchi (con la borsa). Era a Lipari quando mi sono arruolato io!
Per non dimenticare. L'Album dei Ricordi sulle cave di pomice.
Per la visione cliccare nel link che segue:
https://onedrive.live.com/view.aspx?resid=2633CD2D2E51024!115&app=PowerPoint
IL PLAUSO.
Un personaggio importante si é affacciato nei ricordi della vita eoliana trascorsa nel mondo originario delle isole. Sia umano che naturalistico. Massimo Ristuccia, con i suoi ricordi, ha iniziato da emigrante, a farsi conoscere come scrittore. Ha scritto e descritto con dolcezza la vita quotidiana delle isole. Adesso si è spinto più in là. Ha raccolto tutto quanto riguarda la pomice&altro. Ha cercato e continua a ricercare, in giro per il mondo, documenti rari e veri e con la sua paziente cultura li ha riversati sul Notiziario per renderli visibili a tutti. L'"eolian-romagnolo" Massimo Ristuccia conosce, da perfetto "tuttologo", le problematiche dell'arcipelago e per ogni argomento riesce a dare risposte e giustificazioni. E' giunto il momento che il Centro Studi Eoliano di Lipari o l'amministrazione Giorgianni gli propongano di stampare e pubblicare un libro a questo "storico del web" di cui le Eolie hanno un bisogno craterico per lasciare alle future generazioni ila testimonianza di cambiamenti mai dovuti al caso. "Questa sarà storia con il segno +".
-----1911 Encyclopedia Britannica Pumice.
Spuma, froth), a very porous, froth-like, volcanic glass. It is an igneous rock which was almost completely liquid at the moment of effusion and was so rapidly cooled that there was no time for it to crystallize. When it solidified the vapours dissolved in it were suddenly released and the whole mass swelled up into a froth which immediately consolidated. Had it cooled under more pressure it would have formed a solid glass or obsidian; in fact if we take fragments of obsidian and heat them in a crucible till they fuse they will suddenly change to pumice when their dissolved gases are set free. Hence it can be understood that pumice is found only in recent volcanic countries. Artificial substances resembling pumice can be produced by blowing steam through molten glass or slag, and when a mass of slag is suddenly cooled by being tipped into the sea (as is the case at the blast furnaces of Whitehaven in Cumberland) it swells up into a pumiceous form so light and full of vesicles that it will float on water. Any type of lava, if the conditions are favourable, may assume the pumiceous state; but basalts and andesites do not so often occur in this form as do trachytes and rhyolites. Pumices are most abundant and most typically developed from acid rocks; for which reason they usually accompany obsidians, in fact in Lipari and elsewhere the base of a lava flow may be black obsidian while the upper portion is a snow white pumice.
Small crystals of various minerals occur in many pumices; the commonest are felspar, augite, hornblende and zircon. If they are abundant they greatly diminish the economic value of the rock, as they are hard and wear down more slowly than the glassy material; consequently they produce scratches. The cavities of pumice are sometimes rounded, but may also be elongated or tubular owing to the flowing movement of the solidifying lava. The glass itself forms threads, fibres and thin partitions between the vesicles. Rhyolite and trachyte pumices are white, contain 60 to 75% of silica and the specific gravity of the glass is 2.3 to 2.4; andesite pumices are often yellow or brown; while pumiceous basalts, such as occur in the Sandwich Islands, are pitch black when perfectly fresh.Good pumice is found in Iceland, Hungary, Nevada, Teneriffe, New Zealand, Pantellaria and the Lipari Islands. The last-named are the chief sources of pumice for the arts and manufactures. At Campo Bianco in Lipari there is an extinct volcanic cone with a breached crater from which a dark stream of obsidian has flowed. For industrial purposes the best varieties are obtained from Monte Pelato and Monte Chirica. The pumice is extracted by means of shafts and tunnels driven through the soft incoherent stone. It is brought out in blocks of irregular shape and size and is trimmed into slabs and graded into several qualities before it is exported to Canneto, which is the centre of the pumice trade. The workmen say that the good pumice occurs in beds or veins, which are probably lava flows and are separated by valueless rock or by obsidian. The value depends entirely on the regularity, size and shape of the steam cavities and on the absence of minute crystals. From time immemorial the extraction and sale of pumice have been one of the principal sources of wealth to the inhabitants of this island. An inferior pumice, known in Lipari as Alessandrina, is used for smoothing oilcloth. Though all the Aeolian Isles are volcanic no pumice is exported from any of the others. In Iceland, Teneriffe and Hungary pumice also occurs, but not in sufficient quantity or of such quality as to render it worth working on a large scale. It is estimated that in Lipari there are 170 pumice quarries (or mines) giving employment to 1200 persons and producing 6000 tons of pumice per annum. The price varies with the quality: from 3 lire per Too kilogrammes for the commonest sorts to 200 or 300 lire for the best pieces, the average being about 15 lire. Much pumice is also used nowadays in the form of a fine powder, produced by crushing the rock, and forms an ingredient of metal polishes and some kinds of soap. It is often confounded with diatom earth or tripoli powder, but can easily be recognized by the aid of the microscope or by simple chemical tests.Among the older volcanic rocks pumice occurs, but usually has its cavities filled up by deposits of secondary minerals introduced by percolating water; hence it is of no value for industrial purposes. Pumice, in minute fragments, has been shown to have an exceedingly wide distribution over the earth's surface at the present day. It occurs in all the deposits which cover the floor of the deepest portion of the oceans, and is especially abundant in the abysmal red clay. In some measure this pumice has been derived from submarine volcanic eruptions, but its presence is also accounted for by the fact that pumice will float on water for months, and is thus distributed over the sea by winds and currents. After a long time it becomes waterlogged and sinks to the bottom, where it gradually disintegrates and is incorporated in the muds and oozes which are gathering there. After the great eruption of Krakatoa in 1883 banks of pumice covered the surface of the sea for many miles and rose in some cases for four or five ft. above the water level. In addition to this much finely broken pumice was thrown into the air to a great height and was borne away by the winds, ultimately settling down in the most distant parts of the continents and oceans. (J. S. F.)
Una foto di famiglia: mio Papà con un amico.
The New York Times 01.01.1909.
Giornale: la liberazione delle Eolie.
Altro pezzo da giornale americano!
http://www.ina.fr/video/CPF04007177/l-homme-du-stromboli-video.html
Une équipe de l'ORTF a suivi jusqu'au bout le vulcanologue Haroun TAZIEFF au cours de son expédition sur le volcan Stromboli. Images de Jean PRADINAS commentées par Haroun TAZIEFF lui-même. 1963
http://www.ina.fr video/CAC96007448/surf-au-stromboli-video.html
---Le Eolie sempre al centro della cronaca. The Washington Times. February 19, 1922.
---Documento 2 che parla della pomice di Lipari: Conversations -lexikon der berg-, hutten- & salzwerkskunde und ihrer hulfswissenschaften.
Autore: Carl Friedrich Alexander Hartmann
Editore: Stuttgart, 1840-41.
• Mineral industries -- Germany.
2 documento parla della pomice di Lipari: conversazioni-lexikon montagna, hutten - & fabbrica di sale del cliente e loro hulfswissenschaften.
Autore: Carl Friedrich Alexander Hartmann Editore: Stoccarda, 1840-41 • industrie minerarie - Germania.
---Assolutamente da non perdere: video francese su Lipari del 1960 con la parte finale tutta sulle cave di pomice.
http://www.ina.fr/video/CPF86642727
Voyage à sur l'île de Lipari : fête du village sur le port de Lipari avec dégustation de pastèques et parade des géants , représentation du guignol italien Pulcinella , joueurs de cartes , démélage des fils de pêche, enfants dégustant un plat de spaghetti,tamisage et conditionnement de la récolte de câpres,exploitation de gisements de pierre ponce et d'obsidienne.
https://www.youtube.com/watch?v=MAGhPZ-Z9RM L'Ile de Lipari
Interessante scritto su lipari del 1889.
---Altro video in italiano tedesco sulle Eolie.
Die Liparischen Inseln Bimsstein auf Lipari Schwefel auf Vulcano Kapern auf Salina Feuer auf Stromboli Wein auf Salina.
http://www.planet-schule.de/sf/php/02_sen01.php?sendung=8912
Italien - Feurige Berge, fruchtbare Böden Noch heute ist der vulkanische Ursprung der Liparischen Inseln allgegenwärtig. Es gibt dort zwei aktive Vulkane: Der Stromboli demonstriert mehrmals pro Stunde die Unberechenbarkeit des heißen Materials, das jederzeit aus dem Erdinneren... planet-schule.de
Noch heute ist der vulkanische Urspru
---Non so se è conosciuto ma c'è un bel video di "Antoine" sulle Eolie. Appena aperta la pagina del link che segue, cliccare su videos, dopo dall'elenco sotto panarea vulcano.
http://www.antoine.tv/index-en.php?act=voyages¶m%5Bregion%5D=64#
Video-reportage francese sulle cave di pomice.
06 sept. 1996 - 268 vues11min 53s LIPARI, île éolienne de Sicile, tire une nouvelle richesse de l'exploitation mécanique de la pierre ponce. Les cargos viennent des quatre coins du globe pour charger la précieuse pierre dans leurs soutes car les sources sont rares. Ici, elle provient de la lave du Stromboli voisin. Bartolo Peluza conduit une grande pelleteuse à flanc de colline. Surnommé le "funambule des cîmes" il raconte l'ancienne époque où l'exploitation était manuelle et dangereuse. Beaucoup d'ouvriers sont morts dans des conditions très dures. Après l'extraction vient le travail des tailleurs. Antonio Pa.no est une référence dans son domaine, il taille à la main jusqu'à 2000 "topolini" par jour. Il a tenté sa chance en Australie puis est revenu au pays. L'industrie de la pierre ponce touche la télévision, l'électronique...Elle donne aux habitants de l'île une certaine prospérité.
Per la visione cliccare sul link che segue:
http://www.ina.fr/video/CPC96006006
http://www.ina.fr/video/CPC96006006
IL PLAUSO.
di Pino La Greca
Complimenti a Massimo Ristuccia per l'ottimo lavoro di ricerca sui filmati relativi all'attività estrattiva della pomice. Voglio segnalare, tuttavia, che il volume in inglese del 1895 è già stato pubblicato dal sottoscritto nel II volume sulla storia della Pomice di Lipari.
di Salvatore Agrip
Gentile Direttore, In questo ultimo periodo l'amico Massimo Ristuccia con particolare capacità e passione ha saputo trovare sul web una serie straordinaria di documentazione di grande valore storico, fatta di fotografie, video e scritti che riguardano le nostre isole, principalmente legati alla lavorazione di pomice, credo che abbia fatto già un lavoro ammirevole e penso che ancora ci regalerà altro materiale del genere, pertanto vorrei ringraziarlo di vero cuore in quanto sono particolarmente entusiasta nel vedere tutto questo materiale e vorrei invitare i suoi lettori a vedere tutto ciò. Auspico che il tutto possa essere raccolto e catalogato insieme a tanta altra documentazione di valore che riguarda il nostro passato e possibilmente messo a disposizione di tutti come memoria storica, in qualche locale o struttura a Canneto che è il luogo che più di altro ha dato un notevole contributo umano nella lavorazione della pomice e oltremodo in passato era ritenuto un "borgo minerario" con le numerose strutture dove si lavorava la pietra pomice.
---Il mitico "Notiziario delle isole Eolie" cartaceo. Anche negli anni 60 erano...scintille!
Varie tratte dalla stampa americana riferite al terremoto di Messina ed alle conseguenze anche nelle Eolie.
---Su internet, rinvenuto libro interessante: ""Report on the Pumice Stone Industry of the Lipari Islands. Presented to both Houses of Parlliament by Command of Her Majesty, August 1895.
----Consiglio a tutti gli eoliani di vedere i video di questo sito sulle Eolie, si trovano: Lipari 1961 - Stromboli 1950 - cave di pomice 1934 - Stromboli 1932.
http://www.britishpathe.com/video/island-of-lipari/query
Interessante articolo del 1927 di un giornale di New York, scritto da un originario delle Eolie.
L'ALBUM DEI RICORDI.
I Liparoti/Cannetari volano già nel 1936: Profilio - Ristuccia.
---Le colonie nascono come ospizi marini alla fine dell'800 per ospitare bimbi affetti da malattie tubercolari: il mare e il sole avevano funzione curativa sui piccoli tanto da essere definiti 'antitubercolari'. La funzione terapeutica prosegue anche negli anni trenta, in pieno regima fascista, quando a quella sanitaria si aggiunge la funzione educativa e di propaganda. Eliminata la funzione propagandistica, le colonie ebbero una nuova vita dagli anni cinquanta quando si optò per la funzione sanitaria e ricreativa, ma anche di risollevamento dei ragazzi dagli effetti del conflitto bellico, a cui vengono inviati bambini di tutte le classi sociali. La cosa simpatica era l'abbigliamento uguale per tutti. Verso la fine degli anni settanta si assiste alla dismissione e abbandono delle strutture che avevano ospitato fino a quel periodo centinaia di migliaia di piccoli provenienti da tutto il paese.
Foto della colonia marina a Vulcano. 1949/1950 ecc.
-------Leggendo su vari siti: Ripascimento artificiale Tipo di intervento a difesa dei litorali in erosione che consiste nell'immettere sulla spiaggia ingenti quantitativi di sedimenti, allo scopo di ricostruirne la parte erosa. Tra le diverse modalità di attuazione del ripascimento quella basata sull'utilizzo di sabbie sottomarine è risultata la migliore per i bassi costi unitari della sabbia, per la possibilità di apportare in tempi ridotti ingenti volumi di materiale e per l'impatto ambientale pressoché nullo.
Opere di difesa come i ripascimenti, vanno stimati non solo sulla base dei costi di realizzazione e dei materiali utilizzati, ma necessitano di ulteriori spese per la gestione e il mantenimento nel tempo dell'opera stessa. Chiaramente, quanto meglio viene realizzata l'opera ex novo, tanto minori saranno i costi di gestione stagionale. La posizione della spiaggia, ubicata su un 'isola, eleva i costi di trasporto dei materiali, implica la necessità di lavorare in condizioni di mare calmo con conseguente allungamento dei tempi di lavoro e noleggio dei mezzi rispetto agli standard di realizzazione.
Alla base di qualsiasi progettazione di opere di difesa marittima c'è l'analisi meteomarina. Il materiale che verrà utilizzato durante l'esecuzione dei lavori deve essere di qualità simile a quello già presente in luogo per non alterare gli equilibri naturali della spiaggia. I ripascimenti delle spiagge in ghiaia hanno la funzione di stabilizzare la linea di riva e assorbire l'energia del moto ondoso. Per determinare i quantitativi dei sedimenti da versare in un tratto di litorale in erosione occorrerebbe un confronto di rilevi batimetrici.
Per quanto concerne la scelta del materiale da utilizzare possono essere scelte principalmente tre strade: - prelievo di materiale sabbioso da cave dell'entroterra; - prelievo di materiale sabbioso da cave marine; - utilizzo di materiale dragato da porti, foci e moli. Il materiale da ripascere sulle spiagge prelevato da cave terrestri, oltre a essere economicamente svantaggioso in termini commerciali, reca grave danno dal punto di vista eco-ambientale. Il materiale sabbioso delle spiagge è un materiale di transito che viene costantemente sottratto alla terraferma e trasportato dalle correnti (e dalla forza di gravità) verso gli abissi marini.
Le correnti longitudinali spostano lungo i litorali il materiale sabbioso ma non lo sottraggono ad essi, mentre quelle trasversali lo spostano in maniera definitiva. Nel momento in cui ci si deve porre il problema di contrastare il fenomeno dell'erosione delle coste, il punto più naturale ed ecologico di captazione del materiale sabbioso è situato all'inizio del suo tragitto verso gli abissi, ovvero ai limiti della zona attiva di trasporto longitudinale (usualmente oltre la batimetrica dei 10 m). Le cave a mare sono il luogo più naturale di prelievo di materiale, perché esso è quello che preesisteva sulle spiagge e perché ad esse tornerà di nuovo. principali vantaggi derivanti dal ripascimento artificiale sono: 1. ampliamento della spiaggia con conseguente maggiore disponibilità di spazio per le attività ricreative.
Ne deriva un incremento del flusso turistico e quindi la stessa spiaggia ripaga almeno parte delle spese sostenute; 2. conservazione e talora miglioramento degli aspetti estetici; 3. nessun pericolo per i fruitori della spiaggia; 4. il sedimento di riporto che lascia il sistema va a rifornire le spiagge limitrofe a quella ricostruita e quindi le perdite sono minori di quanto non appaia; 5. possibilità di abbandonare il progetto in qualsiasi momento, senza ulteriori spese, qualora si rivelasse inefficace.
Ai vantaggi si accompagnano alcuni svantaggi, fra i quali: esigenza di ripetere ciclicamente l'intervento; il sedimento da riversare deve avere caratteristiche granulometriche e sedimentologiche ben precise, teoricamente identiche a quelle delle sabbie che costituiscono la spiaggia che si intende ricostruire. Cosa altro si può fare: (Ripascimenti artificiali protetti con opere parallele o perpendicolari alla riva, o opere emerse o sommerse) • costruzione di setti sommersi trasversali, con il compito di favorire la risalita delle barre sommerse di sabbia del fondale antistante; • progetti di ripristino delle dune nel retrospiaggia; • opere di protezione con lo scopo di proteggere la costa intercettando le correnti litoranee in modo da ridistribuire i sedimenti sulla spiaggia, laminando al contempo le forzanti idrauliche.
---Procedure lunghe e complicate ma se la cosa andasse in porto si potrebbe cogliere l'occassione anche a Lipari per ampliare, migliorare o costruire impianti sportivi!!
Un programma a favore della ristrutturazione e costruzione degli impianti sportivi. Il Ministro Delrio presenta un programma dettagliato per favorire l'attività fisica, sportiva e motoria in Italia. Pubblicato dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, un'audizione programmatica in materia di sport, contenenti misure per incoraggiare un maggior numero di persone a praticare sport e attività fisica quali parti integranti della vita quotidiana.
Questo documento, che potete leggere in versione integrali sul sito del Governo Italiano, nasce da due premesse, entrambe preoccupanti.
La prima è che, secondo i dati diffusi dall'Unione Europea, quasi il 60% dei cittadini dell'UE non fa mai esercizio fisico o sport, con evidenti ricadute sullo stato di salute e sulle condizioni di invecchiamento. L'Italia, poi, ha tassi di frequenza ancora minori, in particolare per quanto riguarda il Mezzogiorno.
Un'impiantistica inadeguata
Il secondo dato che allarma il Ministro Delrio riguarda le strutture per l'attività sportiva. Si pensi che una scuola su quattro, in Italia, non dispone di una palestra e che solo le aree del Nord Ovest e Nord Est possono contare su spazi adeguati all'utenza.
Si parla di circa 350 spazi per ogni 100.000 abitanti, comunque ancora troppo bassi rispetto alla media europea.
Per questo, il Ministro ha delineato quattro principali obiettivi, che il Governo deve affrontare in maniera proprietaria per dare nuova vita al movimento sportivo in Italia.
1) Favorire la pratica sportiva da parte dei giovani e nelle scuole
"Fin dal 2009 - scrive Graziano Delrio - abbiamo lanciato, in collaborazione con il CONI, il progetto di Alfabetizzazione Motoria che prova a supplire al numero esiguo di ore di educazione motoria".
Dall'analisi dei dati ottenuti nel periodo di sperimentazione (2011-2012-2013), ha visto emergere un trend molto positivo in termini sia di partecipazione sia di impegno economico, con uno stanziamento che è passato da 4.715.620 euro della prima edizione a 12.581.974 euro (+166%).
Di progetti come questo ne sono stati attivati molteplici (li potete leggere nel documento completo) (http://www.governo.it/Presidenza/Comunicati/dettaglio.asp?d=75949) , non solo a favore dei bambini, ma anche degli anziani. L'intenzione del Ministro è di mettere in campo altri progetti, in modo da incentivare la pratica sportiva in ogni segmento della popolazione.
2) Ammodernare e valorizzare l'impiantistica sportiva esistente e costruirne di nuova
Per quanto riguarda l'ammodernamento e la valorizzazione dell'impiantistica sportiva, abbiamo avviato un progetto di censimento che si avvale della collaborazione del Coni, della Conferenza delle Regioni e del Ministero dell'Istruzione.
Per quanto riguarda i finanziamenti, nell'Istituto di Credito Sportivo è stato individuato il soggetto unico atto a finanziare gli interventi di ristrutturazione o di nuova edificazione.
"Cercheremo di sfruttare l'ICS al massimo - scrive il Ministro - per evitare i problemi legati al patto di stabilità, per supportare la ristrutturazione e la realizzazione di strutture sportive funzionali alle scuole.
L'Istituto potrà attivare due distinte procedure di finanziamento, che presenteremo alla fine di questo mese e che si avvarranno di un meccanismo simile a quello della legge Sabatini, ovvero l'abbattimento del conto interessi per chi accende mutui.
A questo proposito abbiamo rastrellato un po' di fondi avanzati dagli anni scorsi. A ciò si aggiunge il rifinanziamento del Fondo di garanzia dell'Istituto per il credito sportivo, introdotto con alcune disposizioni della legge di stabilità per l'anno 2014.
Sono stati stanziati 10 milioni di euro per il 2014, 15 milioni per il 2015 e 20 milioni per il 2016, fondi destinati ad assicurare interventi per la sicurezza strutturale e funzionale degli impianti sportivi e la loro fruibilità, nonché per il loro sviluppo e ammodernamento.
Ovviamente, se vi fosse la possibilità di avere una garanzia di ultima istanza da parte dello Stato, avremmo un effetto-leva molto maggiore, ma in questo momento questi sono i mezzi che abbiamo a disposizione.
Il decreto contenente i criteri di gestione è pronto e proprio in questi giorni sarà trasmesso alle amministrazioni interessate nel procedimento. Purtroppo, come sempre, vi sono delle procedure di "concerto" molto lunghe".
3) Promuovere la funzione sociale dello sport
Totale appoggio verrà dato al ddl A.C. 1680 contenente "Disposizioni per il riconoscimento e la promozione della funzione sociale dello sport nonché delega al Governo per la redazione di un testo unico delle disposizioni in materia di attività sportiva" su cui è cominciata la discussione e si è costituito un comitato ristretto.
4) Portare a compimento le attività programmate
Priorità verrà data alla lotta al doping, alla dichiarazione del Consiglio di Vilnius (che riconosce il valore dello sport come linguaggio universale per educare le persone) e al nuovo programma di formazione Erasmus+.