di Martina Costa
San Francesco: Un Cantico di Valori nella Letteratura Italiana
Sono passati 800 anni da quando Francesco d’Assisi, cieco e malmesso, scriveva il “Cantico delle Creature", conosciuto anche con il nome di “Cantico dei Cantici o Cantico di Frate Sole". Un’eredità culturale che arriva ai giorni nostri “intatta”, che conserva la sua interiorità, riflessione e vicinanza a Dio. E per questo risulta essere (per)sempre attuale.
Pietra miliare della nostra letteratura, il Cantico viene definito la più antica forma poetica completa. Prima di Francesco soltanto “prove” di scrittura… Francesco è un inizio che mai finirà.
Scritto nel 1224, su modello della litania e nel volgare illustre: un salmo, destinato a essere adattato come canzone dal pubblico.
Il punto di partenza è Dio, l’Altissimo Onnipotente buon Signore, a cui vanno gloria, lodi e benedizioni. Un punto d’incontro tra i pensieri del Santo e il principio biblico: «Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode» (Bibbia, Salmo 34).
Lodo Dio per le meraviglie che ha creato.
Lodo Dio per le sue creature.
Lodo Dio per la Madre Terra.
Lodo Dio per frate Sole e sorella Luna.
Per il giorno che porta significato di Te, Dio.
E ringrazia sempre, Francesco, mai esaltando la natura di per sé, ma nemmeno respingendo il mondo terreno, come accadeva già dal Medioevo, quando papa Innocenzo III nel “De contemptus mundi” (del disprezzo del mondo), scriveva: «L’uomo è formato di polvere, di fango e di cenere, e ciò ch’è ancora più miserabile, di seme immondo; viene concepito nello stimolo della carne [...] nasce alla fatica, al dolore, alla paura, e ciò ch’è ancor più triste, alla morte. Compie azioni malvagie con le quali offende Iddio, il prossimo e se stesso; commette disonestà per le quali macchia il suo onore, la sua coscienza e la sua persona; s’affatica dietro cose vane, trascurando le utili e le necessarie. Diverrà cibo del fuoco che sempre arde e brucia inestinguibile, esca del verme che sempre rode e consuma, mucchio di putredine orrenda, d’un fetore insopportabile».
Francesco rompe questa linea di pensiero: egli vuole esaltare la bellezza del creato in quanto porta “significatione” di Dio stesso. E nel farlo non rinnega l’esistenza della morte, non la condanna. Negli ultimi versi del Cantico si legge: «Lodato sii, mio Signore, per nostra sorella morte corporale, dalla quale nessun uomo che viva può scappare». Si pensa che questi versi siano stati composti e aggiunti in un momento successivo, quando Francesco iniziava a capire che la sua fine stava giungendo.
Ma il Santo parla anche dell’anima, nel connubio tra anima e corpo, simbolicamente Dio e l’uomo. Una perfetta sintesi del modello della religiosità di San Francesco e dei suoi seguaci e, prima, della vita terrena di Gesù.
Ecco perché “morte secunda”: è la conseguenza della libera scelta di peccare degli uomini che non seguono le «sanctissime volutati» del Signore. Riconducibile alle Sacre Scritture, in particolare in Ebrei 9:27, dove leggiamo: «E come è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta, e dopo ciò viene il giudizio». Erasmo da Rotterdam, nel suo “De Libero Arbitrio” del 1524 scriverà: «Potere della volontà umana in virtù del quale l'uomo può sia applicarsi a tutto ciò che lo conduce all'eterna salvezza, sia, al contrario, allontanarsene». È il libero arbitrio anche dantesco. E che viene menzionato ancora nella Bibbia: «Puoi scegliere da te stesso, poiché ciò ti è concesso» (Mosè 3:17).
San Francesco quando scrive il Cantico, come ho precedentemente detto, si trova in una condizione tragica: moltissime le sofferenze e i continui tormenti in quella notte del 1224. Inoltre, egli soffriva di un’infermità agli occhi e ciò rendeva ancora più difficile il tutto. Quel giorno si trovava ospite nel Convento delle Clarisse nel convento di San Damiano e si racconta che l’ispirazione venne da una visione celeste.
Due anni dopo, il 3 Ottobre 1226, mentre si trovava ad Assisi, Francesco esalò l’ultimo respiro. La morte corporale lo portò via dalla Terra, ma la sua Vita e le sue Opere rimarranno per sempre. Lui, che rinunciò a ogni bene materiale e terreno, non volle mai rinunciare alla bellezza terrena che, anzi, ne rivela paesaggi, calore, luce, fiori e frutti, stelle preziose e vento che porta le nuvole e il sereno. Francesco nel suo denudarsi dalle ricchezze, si veste di un’immortalità non profana, senza saperlo. Tradizione e innovazione: non dimentichiamo che, per la prima volta, e proprio nel suo Cantico, spunta, tra le righe, l’alternarsi di elementi maschili e femminili, perché, in quanto create da Dio, devono godere della stessa considerazione di quelli maschili.
Passeranno ancora tanti anni ma continueremo a parlare della vita di questo Santo per sempre.
800 anni per ricordarci che l’Amore per la Vita è fondamentale e deve restare sempre la nostra stella che illumina il cammino. In un’ epoca non certo facile, dove superbia, cattiveria e disonestà si distribuiscono sempre più a macchia d’olio, e dove l’odio, il rancore e la vendetta spadroneggiano, San Francesco torna per dirci: «Ama», «Vivi», «Perdona».
Vivi una vita semplice, Ama incondizionatamente e Perdona per essere perdonato.
Un messaggio francescano che nessuna modernizzazione potrà oltrepassare!