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di Luigi Ferrarella

Che noia questi continui discorsi sulla corruzione, e poi con l' anticorruzione mica si mangia, alla fine son cose che neanche toccano davvero la vita quotidiana dei cittadini.

Tutti luoghi comuni che, per converso, vanno a braccetto con le balzane risposte alla domanda su quanto costi all' Italia la corruzione: dai numeri a casaccio tratti da controversi indici di corruzione percepita, al gigantismo malinteso di chi rimastica improbabili statistiche tramandate nonostante la loro dimostrata fallacia (come la leggenda metropolitana dei «60 miliardi l' anno» attribuita alla Corte dei conti), fino al riduzionismo di chi minimizza la corruzione e ne ritiene esagerati gli effetti.

Ma da ieri una risposta beffardamente più precisa, riguardo a una specifica vicenda, arriva da una decisione del Tribunale dell' Unione Europea: ai cittadini, e più precisamente ai cittadini siciliani, da ieri si può dire che «varie irregolarità» e «gravi carenze nella gestione e nei controlli» sono costate quantomeno 379 milioni 730 mila 431 euro e 94 centesimi. Cioè la quota di fondi strutturali che l' Italia ha perduto (sul miliardo e 209 milioni di euro destinati 15 anni fa al sostegno di interventi strutturali in Sicilia) a causa della ritenuta inaffidabilità dei suoi sistemi di controllo e utilizzo.

Nel 2000 e poi nel 2004 la Commissione europea aveva infatti approvato il cosiddetto «Por Sicilia», cioè il Programma operativo per la Regione Siciliana, con un cofinanziamento del Fse-Fondo sociale europeo fino a 846 milioni su 1,2 miliardi. Ma il 17 dicembre 2015, sulla scorta di una serie di audit avviati sin dal 2005, la Commissione europea aveva ridotto il contributo finanziario di ben 379 milioni «a causa delle constatate irregolarità singole e sistemiche», e di «varie irregolarità in diverse operazioni, alcune accertate dall' Olaf-Organismo antifrode europeo».

Contro questa sanguinosa decurtazione finanziaria (che ora fa parlare il segretario generale della Uil Sicilia, Claudio Barone, di «un disastro per le casse della Regione Sicilia che causerà non pochi problemi in un momento ancora critico per la nostra isola»), lo Stato italiano aveva presentato ricorso al Tribunale dell' Unione europea: ma ieri questi giudici Ue - con sede in Lussemburgo e nominati congiuntamente dai governi nazionali per decidere per 6 anni i ricorsi proposti sia dagli Stati sia dai privati contro gli atti delle istituzioni comunitarie - lo hanno respinto, e hanno convalidato la decisione della Commissione europea di ridurre i fondi all' Italia togliendole quei 379 milioni di euro inizialmente stanziati.

Perché? Perché sono state appunto «accertate operazioni relative a progetti presentati dopo la scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione, spese di personale non correlate al tempo effettivamente impiegato per i progetti, consulenti esterni privi delle qualifiche richieste, insufficienti giustificativi di spesa, altre spese non attinenti ai progetti, esecuzione delle attività non conforme alla descrizione dei progetti, violazione delle procedure di appalto e di selezione di docenti e fornitori».

Insomma proprio tutte quelle cose che, quando riempiono i titoli dei giornali, annoiano i negazionisti del peso della mala-amministrazione. Adesso, sulla scia della decisione del Tribunale Ue, maturerà una consapevolezza sull'«innegabile esistenza di errori sistemici imputabili a insufficienze nei sistemi di gestione e di controllo» dei fondi strutturali europei, «che si sono manifestati nel corso di diversi esercizi finanziari e ai quali non è stato posto del tutto rimedio fino alla fine della programmazione». Peccato che questa (tardiva) consapevolezza sia ora pagata parecchio cara: 379 milioni.(corriere.it)

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