La giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne: le iniziative intraprese dal Comando Provinciale di Messina. Nella foto la stazione dei carabinieri di LIpari.
di Marilena Macrì Maffei da Roma
Nella Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne voglio fare conoscere agli eoliani una storia accaduta circa settanta anni fa in un’isola periferica dell’arcipelago, in un ambiente contadino povero dove i bambini non potevano andare a scuola e dovevano lavorare. Un frammento di vita vissuta che ci mostra la trama di un vivere quotidiano di una famiglia dove una donna e i suoi sette bambini non dovevano soltanto combattere la miseria ma anche sottostare al volere del capofamiglia, un uomo prepotente e violento cui non c’era possibilità di sottrarsi. Un racconto che ci trasporta, con gli scontati distinguo, nel vivo dell’attualità perché le chiavi di lettura sono sempre le stesse: violenza domestica e patriarcato.
Nel 2010, durante una mia ricerca sul campo nelle isole, uno di quei sette protagonisti ha voluto raccontarmi un episodio dolorosamente rimasto nella sua memoria di adulto. Una volta sua madre si salvò solo per l’intervento deciso di un’altra donna, una passante, le cui urla, le minacce e uno stratagemma riuscirono a fermare la violenza dell’uomo. Un episodio che ha comunque segnato la sua vita e quella dei suoi fratelli ma che tutti noi non dovremmo dimenticare in quanto s’ inserisce in una storia molto più ampia del nostro Paese, “senza né come e né quando”.
Il racconto. A mari nnu autri quando eravamo carusi andavamo a [fare il] bagno e andavamo ammucciuni di me patri perché me patri un ci mannava, no! Un ci mannava. Iddu s’annava a coricare e nnu autri scappavamo pe’ u mari. Eravamo carusi! E venivamo a corsa, mancavamo un’ora, un’ora e menza e a cursa ’nchianavamu. […] Mamma mia! Lontano, lontano era prima che eravamo a mari. Nnu autri che eravamo cumu u vientu, eravamo cumu i corvi, ci gettavamo a tutta corsa […] e correvamo, correvamo per andare a mari.
Non vi faceva andare? No, non ci faceva andare no! E poi con la notte nnu autri andavamo a […lavorare] cu u lustru i luna e noi altri zappavamo cu u lustru i luna e ci scambiavamo cu gli autri compagni. ’Na sira andavamo noi cu iddi e ’na sira venivano iddi da nnu autri [e lavoravamo] sino a giorno, e poi di giorno andavamo a mari e stavamo sino alle deci e menza - unnici e ci raccoglimu [a casa]. E quando andavamo a casa a volte abbuscavamu puru corpa. Puru corpa abbuscavamu da me patri, iddu era… stuortu, hai voglia! Stuortu, mancu a lli cani. Era superbiu, dava corpa inutili senza che ci facevamo nenti, noi travagliavamu […] e pure corpa dava. Era stuortu. […] Io a scuola non ci andai mai, me patri [non voleva], tutti quanti analfabeti simu, eravamo sette.
A mamma era […] buona, buona come a mia e delle volte iddu ci dava corpa senza né come né quando, sì! Nnu autri facevamo l’orzo e andavamo a pestare a C…, perché avevamo la terra a C… e così quando mettevamo a robba: orzo, grano o quello che era lo portavamo a C. e poi lo dovevamo pestare. E pestato bene poi u spartivamo [con il padrone] e a parte nostra la ’nchianavamu sopra e a parte sua ci restava ddà. Ora ’na vota mentre [la mamma] ’nchianava [con il sacco sulle spalle, lungo la strada] per P. le dice:
“Maria, posa. - a mamma mia si chiamava Maria e iddu si chiamava Vartulu - Maria, posa. Posa ora che t’arranciu iò”. Dice idda: “Vartulu che è? Perché devo posare?” “Posa, Maria!”
Idda posò [il sacco], iddu posò pure. Acchiappò e carricava corpa. Ma corpa spaventosi! Corpa!
E c’era una che passò per P. , ch’era […] che abitava a P.
“Eh figghiu i buttana! Che ti fa chista poveretta? Lassala staaari! Ora chiamu i carabbinieri. Uarda unni sunnu! Ecco, ecco! Stanno arrivando. Preeestu, ‘nchianate! Che sta ’mmazzannu a mugliere a corpa”.
E accusì a lassò ma si nno l’ammazzava. E senza né come e né quando.
Isola, 2010. Narratore: M., contadino, nato nella seconda metà degli anni Trenta.
25 NOVEMBRE - GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE.
Si chiamavano Francesca, Ignazia, Sofia, Sara, Aurora : la più giovane aveva 13 anni, la più vecchia 90. Abitavano in Sicilia, in Lombardia, in Campania, in Lazio; in città affollate o in sonnolenti paesi di provincia. Strade diverse, storie diverse finite tutte nello stesso modo: per mano di uomini che – nella maggior parte dei casi – erano stati mariti, compagni, figli…. Ogni anno in prossimità del 25 novembre, data scelta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per ricordare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, social e mass media si affannano a stilare resoconti e statistiche sul numero di donne uccise, come se il dramma della violenza potesse essere riassunto da un grafico, senza tenere conto che ogni numero rappresenta un nome ed una vicenda umana.
Nel 2024, secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, le donne uccise tra gennaio e novembre sono 98, di cui 84 ammazzate in ambito familiare o affettivo. Aumenta in maniera evidente il numero di donne anziane uccise da un familiare (marito, figlio), spesso in un clima di disagio, solitudine, malattia ed aumenta il numero di giovanissimi coinvolti in storie di violenza, fisica e psicologica.
Non dimentichiamoci che quando parliamo di violenza contro le donne, parliamo anche di altre forme di violenza, che sono meno appariscenti e meno indagate, ma altrettanto gravi e destabilizzanti: maltrattamento, abuso, bullismo, violenza psicologica, stalking, che colpiscono anche i ragazzi e le ragazze, spesso con conseguenze irreparabili.
Lunedì 25 novembre, a partire dalle 17,30 di fronte alla Sala delle Lettere sul Corso Vittorio Emanuele le associazioni Soroptimist, I.Dee, FIDAPA, Rotary, Rotaract, Nesos, MMS, Centro Studi Eoliano, organizzano un flash mob per ricordare le donne vittime di violenza.
Malfa,.Giornata Internazionale contro la violenza sulle Donne
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