La Cassazione ha deciso: in sette dovranno scontare la condanna inflitta in Corte d’Appello di Messina agli imputati del processo scaturito dalla Operazione Beta. Mentre per l’ottavo condannato c’è l’annullamento con rinvio agli stessi giudici d’Appello messinesi.
I sette per i quali la condanna diventa definitiva sono: l’avvocato Andrea Lo Castro ( 9 anni); il costruttore Carlo Borella (2 anni e 8 mesi); Michele Spina (8 anni) ; Stefano Barbera (8 anni); l’ex funzionario comunale di Messina, Raffaele Cucinotta (2 anni); Alfonso Resciniti (2 anni e 6 mesi); Guido La Vista (1 anno e 3 mesi).
Annullata, con rinvio alla Corte d’Appello di Messina, la condanna a 2 anni per Gaetano Lombardo.
L’operazione Beta fu l’indagine, dei Ros dei Carabinieri di Messina, che nel luglio 2017, per la prima volta, sancì la presenza di Cosa Nostra catanese sul territorio di Messina città. Sino ad allora, precedenti operazioni di polizia avevano stabilito sodalizi tra i clan di Barcellona, dei Nebrodi, e le cosche catanesi, ma l’operazione accertò le propaggini del clan catanese capeggiato da Nitto Santapaola sulla Città dello Stretto.
Il tramite, a detta degli inquirenti, era Vincenzo Romeo, figlio di una sorella del boss etneo, che con il padre, Francesco, ed alcuni fratelli, Benedetto, Antonio e Pasquale Romeo, venne accusato di gestire nell’area messinese gli ‘affari di famiglia’.
Sull’ordinanza, 6 anni fa, il Gip scriveva: “L’entità partorita da Cosa Nostra catanese era volutamente distante da bande armate ma collocata all’interno dell’economia reale e con relazioni socio-economiche. Aveva agganci in ogni settore della società che conta”.
In pratica, era la rivoluzione dei vecchi metodi mafiosi, soppiantata da una gestione manageriale del crimine, basata sull’appoggio di insospettabili personaggi componenti di un tessuto sociale di apparente rispetto.
E tra chi vantava un corredo di rispettabilità (anche se non nuovo a inchieste) c’era un professionista del Foro di Messina, l’avvocato Andrea Lo Castro, che finì in carcere. Lo Castro venne accusato di avere messo a disposizione del sodalizio criminale le proprie competenze professionali per consentire il riciclaggio di danaro sporco, proveniente da attività criminose. L’avvocato, inoltre, per l’accusa avrebbe eseguito attività di falsa intestazione di beni e avrebbe elaborato strategie per sottrarre, in frode ai creditori, le garanzia patrimoniali sulle obbligazioni, prestandosi in prima persona anche a fungere da prestanome per l’intestazione fittizia di beni (immobili appartenenti a Vincenzo Romeo).
Tra le figure chiave colluse con il sodalizio, a detta degli inquirenti, c’era anche un funzionario del dipartimento Urbanistica del Comune di Messina, l’ingegnere Raffaele Cucinotta. Accusato di avere favorito un circuito di imprese cui faceva capo Vincenzo Romeo, affinché, pur non avendo i requisiti necessari, potessero partecipare a pieno titolo al bando per la realizzazione di alloggi popolari a Messina. In pratica, il dirigente venne accusato di avere attenuato i limiti posti alle imprese per la partecipazione. L’affare – dissero gli inquirenti al tempo – sarebbe saltato perchè il Comune rese poco appetibile l’appalto e Romeo si ritirò.
E poi c’era un noto imprenditore, Carlo Borella, ex presidente dei costruttori di Messina, che rimase coinvolto nell’indagine. Borella era titolare della “Demoter S.p.a.”, che insieme alla “Cubo S.p.a.”, si succedettero in Calabria nella realizzazione e nel parziale adeguamento della S.S. 112 Bovalino-Bagnara: per l’accusa, quei lavori furono largamente finanziati da Vincenzo Romeo che, al fine di ridurre le pretese dei calabresi, ebbe un incontro al vertice con esponenti della cosca dei Barbaro di Platì (Rc).
In primo grado Lo Castro fu condannato a 14 anni, Borella a 13 anni, Cucinotta a 9 anni.
Pene che in Appello furono ridotte notevolmente: per Lo Castro 9 anni con l’esclusione parziale per un’aggravante; per Borella 2 anni e 8 mesi; per Cucinotta 2 anni, con la sospensione della pena.
La Corte Suprema, ieri sera , le ha confermate.(lecodelsud.it)
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