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di Giacomo Amadori

indemnMentre il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano si spende h24 per il sì al referendum sulle riforme, il ministero della Giustizia si premura di tutelare la verginità istituzionale di cotanto padre costituente inviando gli ispettori a Palermo nel tentativo di tamponare eventuali fughe di notizie sul suo conto. Quantomeno questo è quello che ieri lasciava intendere un articolo di Giovanni Bianconi sul Corriere della sera. Il casus belli è un' intervista rilasciata nel novembre scorso dall' ex pm Antonio Ingroia a Libero. Una lunga conversazione in cui il magistrato che condusse le indagini sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia promise di rendere pubbliche, parafrasandole in un romanzo, le intercettazioni distrutte su ordine della Corte costituzionale tra l' allora ministro dell' Interno Nicola Mancino (indagato) e lo stesso ex presidente Napolitano. Chiacchierate dai toni poco istituzionali, in cui i due vecchi amici si lasciavano andare a commenti sapidi non in linea con il paludato linguaggio quirinalizio. Battute, si dice, irriguardose anche nei confronti degli inquirenti. Peccato che il capo dello Stato sia pure il presidente del Consiglio superiore della magistratura. Un corto circuito che, se reso pubblico, rischierebbe di gettare una luce sinistra sulla Madonna pellegrina delle riforme. Un pericolo che evidentemente il governo non sembra pronto a correre. Il Corriere racconta che dopo l' intervista, Giovanni Melillo, capo di gabinetto del ministro Andrea Orlando «fece seguire una richiesta di accertamenti al capo dell' ispettorato Elisabetta Cesqui», ex consigliera del Csm in quota Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe. Cesqui chiese alla procura di Palermo se esistessero copie o ulteriori registrazioni sull' argomento. La risposta fu negativa. Ma a fine marzo, evidentemente non convinto, l' ispettorato ha ordinato nuove verifiche sul server che registra le telefonate a caccia di «tracce di eventuali duplicazioni e accessi diversi». Per questo è stato scomodato pure un tecnico della ditta che ha realizzato il sistema informatico e gli ispettori hanno messo sotto torchio tutti e sei i magistrati ancora in attività che, per motivi di indagine, hanno avuto contezza delle conversazioni: tutti hanno dovuto confermare in una nota che le intercettazioni erano state regolarmente distrutte come «richiesto in data 17 gennaio 2013». Nino Di Matteo avrebbe aggiunto anche una postilla stizzita per la «ingiustificata sfiducia» del ministero nei suoi confronti. In realtà gli ispettori hanno potuto controllare tutti fuorché il principale sospettato, quell' Ingroia divenuto avvocato. Il quale sta scrivendo il libro come ha annunciato a Libero. «Il grosso però lo butterò giù in estate». Comunque l' incipit provvisorio è già sul computer: «Ciao Giorgio come stai? Ti ricordi quando l' abbiamo sentita la prima volta…». Il riferimento è ovviamente a un' intercettazione, perché «ci sono delle cose che vanno raccontate» chiosa l' ex magistrato. «Se a distanza di 4 anni, dopo che mi sono dimesso dalla magistratura e dopo che Napolitano ha lasciato il Quirinale, si mobilita, a spese dell' erario, un' intera squadra di ispettori per verificare che nessuno sia in possesso di quelle telefonate è normale che i cittadini si domandino che cosa contenessero. Ecco il perché del libro che sarà un racconto a posteriori dell' Italia che ha rinunciato a fare i conti con alcune verità scomode: descriverà un Paese di ricatti e ricattatori, di sentenze politiche. La storia sarà ambientata in un futuro prossimo, tra la Sicilia, Roma e altri luoghi e narrerà le vite parallele di alcuni reduci della stagione dei grandi processi di mafia, politici e magistrati. Tra i protagonisti ci sarà chi avrà abbandonato l' Italia e chi avrà fatto carriera; a un certo punto le loro storie si incroceranno e avremo dialoghi e flashback.
In cui si parlerà anche delle intercettazioni di Napolitano e Mancino». Immaginava di creare tutto questo trambusto con le sue dichiarazioni? «Trovo che sia fuori dal mondo che un' intervista, persino un po' scanzonata, abbia avuto come conseguenza che il ministero della Giustizia, seriosamente e con le scarpe chiodate, sia tornato a calcare i corridoi della procura di Palermo per verificare se i magistrati del pool abbiano scritto la verità nelle relazioni che gli sono state richieste. Non credo che ci siano precedenti in Italia e neppure all' estero. Il motivo è che quelle intercettazioni fanno paura». Per quale motivo? «Bisognerebbe chiederlo a chi si è spaventato. Soprattutto a chi non conosce o non ricorda l' esatto contenuto di quanto detto in quelle registrazioni». Alla fine, però, Ingroia tranquillizza tutti: «Il libro uscirà dopo il referendum».

 

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