di Luis Mazza
La Cana è morta nel più stupido e atroce dei modi possibili: è scesa in una piscina vuota e non è riuscita a risalire. Una piscina di plastica interrata in una casa vicinissima alla mia, della cui esistenza io ero totalmente ignaro. Una casa di milanesi che vengono qualche giorno l'anno, a cui si accede da un sentiero che corre sull'altro lato del monte. Quella è forse l'unica casa in cui non sono entrato in quei giorni di scirocco in cui cercavo la Cana, perché quella casa non è visibile dal sentiero.
La cosa più triste è che questa piscina è a poco più di cento metri dai miei orti: dall'albicocco che delimita la mia tenuta a questa fottuta piscina si estende una macchia di rovi e canne impenetrabile. Un'altra cosa molto triste è che quella mattina io e i miei amici su Google Maps abbiamo cercato tutte le piscine della zona, e questa semplicemente non esisteva.
La piscina era vuota e senza alcun appiglio o scaletta, una trappola antropica perfetta: l'unica cosa che poteva ammazzare un cane nato e vissuto da randagio su quel monte prima di iniziare a vivere con me una vita più o meno libera, viaggiare conoscere le città e sempre tornare poi in quella casa in cui viveva da sola da prima che io decidessi di trasferirmici.
L'unica cosa che poteva fermare per sempre un cane che sapeva levarsi dai guai anche sul cratere di un vulcano attivo o in un bosco abitato da lupi e cinghiali poteva essere una inutile piscina di plastica, insieme al primo caldo dell'anno e al lockdown che ha tenuto lontani giardinieri e custodi.
È stata trovata qualche giorno fa e i miei amici l'hanno seppellita vicino all'asina di Stromboli e al capro di Vulcano, sotto l'ombra di un pino. È stata trovata qualche giorno dopo che io ero saltato sulla terraferma.
Mentre penso alla fine orribile che deve aver fatto sentendomi chiamarla notte e giorno, mentre smaltisco sensi di colpa guardati dal dopo inutile, però, la mia mente si concentra sulle piscine di plastica in un'isola senza acqua nei terreni di vecchie case rurali, sorte al centro di un bivio, tra due sentieri che portano alle vigne e giù al mare, la fatica e il ristoro, e trasformate in seconde case per milanesi annoiati. E scivolo nei luoghi comuni pericolosi e aggressivi. Nelle cisterne e nei fusti in cui raccolgo acqua piovana lascio sempre delle canne o dei bastoni per permettere a lucertole api e biacchi di trovare una via d'uscita a una trappola che io ho creato, e infatti lì non muore nessuno. Non sono animalista, ma non riesco a pensare che qualcuno possa morire a causa mia.
Sì sono molto incazzato.