plocascio5di Pietro Lo Cascio*

Gentile Signor Sindaco,in data 6 ottobre 2013 (più di un anno fa, dunque) avevo inviato alla sua attenzione un'interrogazione riguardante la collocazione del nuovo faro nel porto di Marina Corta; tra le varie domande – rimaste purtroppo senza risposta – chiedevo di conoscere le iniziative intraprese dall'amministrazione per affrontare il problema sorto a seguito dell'iniziativa del servizio Marifari della Marina militare, che ha ritenuto di collocare un nuovo manufatto piuttosto che intervenire per il mantenimento del faro esistente.
Questo nuovo faro è indubbiamente poco consono valore paesaggistico e storico-architettonico della penisola del Purgatorio – uno dei luoghi maggiormente espressivi di Lipari e dell'intero arcipelago – ma sta per entrare comunque in funzione, giacché durante l'anno trascorso non è stato evidentemente possibile individuare alcuna soluzione, e ciò appare davvero incomprensibile.
Con la presente interrogazione, per la quale auspico vivamente di ricevere risposta, desidero conoscere:
1) quali iniziative sono state intraprese dall'amministrazione per verificare l'effettiva entità dei danni di natura strutturale che renderebbero necessaria la dismissione del faro originario, ovvero se è stato effettuato un sopralluogo e redatta una perizia da parte di tecnici dell'Ente o incaricati a tale scopo;
2) se il fabbricato dove risulta collocato lo stesso sia di proprietà dell'Ente o di altra proprietà, e in tal caso – a fronte di evidenti ragioni di pubblica utilità – se è stata considerata la possibilità di intervenire addebitando a quest'ultima i relativi oneri e spese.
Mi permetto di evidenziarle ancora una volta come appaia scarsamente giustificabile l'inserimento di una struttura come quella collocata da Marifari in un contesto particolarmente sensibile dal punto di vista paesaggistico quale è Marina Corta: in altri casi – verificatisi anche nel nostro arcipelago – il funzionamento di fari e fanali è stato sospeso per periodi più o meno lunghi senza che al loro fianco venissero piazzate brutture come quella in parola; ad ogni modo, i problemi di funzionamento di un faro non possono essere risolti disseminando il territorio di repliche posticce; infine, che non si comprende l'indispensabilità di una fonte di segnalazione luminosa in un tratto di costa già abbondantemente illuminato dall'abitato retrostante.
In attesa della sua cortese risposta, porgo distinti saluti

*Consigliere comunale de La Sinistra

--Oggi sono state presentate due richieste di autoconvocazione del consiglio comunale, firmate dai consiglieri de La Sinistra e di altre forze di minoranza.
La prima riguarda il conferimento della cittadinanza onoraria ai minori figli di residenti stranieri nel territorio comunale; si tratta di una proposta ispirata dalla campagna nazionale varata dall'Unicef e da analoghe iniziative che sono state intraprese in altri comuni, il cui scopo è quello di dare un segnale al governo nazionale affinché venga finalmente riconosciuto il diritto alla cittadinanza italiana per chi nasce nel nostro Paese.
La seconda richiesta di autoconvocazione è invece relativa alla gestione del "megaparcheggio" di Lipari; la proposta riguarda un'alternativa all'affidamento tramite bando di gara avviato dall'amministrazione comunale, prendendo in considerazione l'ipotesi di una gestione diretta della struttura che, ad avviso dei firmatari, risponderebbe a migliori criteri di economicità e di funzionalità, con sensibili vantaggi per l'ente e per la cittadinanza.
I firmatari auspicano che il presidente del consiglio comunale vorrà tenere conto della necessità di affrontare entrambi gli argomenti in tempi ragionevoli, inserendoli tra quelli all'ordine del giorno già in occasione della prossima convocazione dello stesso.

LA SINISTRA EOLIANA

di Pietro Lo Cascio

Di questi tempi si parla molto di "sviluppo", una parola d'ordine che – rinverdita dalla ciclica comparsa del fantasma dell'aeroporto – veicola imperiosamente, dal web alle chiacchere davanti a un caffè, e suscita inevitabilmente qualche riflessione.
Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta del secolo scorso, in nome dello "sviluppo", a Vulcano è sorto un centro urbano laddove c'erano solo giunchi, fumarole e capre che pascolavano serafiche alla base di un cratere attivo. A detta di chi ne possiede memoria – io, purtroppo, non me lo ricordo – quella parte dell'isola costituiva uno dei luoghi più affascinanti del Mediterraneo, e forse del mondo. Oggi è difficile immaginarne quella bellezza che qualche foto sbiadita non potrà rendere con efficacia, mentre siamo assuefatti al disordine edilizio appena occultato dalle acacie e dai pini di Vulcanello, alla vista di orrori di calcestruzzo che ci accompagna mentre percorriamo la strada che dal porto conduce alle spiagge nere, e persino al fatto che queste si riducano inesorabilmente, anno dopo anno, assediate dagli stessi alberghi che ne invocano il ripascimento.
Sempre in nome dello "sviluppo", pochi anni dopo Monte Sant'Angelo è stato ricoperto da una faraonica coltre di cemento, così vasta da potersi distinguere addirittura nelle immagini satellitari. Non c'è dubbio che vi fossero valide ragioni: raccogliere l'acqua piovana per fare fronte alle necessità di una comunità in crescita. Peccato che, nonostante i costi spropositati, un'opera del genere non abbia impedito però di continuare a dipendere da navi che trasportano l'acqua dalla terraferma al modico prezzo di tredici euro a metro cubo.
Una quindicina di anni fa, invece, una pioggia di finanziamenti ha permesso la nascita di nuovi alberghi, residence e strutture affini, trasformando il paese con impressionante rapidità. Lo "sviluppo" era sulla bocca di tutti, e se non facevi l'imprenditore turistico passavi per uno sfigato. Quegli imprenditori, allora rampanti, oggi faticano a stare a galla, inseguiti da oneri di urbanizzazione e tasse sulla spazzatura e, per di più, incattiviti dalla spietata concorrenza cui sono costretti per sopravvivere.
La nostra incontenibile vocazione per lo "sviluppo" ci ha fatto perdere l'opportunità di realizzare – quando si poteva fare e i soldi c'erano – un porto adeguato alle nostre navi e ai nostri aliscafi; qualcuno aveva infatti deciso che bisognava privatizzare tutto per poi spremerlo come un limone, e il fatto che la limonata se la sarebbero bevuta fuori dall'isola rappresentava un dettaglio trascurabile.
Insomma, lo "sviluppo" è un'aspirazione che i più ritengono sacrosanta e inalienabile, ma può anche indurre effetti collaterali indesiderati. In forme meno rilevanti delle precedenti, si manifestano quando fai fatica a individuare la presenza di una spiaggia sotto folte schiere di lettini e ombrelloni; o sogni una caletta romantica dall'acqua cristallina e, invece, vieni accolto dal "tunf-tunf" della musica house sparata a palla e devi stare attento a non farti nebulizzare dal tizio con la pompa; o sbarchi dall'aliscafo e ti fai strada tra una legione di figuri, solitamente poco avvezzi all'uso di lingue straniere, che potrebbero domandarti "zimmari?", lasciandoti nel dubbio se stiano affittando camere o capre. Se ne potrebbero riempire pagine intere, di effetti collaterali.
La cosa singolare è che noi contiamo più di un milione di presenze l'anno – naturalmente, parlo di quelle ufficiose – ma, nonostante questo, avvertiamo l'esigenza di svilupparci ancora. Qualcosa, evidentemente, non ha funzionato. Eppure un milione di presenze non è poco, per un paese "sottosviluppato" come il nostro. Perché si ostinino a venire dalle nostre parti, è un mistero insondabile. Forse è gente a cui piacciono le isole, e che magari si aspetta di trovare delle isole. Noi, invece, amiamo travestirle da qualcosa che non sono, un po' Rimini, un po' rambla di Barcellona, un po' mercatino rionale dell'altra Barcellona, quella di Pozzo di Gotto. Mentre vendiamo souvenir da un euro ai malcapitati appena scesi da un barcone e pronti ad essere stipati in un megabus che deve fare quattro manovre ogni tornante, sogniamo il turismo d'élite, quello dei ricchi che portano i soldi. Sogniamo lo "sviluppo".
Pare che adesso sia indispensabile fare atterrare qualcosa, per poterci finalmente sviluppare. Pazienza se non si tratta più dell'aeroporto di Poggio dei Funghi che, con buona pace dell'ingegnere Cincotta, è stato bocciato dall'evidenza dei fatti; anche un'aviopista, un piccolo ultraleggero, possono restituirci l'inebriante sensazione di rimetterci in gioco, di svoltare, di creare un futuro o, più prosaicamente, un presente: come ha scritto qualcuno, noi dobbiamo "prendere il volo"!
È un po' malinconico vedere una comunità che investe le proprie speranze su ottocento metri di terra battuta, quando attorno a sé ha chilometri e chilometri quadrati di luoghi – nonostante tutto – ancora meravigliosi e invidiabili. Peraltro, spesso assolutamente ignoti a chi vive nelle loro immediate adiacenze. Forse il punto è questo: la gente va in un'isola cercandone l'intrinseca semplicità e la bellezza, mentre noi ci affanniamo nel tentativo di sembrare altro, perché di semplicità e di bellezza ne abbiamo pieni gli occhi, e naturalmente le tasche. Noi ci affacciamo dalle cave di caolino e immaginiamo campi da golf e aviopiste; loro ci vanno perché è un posto selvaggio ed emozionante. Noi sogniamo di vederli scendere da un ultraleggero; loro si accontenterebbero di sorbirsi una granita senza il costante, mortifero olezzo del tombino accanto.
Certo, non possono pretendere di essere coccolati e vezzeggiati, come si faceva una volta, quando entrambi – visitatori e isolani – sapevano stupirsi a vicenda: i tempi sono cambiati. Magari gli basterebbe trovare un cestino per le cartacce, una toilette senza fare mezz'ora di fila al bar, un'isola pedonale piuttosto che un autodromo per scooter e taxi, la galleria dell'ascensore per il Castello aperta (e, va da sé, un ascensore funzionante), un ufficio informazioni che non sembri l'oracolo della Pizia, un fruttivendolo che non spacci arance come se fossero lingotti d'oro, addirittura qualche sentiero percorribile e ben segnalato; oppure soltanto un po' di attenzione, un sorriso spontaneo, senza fini necessariamente commerciali. Ma noi siamo molto impegnati: siamo un paese in via di "sviluppo".

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