Il contrasto netto tra lo stile dell’attività eruttiva di Vulcano dell’Arcipelago delle Isole Eolie e i lunghi tempi di quiescenza che si registrano sull’isola, anche nell’ordine dei 100-200 anni tra un’eruzione e la successiva. Sono i contenuti del lavoro realizzato da un team di ricercatori dell’Università di Catania, dell’Università della Calabria e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale “Lithos” nel campo delle Scienze della Terra.
“L’idea sulla quale si fonda questa ricerca – spiega il prof. Marco Viccaro, docente di Geochimica e Vulcanologia dell’Università di Catania e coordinatore del team di ricerca –, trova le sue radici nel fatto che l’attività eruttiva sull’isola di Vulcano è stata relativamente poco frequente nel corso degli ultimi mille anni. A fronte di questa scarsa attivazione del sistema vulcanico, fattore che in altri contesti geodinamici simili a quello delle Isole Eolie è, invece, determinante per produrre attività eruttive tra le più violente che si registrano sulla Terra, le eruzioni che scaturiscono dalla ‘Fossa di Vulcano’ sono state di taglia abbastanza modesta”.
Grazie alle informazioni registrate in “orologi naturali” quali sono alcuni cristalli che si rinvengono nelle rocce vulcaniche, il team di ricerca è riuscito a ricavare i tempi di stazionamento del magma in profondità, scoprendo – in modo del tutto sorprendente – che il magma rimane confinato per lungo tempo a grandi profondità nella crosta terrestre (intorno ai 15-20 chilometri) e che viene messo in movimento verso la superficie solo pochi anni prima di un’eruzione.
“La risalita del magma – continua il prof. Viccaro – avviene attraverso una vera e propria reazione a catena, che è capace di attivare camere magmatiche a profondità progressivamente decrescenti in cui è presente poco magma. Ciò comporta che i tempi di stazionamento del magma a livelli superficiali (<10 km) sono molto brevi, anche solo un paio di anni. Il tempo piuttosto limitato speso nella crosta terrestre inibisce l’evoluzione del magma stesso che, non perdendo in modo significativo calore, differenzia poco e non si arricchisce in volatili”.
Vulcano è un’isola appartenente all’Arcipelago delle Eolie che è ancora straordinariamente attiva dal punto di vista geologico e vulcanologico. L’ultima attività eruttiva che si è registrata sull’isola risale a circa 130 anni fa ovvero al ciclo eruttivo del 1888-1890 al cratere La Fossa. Oggi l’isola di Vulcano è meta di un importante turismo, soprattutto durante la stagione estiva. “Una conoscenza migliore dei meccanismi di funzionamento del sistema vulcanico e dei tempi che possono intercorrere tra un segnale precursore e l’attività eruttiva sono fattori cruciali per una corretta valutazione del rischio vulcanico associato e per attuare un’efficace mitigazione – conclude il docente etneo -. L’integrazione di studi di questo genere con i dati acquisiti attraverso il monitoraggio continuo dei segnali geochimici e geofisici, operato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, può dunque costituire una reale frontiera per la mitigazione del rischio da attività eruttiva all’isola di Vulcano”.(blogsicilia.it)
In Italia 3,5 milioni di persone all'ombra di un vulcano attivo
In Italia più di 3,5 milioni di persone vivono all'ombra di un vulcano attivo e la maggior parte di queste vivono nell'area di Napoli, nel raggio di pochi chilometri da Vesuvio e Campi Flegrei: la sfida è mettere a punto nuove strategie per la 'convivenza'. E' quanto emerge dal congresso "Cities on Volcanoes", in programma a Napoli fino al 7 settembr, organizzato da Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) in collaborazione con Dipartimento della Protezione Civile, Regione Campania, Comune di Napoli, Parco Nazionale del Vesuvio, università Federico II e Associazione Nazionale di Vulcanologia.
La maggior parte di chi vive vicino a un vulcano si trova "a Napoli e nel suo hinterland", ha detto Roberto Isaia, dell'Ingv e presidente del Comitato Organizzatore del congresso. Con una densità di popolazione di 2.700 abitanti per chilometro quadrato e due vulcani esplosivi attivi, Vesuvio, Campi Flegrei, e l'isola di Ischia, l'area napoletana è una delle regioni caratterizzate dal rischio vulcanico più alto al mondo. Tuttavia, "per fortuna, le eruzioni di questi vulcani sono molto rare", ha rilevato Augusto Neri, direttore della Struttura Vulcani dell'Ingv.
Circa 500.000 persone vivono invece intorno all'Etna e tra le isole di Stromboli e Vulcano. Stromboli ed Etna, ha proseguito Neri, "hanno un'attività quasi continua ed è possibile osservare fenomeni e sperimentare apparecchiature per la sorveglianza e teorie sulle loro dinamiche". Il problema maggiore, ha aggiunto, "sono i vulcani quiescenti come quelli campani: non abbiamo infatti mai osservato le loro eruzioni con sistemi di monitoraggio moderni e il loro eventuale risveglio sarebbe quindi un unicum da questo punto di vista".
La prima sfida, per convivere con questi vulcani, ha detto la direttrice dell'Osservatorio Vesuviano dell'Ingv, Francesca Bianco, è "sviluppare migliori metodi, con approcci teorici e sperimentali, per poter definire quanto prima possibile e con incertezza sempre più bassa l'avvio di una modifica nello stato dinamico del vulcano".